Un'identità da ripensare e allargare

44 comuni, 850 mila abitanti chiamati a condividere il cammino della città metropolitana. Che in gran parte vive, lavora, si sposta fuori dal perimetro lagunare ma che in Venezia ha il suo baricentro politico. Un ragionevole equilibrio è il salto necessario per avviare politiche d'insieme. Ma bisogna capirlo, nonostante le risorse che hanno ridotto il personale, nonostante qualche sindaco che si sente isolato. 

Un'identità da ripensare e allargare

«È dalla notte dei tempi che naviga. Ha toccato tutti i porti, ha strusciato addosso a tutte le rive…».
Dall’alto Venezia assomiglia proprio a un pesce che, come nelle parole del romanziere veneziano Tiziano Scarpa, si appoggia sul fondale con la coda a oriente e lo sguardo verso la terraferma. E il ponte della Libertà, a guardarlo sulla cartina, senza troppa fantasia pare una lenza: «Sembra che Venezia abbia abboccato all’amo», dice ancora il drammaturgo.

Intrappolata all’amo o consapevolmente attratta, è un’ambiguità irrisolta che ancora si avverte.
Venezia per certi versi è uno spettacolo, ma il Veneto del “dietro le quinte” non si sente rappresentato. Di certo la città metropolitana è un caso originale tra le consimili dieci realtà istituite dalla riforma Delrio nel nostro Paese. E molto passa da quella vibrante lenza.

Venezia non è città-regione non è neppure città-provincia. Ha sì un’attrazione sensibile sulla conurbazione di prossimità, sa essere polo accentratore per i lavoratori dei comuni confinanti fino a lambire Chioggia, ma più ci si allontana più i sottosistemi gravitano su altre città come Padova e Treviso.

La neonata città metropolitana ha ereditato i perimetri dell’ormai ex Provincia, sviluppandosi in lunghezza a comprendere 44 comuni con un’estensione di 2.473 chilometri quadrati su di un territorio pianeggiante.
Degli 857.841 abitanti, circa un quarto risiedono nel capoluogo esteso alle isole di Murano e Burano, mentre il resto della popolazione è lontana dagli ormeggi e vive nei municipi dell’entroterra. I continui dialoghi sociali e lavorativi, all’interno di questa trama tripolare, sono entrati nelle arterie degli abitanti al punto che si è discusso sull’errata scelta di “piazzare” lì il nuovo ente.

Il Veneto che si ristora all’ombra dei campanili è lo specchio del policentrismo delle funzioni amministrative, economiche, industriali e sociali di matrice italiana dove quasi un quarto della popolazione e molta industria del Novecento ha la sua base in aree intermedie, marginali o periferiche.
E, in un contesto economico mondiale in cui le città sono ridiventate i poli di traino dei sistemi nazionali, gli agglomerati urbani nostrani mancano all’appello: secondo i dati Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), tra le 35 nazioni all’interno di tale sistema, l’Italia ricopre la penultima posizione per contributo delle aree metropolitane alla crescita totale degli occupati tra il 2000 e il 2012.

L’istituzione delle città metropolitana passa da qui.
E a quella di Venezia, oltre a essere collante lavorativo, industriale e di rilancio, si affibbia un ruolo ancor più delicato, quello di connettore sociale. Non si tratta di forgiare una nuova identità coesa o di adottare una medesima odonomastica, ma far sentire i sindaci e gli oltre 800 mila abitanti al centro di un percorso unidirezionale omogeneo.
Portare nella dialettica quotidiana il ruolo di questo ente di secondo livello come forma aggregativa e partecipativa e non come l’ennesima forma di governance territoriale della pubblica amministrazione piovuta dalle stanze di governo e che incarna solamente funzioni e confini della vecchia Provincia.

Gli organismi di governo

Sintomatico, secondo un dossier della Cisl, è che il 58,8 per cento dei sindaci intervistati avrebbe preferito il suffragio universale come modalità d’elezione del sindaco della città metropolitana che, secondo normativa, spetta al sindaco del capoluogo.

Il Consiglio metropolitano, costituito da 18 rappresentanti, e la Conferenza formata dai 44 sindaci sono, al contrario, gli organi quanto più vicini all’idea di partecipazione attiva e coinvolgimento, ma tale processo di assimilazione ha subìto forti rallentamenti e scossoni durante la fase di riordino delle funzioni su cui pesa la ridistribuzione delle risorse economiche. E che si traduce in meno risorse umane.

È questo l’assioma schietto di Maria Rosa Pavanello, sindaca di Mirano e presidente Anci Veneto, secondo la quale mancano gli organi politici a tempo pieno per gestire i rapporti con i sindaci e le amministrazioni locali che, in qualche caso, si sentono isolati o spaesati.
Ci sono alcuni consiglieri che hanno delle deleghe, ma hanno anche altri ruoli a cui dover badare e questo si avverte rispetto alla gestione della vecchia Provincia nella quale c’erano figure con incarichi ben precisi.

Ma Venezia che naviga dalla notte dei tempi ha lasciato alle spalle le nuvole losche del commissariamento del proprio comune e rema con più convinzione, nonostante le correnti a volte favorevoli a volte contrarie.
Si naviga ancora a vista, certo, ma c’è un piano strategico che attende di essere discusso e approvato, assieme a una gestione razionale e coordinata del trasporto pubblico e della viabilità e alle politiche di sviluppo economico e sociale. Capendo, necessariamente, che si devono scavalcare etichette e limiti geografici “imposti” dalla legge.

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