Risoluzione su diritti Lgbtiq. Gambino: “Attenzione a non confondere situazioni giuridiche diverse”

“È giusto non discriminare le coppie in forza della loro preferenza in materia sessuale; ma è problematico, in presenza di figli, ritenere che i nuclei formati da coppie dello stesso sesso debbano essere parificati alle famiglie formate da genitori eterosessuali perché l’elemento che li distingue – l’esistenza del legame biologico del bambino con il soggetto terzo che ha reso possibile la procreazione - costituisce una differenza sostanziale tra queste due situazioni giuridiche". Ad affermarlo è il giurista Alberto Gambino, commentando la risoluzione approvata il 13 settembre dal Parlamento europeo

Risoluzione su diritti Lgbtiq. Gambino: “Attenzione a non confondere situazioni giuridiche diverse”

Riconoscere in tutti i Paesi dell’Unione europea i matrimoni tra persone dello stesso sesso e riconoscere come genitori legali gli adulti menzionati nel certificato di nascita di un bambino, anche se sono una coppia Lgbtiq. Si potrebbe, in estrema sintesi, riassumere così la richiesta contenuta nella risoluzione del Parlamento europeo sui diritti delle persone Lgbtiq nell’Ue, approvata il 13 settembre dall’Assemblea riunita in plenaria a Strasburgo con 387 voti favorevoli, 161 contrari e 123 astensioni.
Nella risoluzione, spiega un comunicato, “si afferma che i matrimoni o le unioni registrate formalizzate in uno Stato membro dovrebbero essere riconosciute in tutti i Paesi Ue in maniera uniforme e che i coniugi e i partner dello stesso sesso dovrebbero essere trattati allo stesso modo delle loro controparti di sesso opposto”. Il documento esorta inoltre “tutti i Paesi Ue a riconoscere come genitori legali gli adulti menzionati nel certificato di nascita di un bambino”. Il testo, giuridicamente non vincolante, esprime tuttavia un atteggiamento culturale ben preciso ed invita la Commissione a intervenire: è di fatto una richiesta di equiparazione delle unioni e delle famiglie con figli di persone dello stesso sesso ai matrimoni e alle famiglie composte da un uomo e una donna.

“Si tenta di racchiudere in un unico tema due situazioni distinte perché un conto è il legame di una coppia dello stesso sesso; un conto è il rapporto di questa stessa coppia rispetto ai figli”,

esordisce il giurista Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, al quale abbiamo chiesto un commento sulla risoluzione. “Un grande equivoco – prosegue – che in questo caso fa gioco per sostenere che queste coppie subiscono discriminazione non solo quando non vengono riconosciuti alcuni loro diritti in quanto coppie, il che effettivamente può essere discriminante, ma anche quando, nel caso abbiano figli, non vengono del tutto equiparate alle coppie di genitori eterosessuali”.

Qui si innesta un’altra questione, perché 

“nelle coppie dello stesso sesso, laddove vi fossero dei bambini, questi avrebbero inevitabilmente anche un legame biologico con un elemento terzo, dal momento che non è possibile per due persone dello stesso sesso procreare senza l’intervento di un donatore del seme o di una donna che presti il proprio utero”.

“Non si può dunque parificare il rapporto di una coppia dello stesso sesso nei confronti del figlio a quello di una coppia di genitori eterosessuali”. Pertanto

“la legislazione non potrà mai essere identica: ad impedirlo è la differenza sostanziale tra queste due situazioni giuridiche, distinzione della quale la risoluzione non sembra avere tenuto conto”.

“È giusto non discriminare le persone e le coppie in forza della loro preferenza in materia sessuale; ma è problematico, in presenza di figli, ritenere che questi nuclei debbano essere parificati alle famiglie eterosessuale”, ribadisce ancora Gambino sottolineando che oggi “qualsiasi tentativo di differenziare situazioni oggettivamente diverse dal punto di vista biologico, viene definito ‘discriminazione’”, ma questo caso ci dimostra che “occorre spostare il nostro sguardo sui diritti del figlio, non soltanto dei genitori”.

L’Europarlamento ha titolo per intervenire su una materia di competenza nazionale come il diritto di famiglia? “Come tutti gli organi politici – risponde Gambino -, nel momento in cui emana un provvedimento non strettamente vincolante, il Parlamento Ue può certamente intervenire su ogni argomento. Saranno poi gli Stati membri a decidere se ritenersi ancora liberi, o meno, di legiferare in maniera autonoma su questi temi”.

Quanto ai numeri della votazione, per il giurista, a ben guardare, “la maggioranza non è così ampia come è stata sbandierata. La proporzione di contrari e astenuti è tutt’altro che irrilevante. Ci sarebbe da chiedersi quanto sia effettivamente considerato urgente il tema oggetto di dibattito o se, piuttosto, non venga data troppa enfasi a questi diritti e non si voglia far passare a colpi di maggioranza una certa visione culturale della società”.

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Fonte: Sir