Serve competenza: votiamo la persona

«Dobbiamo orientarci verso persone che sappiano mettere assieme, gente pronta che sappia attivare e valorizzare la rete di associazioni, le particolarità, le cooperative, le imprese, renderli partecipi del luogo, allora sì  che si innescano risorse inaspettate. Ci vuole una testa sussidiaria». 
Suor Francesca Fiorese, direttrice dell'Ufficio di Pastorale sociale della Diocesi di Padova, riflette sulle prossime elezioni amministrative che coinvolgeranno oltre 300 comuni in Veneto. In un tempo in cui la competenza viene quasi vista come un vulnus, è necessario invece conoscere le persone per esprimere un voto consapevole. E anche la Chiesa deve offrire, serenamente, il suo contributo.

Serve competenza: votiamo la persona

Da un lato la concomitanza con le elezioni europee e le tematiche sovranazionali che sbandierano partiti e movimenti in costante campagna elettorale da un anno a questa parte; dall’altro i bisogni concreti dei cittadini di oltre 300 comuni nel Veneto che andranno al voto a fine maggio per eleggere il nuovo sindaco e la giunta nelle rispettive amministrazioni.
Una cartina al tornasole di quello che sarà lo scenario politico, ma anche dell’orientamento degli elettori stessi che – secondo lo sguardo di suor Francesca Fiorese, direttrice dell'Ufficio di pastorale sociale della Diocesi di Padova – si approcciano alle urne sempre più “arrabbiati”.

«È quasi come se si fosse tolta la possibilità di andare al voto in maniera serena, ed è la politica stessa a creare questa dinamica: c’è l’arrabbiato scontento che sa dove collocarsi, ma c’è anche il moderato che non trova più un partito che gli corrisponde e va al voto anche lui con rabbia, per motivi differenti. Il nostro compito come Chiesa è farci carico di queste rabbie – è un apostolato il nostro – e convogliarle in energie positive, ma non spetta a noi indirizzarli verso un movimento o partito. Dobbiamo invece comprendere e dare un nome al malessere: “per che cosa sei arrabbiato?”. La rabbia è quell'energia che o ci fa schizzare o ci fa implodere e mi sembra che sia quest'ultimo il male che stiamo lasciando diffondere».

Dice papa Francesco, rivolgendosi ai politici, che devono avere «l'audacia di costruire una politica autenticamente umana», soprattutto «quanti si dicono cristiani». Come si declina questo con l’impegno politico di un primo cittadino a stretto contatto con il territorio?

«Dobbiamo orientarci verso persone che sappiano mettere assieme, non è possibile più votare quello che garantisce gli interessi di un paesello da mille anime. L'area della Bassa Padovana, per esempio, "fa comune a sé": se dieci persone di paesi limitrofi si presentassero come unica coalizione di sindaci con una visione più ampia, sarebbe già garanzia di un progetto a lungo respiro, che qualcosa davvero si può sviluppare, un'unione che può portare benefici in termine di finanziamenti europei e di progresso. Questo dovrebbe essere il lavoro di preparazione alle prossime elezioni. Mi auguro quanto meno che qualcuno prenda a cuore la propria città e che si presenti anche tra i nostri cristiani, ma bisogna partire da un presupposto solido: chi scende in campo deve avere competenze. Vincere le elezioni da incompetenti significa buttare gente allo sbaraglio, perdere una comunità. Bisogna avere gente pronta che sappia attivare e valorizzare la rete di associazioni, le particolarità, le cooperative, le imprese, renderli partecipi del luogo, allora sì che si innescano risorse inaspettate. Ci vuole insomma una testa sussidiaria».

Però i messaggi che si sono insinuati nell’ultimo anno di governo tendenzialmente portano a convincersi dell’opposto, che sull’altare del “cambiamento” e del “nuovo” si possano sacrificare anche un po’ di competenza ed esperienza per il bene collettivo. Questo si ripercuote anche nelle dinamiche delle amministrazioni locali?

«Probabilmente se si dovesse candidare chi è solito gridare di più al bar, verrebbe considerato più competente. È un tempo inquinato, il nostro, dove la competenza è vista come un vulnus, ma più si scende dalla politica dei palazzi a quella del territorio, più le cose cambiano. Certo però si percepisce un vuoto ideologico e di pensiero, così l’atteggiamento arrogante agli occhi di un elettore può essere vincente. Per questo è importante rieducare gli stili e per un paese piccolo è necessario che si conosca la persona: la comunità cristiana deve dare la possibilità al politico che si candida di presentare le sue competenze, anche perché oramai i programmi sono ibridi in cui tutti mescolano sicurezza, attenzione al verde, sviluppo e così via. Ma alla fine per chi stiamo votando, se non conosciamo l’uomo che c’è dietro?».

Che è un po’ quello che è successo con l’esperienza degli incontri di “Bohlitica” sul voto del 4 marzo scorso, con incontri mirati a giovani elettori, o quello che si fa quando i patronati aprono le porte per serate in cui i candidati sindaci si confrontano. Sono strumenti efficaci per “educare” l’elettore?

«Quando proponiamo un dialogo coi candidati diamo delle regole, le persone non vengono con domande già preparate o con l’intenzione di polemizzare e questo è utile per la cittadinanza per non rimanere prigionieri di slogan e urla. Noi ci poniamo un obiettivo informativo-formativo, ma sto notando che sempre più spesso la gente viene già con la sua idea: noi non li orientiamo, loro ci ringraziano per l'obiettività, ma poi rimangono sulle proprie posizioni. Forse dobbiamo reinventare le modalità di dialogo, forse l'assemblea non va più bene perché il nostro equilibrio non ci porta a un “sì” o un “no”, senz’altro possiamo e abbiamo il dovere di dare di più proprio adesso che manca una coscienza politicamente educata».

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