Terzo settore e la sfida della pandemia. “Tradurre il capitale reputazionale in prassi”

Ne parla il libro della sociologa Irene Psaroudakis per la Collana “Ripensare il terzo settore” curata dal Centro di ricerca Maria Eletta Martini. “Il ruolo del volontariato è diventato un elemento primario per la ricostruzione del tessuto sociale”

Terzo settore e la sfida della pandemia. “Tradurre il capitale reputazionale in prassi”

La pandemia ha rafforzato il ruolo del volontariato in Italia, ma la vera sfida oggi è “tradurre questo capitale reputazionale in prassi”, rafforzando e ricostruendo legami sociali sia all’interno che all’esterno degli enti. È questa una delle prospettive post emergenza che emerge dal libro “La sfida pandemica per il terzo settore. L’impatto del Covid-19 in un’analisi qualitativa” (Pisa University press, 2021 ) della sociologa Irene Psaroudakis per la Collana “Ripensare il terzo settore” curata dal Centro di ricerca Maria Eletta Martini. Lo studio, realizzato in collaborazione con l'Università di Pisa, ha visto la collaborazione dei Centri di servizio per il volontariato (Cesvot, Csv Napoli, Csv Verona, Csv Vicenza, Csv Taranto e i coordinamenti Csvnet e Csvnet Lombardia) e il coinvolgimento di 100 enti dal Nord al Sud Italia (nello specifico in Lombardia, Veneto, Toscana, Campania e Puglia) in particolar modo le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, mentre non rientrano nella ricerca - tranne alcune eccezioni legate al contesto emergenziale - le cooperative sociali.

Un fatto sociale “totale”

Il contesto in cui si è svolta la ricerca purtroppo lo conosciamo tutti, ovvero quello della pandemia da Covid-19. Un evento che ha riguardato ogni settore, sia in termini di coordinate geografiche, sia per quanto riguarda gli attori sociali coinvolti. “L’evento pandemico si è infatti configurato come un cambio di paradigma determinando un ripensamento nato da una peculiare vulnerabilità che ha accresciuto il livello della complessità sociale, alterandone profondamente le coordinate, ma che cela in sé una svolta - scrive Psaroudakis -. La pandemia si è imposta come un fatto sociale totale, e come fenomeno emergente che dà ragione della elevata criticità della prova che coinvolge l’intero livello sistemico”. In questo contesto, “l’universo del volontariato si è trovato a ricoprire un ruolo di primo piano esperendone gli aspetti più gravi ma manifestando la propria essenzialità in snodi decisivi dell’esercizio di funzioni pubbliche”, aggiunge l’autrice. Un’emergenza che ha “contribuito a mettere in luce le competenze del volontariato nel comprendere i contesti e i relativi bisogni, spesso prima anche dei soggetti istituzionali e del policy-maker”.

Un mondo a metà del guado

Un ulteriore elemento di contesto da considerare è quello che riguarda il percorso della riforma del terzo settore, non ancora completato. “La pandemia si è abbattuta nel mezzo del processo di attuazione della riforma del terzo settore, fra adeguamenti statutari, costruzione delle reti associative e implementazione del Registro unico nazionale - scrive  Luca Gori nella prefazione -. Non è, dunque, una realtà unitaria quella che affronta l’emergenza, ma è un mondo a metà del guado. Lo rivela, in particolare, la difficoltà del legislatore a chiamarlo con il suo nome. La normativa emergenziale, infatti, è ricorsa a molte e, talora, insoddisfacenti denominazioni per indicare il terzo settore; oppure, in altri casi, ha proprio dimenticato la sua esistenza”. Eppure, scrive Gori, “il terzo settore esce dalla pandemia con un forte capitale reputazionale. Se ne è vista la capillare presenza, la capacità di reagire alle sfide complesse, l’attitudine a collaborare con la pubblica amministrazione. Al di là della retorica dell’eroismo, c’è stata una buona prova organizzativa e funzionale del terzo settore, specialmente sanitario e sociale. Ma il valore è stato colto anche laddove il terzo settore è stato fermo: quel vuoto che le norme anti-Covid hanno creato, ne hanno fatto risaltare, per paradosso, l’importanza”.

