Undicenne suicida, per Novara è ludopatia. "I genitori vanno aiutati a vietare videogiochi”

"Il problema è la dipendenza dai videogiochi e il sonnambulismo cognitivo. Eclatante il caso di Fortnite, che pur se vietato è diffuso tra i bambini. Non criminalizziamo i genitori: è lo Stato che deve intervenire con divieti e sanzioni a chi vive di questo buisness”. Intervista a Daniele Novara, che ha appena terminato il libro “I bambini sono sempre gli ultimi”

Undicenne suicida, per Novara è ludopatia. "I genitori vanno aiutati a vietare videogiochi”

Il bambino di 11 anni che si è tolto la vita lanciandosi dalla finestra non è vittima di un presunto “uomo nero” che si aggira in rete e circuisce i più piccoli, ma di quel “sonnambulismo cognitivo che deriva dall'uso incontrollato dei videogiochi da parte di bambini abbandonati a loro stessi, nell'interesse di un business spietato e sregolato”. Ne è praticamente certo Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, attento lettore delle questioni che riguardano l'infanzia e l'adolescenza e autore di numerosi libri, tra cui l'ultimo uscirà nei prossimi giorni con Rizzoli: “I bambini sono sempre gli ultimi. Come le istituzioni si stanno dimenticando del nostro futuro”.

Insomma, gli uomini neri non esistono?
No, lo abbiamo verificato insieme al mio staff, facendo riscontri con fonti autorevoli: questi fantomatici personaggi che spaventerebbero i bambini in rete non esistono. La realtà è molto più laconica: sono i videogiochi gli “uomini neri”, o almeno l'uso incontrollato che ne fanno bambini e ragazzi. Specialmente con il lockdown, la situazione è degenerata: ci sono bambini sempre più piccoli, di sei o sette anni, che passano un tempo indefinito, anche di notte, davanti a questi giochi. Ne deriva uno stato di frustrazione mentale favorevole a episodi che tecnicamente definisco di sonnambulismo cognitivo. Un bambino piccolo che trascorra troppo tempo davanti ai videogiochi subisce infatti un impatto mentale che rende sostanzialmente impossibile per lui contestualizzarsi: i confini tra realtà e fantasia ludica si stemperano e possono dar adito ad azioni inconsapevoli e fuori da ogni logica e da ogni previsione. Da quello che la cronaca ci racconta, il ragazzo di Napoli soffriva di quella che chiamiamo ludopatia e di cui ancora sappiamo troppo poco. La preoccupazione seria è che l'età si sta abbassando rapidamente: vengono nel mio studio bambini che già a sette anni utilizzano i videogiochi senza una regolazione e sostanzialmente abbandonati a se stessi.

Ma c'è chi dice che esistano anche app buone: pensiamo a quelle che vengono proposte come didattiche, o educative...
La questione è la quantità non la qualità. C'è un criterio preciso per distinguere l'uso buona da quello cattivo: il tempo. E' evidente che un videogioco “sparatutto” come Fortnite è peggio di un videogioco didattico, così come un film dell'orrore è peggio di un cartone, o un video porno è peggio di Hary Potter. Tuttavia, se un bambino passa troppo tempo nel consumo virtuale anche di un prodotto non pericoloso dal punto di vista dei contenuti, il suo cervello si spegne, non è più in grado di interagire, scegliere, staccarsi. È quello l'elemento che crea quel sonnambulismo cognitivo che diventa pericoloso, perché spegne la capacità di apprendere, di interagire con le funzioni concrete di autonomia della propria vita. Il bambino, aderendo eccessivamente al mondo virtuale, specialmente dei videogiochi, finisce per perdere i confini della realtà e diventa semplicemente un soggetto in balia del bisogno compulsivo di stare dentro un'attività video virtuale. Un segnale tipico dell'insorgere di questo disturbo si ha quando il bambino si sveglia e immediatamente cerca uno smartphone, un tablet, un dispositivo in cui andare a collocarsi per il consumo di contenuti ludico virtuali. Questo comportamento è uno dei primi segnali della ludopatia, su cui attendiamo maggiori chiarimenti dal settore neuropsichiatrico infantile.

