Un canto nella notte. Angelo Paoluzi, un giornalista nel buio del male che diventa notizia

In ogni tragedia, in ogni notizia si può trovare, senza mai abbandonare le regole del mestiere, un aggancio per non cadere nel buco nero ai cui bordi il giornalista siede ogni giorno per scrivere.

Un canto nella notte. Angelo Paoluzi, un giornalista nel buio del male che diventa notizia

“Un canto nella notte mi ritorna nel cuore” è il titolo di un libro di Angelo Paoluzi che riprendo nelle mani appena giunta con un sms la notizia della morte avvenuta a Roma il 17 settembre.
Di lui giornalista si è scritto nei giorni scorsi ricordando l’alta professionalità, la direzione di Avvenire, la presidenza dell’Unione giornalisti cattolici, la passione per i temi missionari, i libri, la docenza universitaria, la competenza nella storia e nell’attualità della Germania.
Ho ripreso quel libro, che spunta tra gli altri per quei fiori sbocciati sulla copertina, perché in quelle pagine oltre che alla conversazione che l’autore tesse tra la preghiera e la poesia si scopre tra le righe un messaggio a chi scrive e, indirettamente, a chi legge.

“Un canto nella notte mi ritorna nel cuore”: l’autore inizia da un’immagine religiosa per richiamare le “notti” che un giornalista incontra e attraversa nella sua professione. C’è un lungo elenco di notti tristi, di attimi segnati dalla sofferenza, dalla morte, dalla disperazione, dal nulla.
Il giornalista si trova dentro il buio del male, cerca di ascoltare il silenzio, tenta di vedere anche se tutto è buio.

Non c’è tempo per una sosta, il giornale non può aspettare, bisogna scrivere rapidamente la notizia.
Eppure nelle notti raccontate dalla cronaca che non permette soste c’è chi sente risuonare un canto.

E’ un lievissimo battito del cuore di fronte a un uomo smarrito nell’oscurità, è una carezza sul volto di un uomo preso a schiaffi.
Ma il linguaggio giornalistico può ammettere questi cedimenti?
La domanda non scoraggia Angelo Paoluzi e la sua risposta arriva con rispetto, dolcezza e retta coscienza.
In ogni tragedia, in ogni notizia si può trovare, senza mai abbandonare le regole del mestiere, un aggancio per non cadere nel buco nero ai cui bordi il giornalista siede ogni giorno per scrivere.

Questo aggancio prende il nome di “canto”. Un canto interiore che aiuta a cogliere nei fatti e nei pensieri più bui un guizzo di luce, una brezza leggera.
E’ l’esito di un risveglio della coscienza che dentro di sé intreccia la regola del mestiere con il rispetto della dignità della persona perché insieme diano senso a una professione che giunge alle soglie del mistero dell’uomo.
E’ un messaggio educativo che si allarga a un’opinione pubblica spesso vittima di parole vane o vanificate.

“Un canto nella notte…”: un giornalista lascia un titolo come eredità agli uomini e alle donne che scrivono le notizie, agli uomini e alle donne che leggono le notizie. Un’eredità da custodire, non basta conservarla.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir