Tratta, i bisogni delle vittime: dall’assistenza alla vita autonoma

L'analisi delle organizzazioni che offrono assistenza alle vittime della tratta di esseri umani in Belgio, Germania, Italia e Spagna, nel report "Un mondo in cui credere”. "La mancanza di un sostegno a lungo termine specifico può compromettere il progetto di vita e condurre alla ri- vittimizzazione". Il ruolo degli operatori sociali

Tratta, i bisogni delle vittime: dall’assistenza alla vita autonoma

L’integrazione sociale, intesa come inclusione sociale ed economica nel paese ospitante, è una fase importante del percorso di emancipazione e autonomia della persona che ha subito un’esperienza di tratta e sfruttamento.
Dal suo successo dipende il futuro del percorso migratorio della persona. Ma "negli Stati membri dell’Unione europea, mentre c’è un sistema di supporto che soddisfa i bisogni delle vittime nell’immediato, l’assistenza a lungo termine è meno presente". Monitorare e migliorare questo contesto è l'obiettivo del progetto “Amif Libes – Life Beyond the Shelter”, co-finanziato dall’Unione Europea, di cui è partner per l’Italia la Cooperativa On the Road, insieme ad altre quattro realtà europee, presenti in Belgio, Spagna e Germania.

I promotori, a conclusione del progetto, organizzano online, oggi 16 settembre, la conferenza finale “La vita oltre l’accoglienza. Dialogo su trasformazioni e prospettive dei percorsi di integrazione sociale delle vittime di tratta” e presentano il report “Un mondo in cui credere”, sui bisogni delle vittime di tratta di paesi terzi, nel passaggio delicato e cruciale dall’assistenza istituzionale alla vita in autonomia.

L’analisi è stata condotta dalle cinque organizzazioni, che offrono assistenza alle vittime e mira a raccogliere informazioni per aiutare le associazioni a rendere più efficaci gli interventi di assistenza. Il campione d'indagine comprende, tra l'altro, 40 donne vittime di sfruttamento sessuale  e 14 uomini vittime di sfruttamento lavorativo. Tra gli intervistati 16 persone avevano un lavoro, 6 stavano facendo uno stage e 29 erano disoccupate. Le vittime avevano in media 9 anni di istruzione formale.

"L'assistenza a breve termine è generalmente insufficiente a sostenere l'integrazione sociale ed economica delle vittime di tratta e sfruttamento - si legge nel report - Durante la transizione a una vita autonoma emergono esigenze molto specifiche, e la mancanza di un sostegno a lungo termine specifico può non solo compromettere il progetto di vita della persona nella riacquisizione della propria fiducia, ma anche far scaturire delle dinamiche pericolose che possono condurre alla ri- vittimizzazione"
Quando le vittime lasciano la struttura di accoglienza, provando ad andare avanti con le proprie vite e ad affrontare molteplici sfide, "le organizzazioni devono garantire che dispongano degli strumenti necessari per prendere decisioni consapevoli e per avere accesso ai diritti fondamentali, e sfruttare appieno le opportunità e le risorse necessarie per partecipare attivamente, socialmente ed economicamente alla vita della loro comunità ospitante, con standard di vita accettabili". E' quindi fondamentale, in questo senso, il ruolo degli operatori sociali che sostengono le vittime nel loro percorso. "Dovrebbero incoraggiare le vittime a fare delle scelte per il proprio benessere, favorire la stabilità emotiva e superare le barriere verso un’inclusione, migliorando al contempo la sicurezza, evitando la ri-vittimizzazione e mitigando i rischi di stigmatizzazione sociale", spiegano gli osservatori.

Le competenze da acquisire

L'indagine ha individuato 10 aree di intervento, in cui le vittime sembrano necessitare di un maggiore supporto, che vanno dall'acquisire consapevolezza del proprio benessere fisico, emotivo e mentale alla conoscenza della lingua, dall'accesso ai servizi pubblici e amministrazione alla ricerca e gestione della casa, dalla gestione del denaro all'organizzazione dei figli. Vanno in questa direzione le indicazioni emerse dagli osservatori, che riguardano le competenze e gli atteggiamenti necessari nella fase di transizione verso una vita in autonomia:

- Non aver paura di fare affidamento sul supporto offerto dai professionisti quando si affrontano nuove sfide;
- Vedere l'ansia, la paura e la frustrazione non come ostacoli ma come normali reazioni a un cambiamento importante e non astenersi dal cercare aiuto;
- Prendere misure per la sicurezza personale;
- Mantenere standard di vita ragionevoli;
- Praticare la cura di sé per raggiungere un benessere cha sia mentale e fisico;
- Cercare opportunità di crescita personale, sociale, economica.

"L'assistenza a lungo termine  è fondamentale per aumentare la sicurezza e la stabilità, delle precondizioni essenziali per avere un recupero completo e duraturo, - concludono - che è un diritto fondamentale per ogni vittima di tratta di esseri umani".

“Vittime con nessun bisogno”

Alla richiesta degli operatori rispetto a quali fossero i bisogni per raggiungere l’autonomia e l'autosufficienza, diverse donne hanno risposto che “non avevano bisogno di nulla o che avevano solo bisogno di ‘una casa’ o ‘un lavoro’". “Questo tipo di risposta – spiegano le associazioni - non sorprende i professionisti del settore: molto spesso vittime di tratta e sfruttamento presentano una scarsa consapevolezza di sé a causa dell’assoggettamento vissuto.
Le interviste hanno mostrato come, in generale, il livello di istruzione, l'età e l'esperienza lavorativa sembrano essere correlati positivamente alla maggiore consapevolezza dei bisogni della persona. In particolare, le persone più adulte, che di solito sono meglio istruite e hanno un lavoro, sembrano essere in grado di identificare un numero maggiore di bisogni rispetto alle vittime più giovani, senza esperienza di lavoro o con un basso livello di istruzione”.

Le vittime all'interno della struttura di accoglienza – sottolineano - hanno più difficoltà a definire i loro bisogni rispetto a quelle che sono uscite dalla struttura di accoglienza. L'esposizione ad un sistema sociale non familiare, combinato con un basso livello di istruzione, rende del tutto impossibile per un cittadino di paesi terzi definire ciò di cui potrebbe necessitare nella vita di tutti i giorni senza aver avuto alcuna esperienza di cosa significhi vivere da soli”.

Secondo gli osservatoti “una delle chiavi per facilitare l'inclusione sociale e favorire l'indipendenza è proprio quella di aiutare le vittime a identificare i loro bisogni, riconoscere le loro capacità o abilità mentre ne costruiscono di nuove”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)