Che ruolo giocano in tutto questo i genitori? Sono loro i “colpevoli”?
Assolutamente no. Certo è che i genitori devono recuperare la loro funzione educativa, ma devono essere in questo aiutati dal governo, che deve intervenire attraverso lo strumento dei divieti. Così come esiste il divieto di somministrare alcolici sotto i 18 anni, allo stesso modo bisogna porre in maniera drastica divieti anche sull'uso dei videogiochi. E questi divieti devono poi essere rispettati attraverso sanzioni. Alcuni divieti già esistono, ma sono disattesi: pensiamo all'accesso ai social, che le normative europee autorizzano solo dai 13 anni. E pensiamo al caso, emblematico, di Fortnite, che non è certo un videogioco per bambini e anzi a questi è vietato, ma per la grave e colpevole negligenza di chi vende, è capillarmente diffuso proprio tra i più piccoli. E' necessario anche che il marketing sia costretto a segnalare i pericoli insisti nel consumo di questi prodotti nel momento in cui vengono acquistati , come è avvenuto per il tabacco.

Una specie di proibizionismo?
Il divieto non è questione di proibizionismo: il punto qui è aiutare chi deve occuparsi dell'educazione dei bambini e dei ragazzi ad avere dei paletti, a sapere quali sono i confini. E' un'assurdità pensare che i divieti e le regole, in questo campo, debbano darli i genitori: c'è una responsabilità comune collettiva. Pensiamo al “cicchetto” che, in certe regioni, fino a qualche fa i genitori usavano dare ai loro figli di sei anni: non avrebbero smesso di farlo, se non fosse arrivato un chiaro divieto. Il diveito da parte dello Stato è un assist ai genitori nella loro funzione educativa. I genitori vanno aiutati, non condannati, perché è molto difficile per loro riuscire ad avere una lucidità mentre i figli sono stati presi di mira come mercato, senza alcun rispetto psicoevolutivo. C'è una fragilità genitoriale mai vista nelle generazioni precedenti.

Nel Suo libro indica alcuni strumenti che potrebbero concretamente sostenere i genitori. Qualche esempio?
Garantire per tutti la frequenza della scuola materna, che oggi è in netto calo ed è passata dal 95% di10 anni fa al 91% attuale. Altro esempio, introdurre un bonus pedagogico, che i genitori possano spendere in consulenze psicopedagogiche, letture, scuole per genitori, seminari per la loro formazione come genitori educativi.

Le istituzioni invece latitano. Possiamo dirlo?
Sì, possiamo dirlo. E non ascoltano i pedagogisti, che da tempo lanciano l'allarme. I genitori sono completamente abbandonati nella crescita dei figli, in isolamento che genera queste situazioni drammatiche. Ad aggravare la situazione ci sono le fake news: giorni fa mi sono imbattuto in una ricerca – tale almeno pretendeva di essere - che segnalava come i videogiochi aumentino l'empatia nei bambini e nei ragazzi. Mi ha insospettito, così sono andato a vedere: ho scoperto che non era un istituto scientifico ma una charity inglese, che aveva fatto un questionario fra i ragazzini, rivelando senza alcuna base scientifica che usando i videogiochi questi miglioravano le proprie condizioni di empatia. Non c'era niente di scientifico, ripeto, eppure questa notizia ha bucato l'informazione internazionale e raggiunto l'opinione pubblica mondiale. La verità è che gli interessi in gioco sono enormi e se i genitori non sono aiutati, diventano facilmente vittime, con i loro figli, di un marketing spietato. Fortnite è fuori misura, nessuno può fermarlo: è urgente intervenire con una normativa chiara, che preveda sanzioni a chi vende il prodotto ai bambini e ai genitori che ne consentono l' uso. Divieti, limitazioni, regolamenti e sanzioni devono essere introdotti e rinforzati al più presto: sono in gioco i diritti dei bambini e del nostro futuro.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)