L’indagine nata dopo la prima ondata

“Abbiamo iniziato a progettare l’intera ricerca all’inizio dell’estate dello scorso anno - spiega Psaroudakis -. C’era un grande fermento conoscitivo rispetto a come il terzo settore avesse affrontato la pandemia. I pochi dati che c’erano, però, avevano natura prevalentemente quantitativa, mentre noi avevamo necessità di capire dai diretti protagonisti come avessero vissuto l’esperienza, che significato le avessero dato rispetto a una serie di tematiche. Lo status quo pre pandemia, la reazione durante la pandemia e le prospettive future di medio e lungo periodo”. Il lavoro di ricerca, però, non ha riguardano soltanto quel mondo del terzo settore direttamente coinvolto nell’emergenza, aggiunge Psaroudakis. “Abbiamo scelto di avere una trasversalità tra gli enti in base al settore di intervento e alla reazione durante la pandemia, cioè enti che si sono fermati, che hanno convertito al propria attività o che non si sono proprio fermati”.

Dinamiche latenti portate alla luce

Uno degli aspetti più interessanti emersi durante l’emergenza - e documentati nella ricerca - non è la nota resilienza del volontariato, spiega Psaroudakis. “Quello che è emerso con forza, pur nella drammaticità delle condizioni, è che le criticità e le potenzialità non sono inedite. La pandemia ha portato alla luce dinamiche latenti. Sono venute alla luce una serie di criticità con più forza rispetto al passato. Se da un lato la pandemia ha garantito il riconoscimento pubblico da parte della cittadinanza, dall’altra parte ha contribuito a far emergere alcune contraddizioni o nodi critici da risolvere per il volontariato. Il volontariato si è trovato di fronte ad una sfida che è diventata una sfida per se stesso rispetto alle dinamiche future”. Come già ricordato, la pandemia ha rappresentato un turning point per le organizzazioni di volontariato. E ora “è necessario far tesoro delle modalità operative, della flessibilità di mentalità e operative, mentre il networking è diventato fondamentale - spiega Psaroudakis -. Gli enti che per mille ragioni hanno avuto più difficoltà sono quelli che non sono riusciti a trasformarsi o che comunque fanno fatica ad adottare un linguaggio nuovo anche rispetto al futuro”. Secondo la ricercatrice, infatti, le organizzazioni che durante la pandemia si sono fermate del tutto non sono poi tantissime. “Si sono quasi tutte riconvertite - spiega -. Molte si sono fermate rispetto alle attività ordinarie. Pensiamo al volontariato internazionale: con l’impossibilità di andare all’estero, ha agito da remoto e quasi tutti si sono riconvertiti diventando parte integrante del meccanismo di welfare per l’assistenza alla comunità. C’è stata una grande capacità di adattamento, ma tutti si sono convertiti mantenendo il proprio stile. Nessuno ha trasformato la propria identità. Anche facendo cose nuove e affrontando nuovi compiti: tutti hanno mantenuto lo stile identitario che contraddistingue il proprio ente, anche andandolo a migliorare”.

Il futuro oltre la pandemia

L’aspetto più evidente emerso nelle narrazioni raccolte nel libro - una sorta di “eredità” della pandemia scrive l’autrice -, è in primo luogo "la capacità del terzo settore di attivare importanti processi di partecipazione civile, contribuendo a diffondere la cultura del volontariato anche laddove nel quotidiano appare meno radicata”. La pandemia, infatti, ha rappresentato un punto di svolta per il volontariato che ha potuto riconoscere meglio e più chiaramente questioni già note. “La comunicazione esterna, l’affiliazione oppure il reclutamento e il ricambio generazionale sono problemi di lungo periodo - spiega l’autrice -. Non sono emersi con la pandemia, ma quest’ultima li ha portati all’attenzione anche perché c’è tutto un tessuto di volontari che vanno protetti, che non vanno messi in pensione ma valorizzati in maniera diversa. E alcuni enti lo hanno esplicitato molto bene: mettere a disposizione le competenze, la conoscenza dei volontari più anziani rispetto alle nuove generazioni”. C’è stato anche un recupero importante dell’advocacy, continua l’autrice, e un confronto più articolato con le istituzioni. “Il rafforzamento del ruolo del volontariato che è emerso durante la pandemia diventa una cosa di cui far tesoro e da cui ripartire - spiega Psaroudakis -. Il ruolo del volontariato è diventato un elemento primario per la ricostruzione del tessuto sociale”. Per Gori, infine, “la sfida vera, oggi, è tradurre questo capitale reputazionale in prassi - scrive nella prefazione -. Al legislatore, in particolare, spetta creare un ambiente abilitante allo sviluppo ed al consolidamento del terzo settore, rifuggendo dal rischio di una deriva pubblicistica. Al terzo settore far sì che la reputazione maturata divenga il fattore di legittimazione di un “nuovo” modello di interazione di intervento condiviso fra il terzo settore medesimo e la pubblica amministrazione”.

Gianni Augello

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)