Un villaggio per pensare e vivere la morte rimossa da media e cultura. "Qualsiasi cosa succeda, io ci sono"

Alcune famiglie e alcuni monaci con persone che vivono gravi malattie stanno creando un luogo dove “tutto è vita perché l’invisibile prevale sul visibile”.

Un villaggio per pensare e vivere la morte rimossa da media e cultura. "Qualsiasi cosa succeda, io ci sono"

“Oggi nell’Occidente sono moltissime le persone che non hanno mai visto nessuno morire, mai partecipato a una liturgia funebre ma soprattutto mai assistito un morente. Tutto questo impoverisce la nostra capacità di essere veramente umani”.

Sono parole straniere, fuori dai consueti vocabolari, anche se toccano il senso più profondo del vivere e del morire.

Le scrive Guidalberto Bormolini, un monaco del movimento dei “Ricostruttori nella preghiera” in un articolo dal titolo “Accompagnatore accompagnato” apparso su L’Osservatore Romano di domenica 1 settembre.

Si legge tutto d’un fiato perché tocca sofferenze, paure e speranze che attraversano la vita di persone con malattie gravi: i malati terminali. Alcune di queste esperienze, riguardanti persone note, sono state raccontate nei giorni scorsi dai media.

Se da un lato permane il tentativo culturale e mediatico di rimuovere la morte dal pensiero di una società dall’altro la riflessione di un monaco lascia intravvedere un orizzonte di luce nel buio della non speranza.

Perché questa immagine diventi realtà sta sorgendo nei pressi di Prato un villaggio attraverso la ricostruzione di un borgo abbandonato con i criteri della Laudato sii’. Alcune famiglie e alcuni monaci con persone che vivono gravi malattie stanno creando un luogo immerso nel verde dove possano sperimentare insieme “che tutto è vita perché l’invisibile prevale sul visibile”.

La medicina mantiene un ruolo fondamentale e nello stesso tempo “non si può guardare alla morte solo come evento clinico. C’è bisogno di intimità, di calore, di vicinanza, di ascolto, di libertà, di dare un senso più grande”. E’ il grande tema delle cure palliative.

Guidalberto Bormolini scrive: “Quella che caratterizzerà in modo speciale questo luogo sarà infatti qualcosa di impalpabile. non visibile e quindi essenziale: tutto il personale e i volontari, come già avviene da anni nel nostro volontariato sul territorio, dovranno avere alle spalle un lungo percorso di vita spirituale, di preghiera e di meditazione”.

Occorre ribadire, si legge nell’articolo, che “siamo pienamente nella verità solo se accogliamo chi soffre senza troppi discorsi, talvolta basta dire: ‘qualsiasi cosa succeda io ci sono’ e in realtà è questo che desidera sapere e che acquieta lo sguardo”.

Si giunge così al tema del silenzio come risposta a domande ultime. “Nella formazione di chi sta vicino a chi soffre si rimarca spesso l’importanza del silenzio. Ma non è il silenzio di per sé a essere benefico. C’è anche il silenzio imbarazzato, di vergogna, di impotenza, di rabbia, di incapacità…”.

C’è quindi un silenzio che “caricato dalla preghiera” consente di vivere la morte come “un bacio infinito, un bacio tra noi e l’Infinito. Il bacio di Dio”. Parole che appartengono al vocabolario non scritto del mistero della vita umana, parole che vanno oltre i confini dell’esistenza terrena.

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Fonte: Sir