Perrin, 1100 licenziamenti. "In Guerra": un film per raccontare il dramma dei nostri giorni

In Guerra: un film che sembra tratto da una storia vera, fatto da attori non professionisti e girato con intelligenza, catapulta il pubblico nel mezzo di una crisi aziendale.

Perrin, storica azienda produttrice di componenti per automobili, chiude i battenti lasciando sul lastrico 1100 famiglie di onesti lavoratori francesi.

Laurent, il sindacalista interpretato con rara bravura da Vincent Lindon, diventa l'eroe per caso della grande famiglia degli operai. Una lotta senza quartiere fra una politica capace di esprimersi solo con parole vuote, una multinazionale — tedesca, ça va sans dire — interessata al profitto, il solito gruppetto di crumiri e anche un imprenditore — francese — che farà il possibile per salvare l'azienda.

Un film impegnato, partigiano e monumentale destinato ad un pubblico forse un po' nostalgico che però aiuta a toccare con mano la carne viva di un mercato del lavoro sempre più sofferente.

Perrin, 1100 licenziamenti. "In Guerra": un film per raccontare il dramma dei nostri giorni

In guerra di Stéphane Brizé è uno di quei film da cineforum come forse non se ne fanno più: niente a che fare con i documentari pop che siamo abituati a vedere sulle piattaforme di streaming, tutti romanzati e politicamente corretti.

Il film

Brizé non è un regista corretto, anzi, è un partigiano orgoglioso che trascina lo spettatore nel centro della lotta, abbassando la telecamera e buttandola letteralmente in mezzo alla scena, fra gli scioperanti.

All'inizio ti sconvolge, stranisce quasi con quelle ombre a metà schermo come se ci fosse sempre qualcuno davanti a nascondere parte della scena. È una prospettiva insolita, al cinema, ma così maledettamente reale che dopo 5 minuti l'immedesimazione è totale.

Come in un videogame, solo che ad affollare lo schermo ci sono persone vere.

Vere, verissime: niente attori professionisti tranne Vincent Lindon, il sindacalista protagonista della vicenda assieme ai suoi colleghi.

Ultima nota da cinefili: la narrazione è scandita da una serie di notiziari molto televisivi, sincopati e spesso brutali che culminano con l'epilogo del film in un filmato girato in verticale, come quelli che siamo abituati a realizzare con i nostri smartphone. Tecnicamente ineccepibile.

La Trama

Perrin Industriale chiude. Non ne avrebbe motivo, i profitti ci sono ma non abbastanza per accontentare gli azionisti e un mercato sempre più competitivo.

A farne le spese saranno i 1100 lavoratori che da decenni ne animano lo stabilimento, che decidono di lottare contro i licenziamenti fra gesti plateali, manifestazioni e confronti serrati con dirigenti e politici.

Una delle sfide più importanti del progetto era mostrare i meccanismi di un sistema senza deridere le tesi dei vari protagonisti. Esiste un sistema economico gestito da uomini e donne i cui interessi semplicemente non coincidono con quelli dei lavoratori. Ma c’è una cosa che emerge in modo chiaro da tutto quello che abbiamo visto, compreso e analizzato ed è che le forze in campo non sono equilibrate, perché se una legislazione permette a un'azienda che produce dei profitti di chiudere, il rapporto di forza è di fatto compromesso fin dall'inizio.

Stéphane Brizé, regista

La storia si sviluppa in modo travagliato, mischiando le storie dei singoli protagonisti e delle relative famiglie in un turbine di emozioni da cui è impossibile rimanere indifferenti.

Una guerra contro i cliché che non può distrarre dal messaggio più importante

Troppe volte per sorreggere una trama apparentemente semplice — l'azienda chiude, i lavoratori perdono il posto, lottano ma l'azienda chiude lo stesso — gli autori possono essere portati a ricorrere a qualche rassicurante iniezione di stereotipi.

Il dirigente dello stabilimento è un pingue e pacioso funzionario, il presidente della succursale francese un rampante giovane manager impomatato e il megadirettore galattico della multinazionale è un altero quanto teutonico amministratore incapace di esprimersi se non per luoghi comuni.

È tutto così realistico da sembrare finto, come le cere dei musei: cosa sarebbe accaduto se l'impresa non fosse stata una perfida multinazionale tedesca generatrice di profitti quanto insensibile alle esigenze dei lavoratori ma una scalcinata azienda francese incapace di reggere la concorrenza? O se, per esser ancor più chiari, la multinazionale fosse stata francese e i lavoratori di qualche paese meno sviluppato?

Insomma, cosa sarebbe successo se, come troppo spesso accade, i confini trai il torto e la ragione, ciò che è nostro e ciò che è loro non fossero stati così marcati ed evidenti? 

Sarebbe stato certamente un altro film, forse lontano dall'idea della produzione che ha preferito umanizzare al massimo anche il protagonista —quel meraviglioso sindacalista d'altri tempi interpretato da Lindon —  piuttosto che renderlo capace di fare autocritica proprio quando servirebbe cioè al momento dell'ultima, travagliata assemblea di fabbrica.

In guerra è un film monumentale quanto imperdibile proprio per la sua capacità infinita di generare dibattiti, discussioni anche durante la proiezione, fra il pubblico in sala. Si partecipa, si patteggia e si lotta con i lavoratori o contro, senza quartiere.

Andrebbe proiettato nelle scuole, si sarebbe detto un tempo, ma soprattutto nelle università di economia durante il corso di gestione delle imprese, giusto per vedere l'effetto che fa.

In Guerra, titolo originale En Guerre, è proiettato al cinema Multiastra di via Tiziano Aspetti a Padova e prossimamente al Cinema Italia di Dolo (Ve).
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