Tav: segno di contraddizione di una città che ha bisogno di ritrovare unità

Entrare nel merito del dibattito è ormai quasi impossibile. Chi non vuole la Tav inserisce questa opzione all’interno di un modello articolato di "sviluppo sostenibile" che guarda a un futuro di lungo periodo; mentre i favorevoli al treno veloce guardano ad un "presente" in cui il rischio che il Piemonte rimanga tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione europee è molto concreto – invece che da Lione e Torino il treno potrebbe passare da Marsiglia e Genova oppure, a Nord, da Lione, Ginevra e Losanna…

Tav: segno di contraddizione di una città che ha bisogno di ritrovare unità

A chi guarda Torino e il Piemonte da fuori – dal resto d’Italia o d’Europa, ma anche dalla vicina Lombardia e dal Nord-Est – forse rimane difficile comprendere che cosa vi sta accadendo e costruire un’immagine “coordinata” del momento che la regione, e ancor più il suo capoluogo, stanno attraversando. Le ultime settimane sono state dominate, nelle cronache, dal confronto sulla Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione; per sabato si attende a Torino la manifestazione del “fronte del no”, con qualche preoccupazione per l’ordine pubblico. Nei giorni scorsi ha trovato grande attenzione il Consiglio generale di Confindustria, riunito alle Ogr di Torino, che ha individuato nel treno veloce una risposta primaria ai temi dello sviluppo. All’assemblea era rappresentato, è stato detto, il 65% del Prodotto Interno Lordo italiano: unanime nel chiedere di procedere senza indugi alla realizzazione dell’opera. Ma il giorno successivo il ministro dei Trasporti Toninelli ha firmato, con la sua omologa francese, l’ennesima proroga all’inizio dei lavori.

Il tema del treno veloce si è rivelato altamente divisivo, tanto sul territorio quanto nella politica.

Il Consiglio comunale di Torino ha votato un ordine del giorno contro la Tav, in una seduta in cui il sindaco Chiara Appendino era assente; e la Città sarà presente alla manifestazione di sabato con il vicesindaco, con tanto di fascia tricolore. Ma proprio la mossa della maggioranza 5 Stelle è servita a compattare i “Sì Tav” in città e in tutta Italia: c’è stata la manifestazione delle “madamine” che ha riempito piazza Castello; e, a seguire, le prese di posizioni di imprenditori, commercianti, artigiani tutti a favore della Tav. Il governo è di fatto diviso, con la Lega favorevole all’opera e i 5 Stelle contrari.

Il presidente della Regione Chiamparino ha lanciato l’idea di “fare da soli” il treno veloce se il governo nazionale si sfilerà o non manterrà gli impegni. Idea forse ardua da sostenere, ma perfettamente in linea con le scadenze che Chiamparino ha di fronte: quelle del futuro del Pd e quelle della Regione, che andrà a votare in primavera, e per le quali l’attuale presidente rimane l’unico candidato credibile per succedere a se stesso, nello schieramento di centro – sinistra (storicamente il voto piemontese si orienta a destra fuori Torino mentre la sinistra vince chiaramente nel capoluogo. L’eccezione si è avuta per il Comune di Torino, finito ai 5 Stelle perché Fassino perse il ballottaggio nel 2016. Ma le previsioni sono quasi impossibili dopo il voto politico del 4 marzo, che ha rimescolato tutte le carte…).

Non è solo il mondo della politica a ritrovarsi diviso. Il movimento delle “madamine” ha mostrato come ci sia, in città e non solo, una rilevante capacità di mobilitazione anche in quella “società civile” che normalmente non scende in piazza. È stata evocata la marcia silenziosa dei 40mila che nell’ottobre 1980 pose fine a una lunghissima vertenza Fiat. Anche esponenti e comunità del mondo cattolico si ritrovano in entrambi i fronti – pur se è evidente a tutti che non vi sono motivazioni religiose ed ecclesiali per essere a favore o meno dell’alta velocità…

Entrare nel merito del dibattito è ormai quasi impossibile. Chi non vuole la Tav inserisce questa opzione all’interno di un modello articolato di “sviluppo sostenibile” che guarda a un futuro di lungo periodo; mentre i favorevoli al treno veloce guardano ad un “presente” in cui il rischio che il Piemonte rimanga tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione europee è molto concreto – invece che da Lione e Torino il treno potrebbe passare da Marsiglia e Genova oppure, a Nord, da Lione, Ginevra e Losanna… Senza contare che, mentre ci si divide sul treno, il tunnel autostradale del Fréjus viene raddoppiato senza troppa pubblicità. E questo non è certo un esempio di “sviluppo sostenibile”.

Ma il tema della ferrovia veloce è solo l’ultimo in ordine di tempo a inquietare Torino e il Piemonte.

Il declino del modello industriale è stato evocato a più riprese e in diversi contesti; si è osservato che ormai l’area torinese non è più “Nord” poiché gli indicatori dell’occupazione, e della giovanile in particolare, sono molto più vicini a quelli meridionali che al Nord – Est e alla Lombardia. In diverse occasioni l’arcivescovo Nosiglia è intervenuto a segnalare il rischio delle “due città”: una Torino benestante che non ha mai sentito la crisi e una, numericamente in crescita, dove il ceto medio è ormai intaccato dalla povertà. Lo stesso arcivescovo ha impegnato l’intera diocesi nella “Agorà del sociale”, grande tavolo permanente di confronto con le istituzioni e il territorio per verificare tutte le opportunità di uno sviluppo sostenibile nell’ambito di un nuovo modello di “welfare” che riduca le disuguaglianze e consenta, soprattutto ai giovani, di trovare quelle opportunità di cui hanno bisogno.

C’è poi una vasta “area problematica” che va a toccare proprio le nuove eccellenze torinesi. Il Salone del Libro, che era divenuto il vero fiore all’occhiello della città, è impelagato in processi e fallimenti, e ancora non si hanno certezze sul suo destino immediato. Torino, tra molte discussioni e sofferenze, è rimasta fuori dalla candidatura per le Olimpiadi invernali del 2026, cui accedono invece Milano e Cortina d’Ampezzo. Fiat-FCA ha presentato in questi giorni un piano industriale che prevede il recupero delle produzioni in tutti gli stabilimenti italiani, compreso Mirafiori. Ma intanto, per adattare gli impianti alle linee dei nuovi modelli, scatta la cassa integrazione…

Il fatto è che, dopo la morte di Sergio Marchionne, sembra farsi sentire la mancanza di un vero interlocutore “italiano” e “torinese” che rassicuri sul legame tra Fiat e città.

Ancora: la linea 2 della metropolitana procede a rilento, e anche per il completamento della 1 non vi è certezza sui fondi necessari.

Sarebbe riduttivo considerare queste e altre difficoltà come unico frutto dello stallo in cui si trovano le principali istituzioni della città e della regione a causa del diverso orientamento dei partiti che sostengono gli esecutivi (5 Stelle a Torino, Pd e alleati in Regione). La sensazione, in realtà, è che ancora una volta Torino sia il laboratorio di un cambiamento che andrà poi a toccare anche il resto d’Italia – come è accaduto con l’industrializzazione, il centro – sinistra e, prima ancora, la resistenza operaia all’avvento dei fascisti. Solo che, oggi, il laboratorio deve affrontare una sfida ancor più grave e stimolante, quella fra modelli di sviluppo che si alimentano di ideologie opposte e ugualmente fragili – come sono lo sviluppo senza attenzione all’uguaglianza sociale e una “decrescita felice” che, almeno nell’immediato, significa impoverimento sicuro.

Il treno veloce, prima che una questione europea e un problema italiano, è diventato il segno di contraddizione di una città che ha urgentemente bisogno di ritrovare una sua unità.

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Fonte: Sir