Voci della comunità. Sono gli educatori

Formazione degli educatori. Mentre si stanno svolgendo tanti campi parrocchiali, scout... e si preparano i grest di settembre, dopo quelli già svolti o in svolgimento, ragioniamo di un tema centrale per parrocchie e aggregazioni laicali.

Voci della comunità. Sono gli educatori

Giulia ha 23 anni. La incontro al centro assistenza fiscale, dove ho portato le mie “carte” per il 730. Finché le controlla, parliamo dell’estate e mi racconta che sta per partire per un camposcuola con la sua parrocchia. Si occuperà dei ragazzi di quarta e quinta elementare. Fa l’educatrice da quando ha 17 anni, mi confida con orgoglio. Non può farne a meno. Per il campo si sono preparati tantissimo, anche se il suo cappellano insiste che gli educatori – di qualsiasi fascia d’età si occupino – curino anche la formazione personale con incontri ad hoc, la messa, la preghiera, il confronto... È una responsabilità fare l’educatore dei ragazzi, mi dice. «Ma io non posso farne a meno».
L’entusiasmo di Giulia, ma anche il senso di responsabilità che sente per il servizio educativo in parrocchia, mi fanno pensare ai tanti educatori che, in questa estate 2018 si stanno spendendo nei grest, nei campiscuola parrocchiali, nei campi scout... Educatori alla prima esperienza. Educatori già rodati. Tutti si ritrovano su quel filo sottile che “coniuga” l’entusiasmo con la consapevolezza che... fare gli educatori, come dice Giulia, anche se – mi pare di poter dire, senza presunzione – intendesse “essere” educatori, è questione che chiede responsabilità. E che, come le dice il suo cappellano, questa meravigliosa avventura non può prescindere dalla formazione. 
E allora, nel cuore dell’estate 2018 – mentre c’è moltissimo movimento sul fronte grest e campi... – abbiamo voluto ragionare di formazione degli educatori con tre voci della nostra diocesi: l’Azione cattolica e l’Agesci, due aggregazioni laicali che la formazione ce l’hanno nel Dna; e poi la Pastorale dei giovani, che da due anni propone, insieme a Noi associazione, il GreStyle per preparare gli animatori del grest.

L’educatore oggi: quali caratteristiche?
«Entusiasmati, prossimi, inquieti e solidi». Queste le quattro parole individuate da Francesco Simoni, presidente diocesano dell’Azione cattolica di Padova. «Abbiamo bisogno di educatori che vivano con passione il loro servizio, coinvolti in modo esplicito in un’avventura splendida; persone a cui non si chieda di “far passare il tempo ai bambini” ma che rispondano a una chiamata e a un mandato. Educatori pieni di entusiasmo, cioè “con Dio dentro di sé”. Abbiamo bisogno poi di persone che si facciano compagne di strada, che rammendino le preziose reti di persone che ancora esistono (comunità, collaborazioni, associazioni)». Inquieti? «Educare non è un compito per tiepidi. Non possiamo mai accontentarci del nostro essere “tra noi”, della nostra echo chamber, del nostro piccolo gruppo. Cerchiamo “viandanti della fede”, gente con un piede oltre il confine». Francesco, infine, sottolinea la solidità: «Persone su cui si possa contare per la ricchezza del loro profilo umano, per la cura che hanno dell’interiorità e della formazione, per come sanno essere capaci-di-risposte, responsabili».

Per Lucia Gabelli e Marco Agami, incaricati nella formazione capi dell’Agesci, zona di Padova ColleMare «un educatore, secondo la visione del metodo scout, deve essere una persona che si pone come punto di riferimento autorevole per i ragazzi che gli vengono affidati. Una sorta di fratello o sorella maggiore. È quindi fondamentale che riesca a instaurare una relazione positiva e profonda con i ragazzi, tendente all’empatia. Perciò deve essere una persona solida, che riconosce come propri i valori dello scoutismo e, nella particolare declinazione dello scoutismo dell’Agesci, del messaggio evangelico e della società civile. È altrettanto importante che sappia dialogare con le famiglie dei ragazzi,. Non si pretende certo che sia una persona “arrivata”, ma è importante che quanto meno decida di “partire” e di “camminare” per crescere come persona completa, anche mettendosi in discussione rispetto alle proprie scelte di vita».
Sceglie tre verbi, don Mirco Zoccarato, attuale direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale dei giovani, per delineare le caratteristiche di un educatore oggi: ascoltarsi, mettersi accanto, farsi accompagnare. «Ascoltarsi per mettersi in contatto con i desideri più profondi della propria vita e provare a viverli su di sé prima che farli vivere agli altri. In questo ascolto... trovare, ripensare o ricercare il motivo primo che spinge verso il servizio educativo. Spesso si diventa educatori perché qualcuno lo è stato per noi. Essere educatori, allora, ha sempre a che fare con quel mettersi in ascolto del desiderio di “senso” e “significato” che altri hanno tentato di svelarci. Si viene in contatto con quei “semi” che altri hanno piantato e innaffiato con cura, pazienza e tanto amore».

Mettersi accanto a bambini e ragazzi. Quanto conta la formazione?
Il secondo verbo evidenziato don Mirco ci aiuta a entrare in questo aspetto. «Tutti, in modi ed esperienze diverse, ci mettiamo accanto di qualcun altro nella vita. Diventare educatori/animatori/formatori ha a che fare anche con chi mi ha accompagnato: genitori, maestri, insegnanti, educatori, sacerdoti, altre persone di riferimento... Sono persone che nel mio percorso di crescita hanno lasciato un segno indelebile, forte e pregnante. Affinché questo segno possa portare frutto, va riconosciuto nella gratitudine a loro, in me e a Dio».
Su questo sfondo, in cui si è educatori perché qualcuno si è preso cura di noi, la formazione ha un’importanza fondamentale. «Crediamo – sottolineano Lucia e Marco – che non ci si possa improvvisare né nell’offrire ai ragazzi delle attività secondo un metodo ben preciso, né nel coltivare relazioni educative efficaci e feconde. L’Agesci ha investito e sta investendo molto nel pensare e strutturare un percorso formativo approfondito per tutti coloro che scelgono di essere capi scout, che si articola in tre momenti fondamentali: uno introduttivo rivolto a chi inizia il percorso da capo scout; uno dedicato alle competenze tecniche e agli aspetti pedagogici; e uno nel quale si approfondiscono il proprio ruolo di educatore, l’appartenenza a un’associazione scout cattolica, le competenze relazionali e di gestione dei gruppi. Questo percorso è richiesto a tutti gli aspiranti capi scout in Agesci, ma il desiderio di formarsi rispetto al ruolo educativo deve essere frutto di una scelta e di determinazione personale».
Ma c’è dell’altro: «Per la crescita del capo scout è fondamentale la Comunità capi: in essa, che sia in formazione che già formato, trova un utile confronto su scelte educative e pedagogiche. Le comunità fanno da filo rosso: uniscono e rinforzano i momenti più intensi della formazione ottenuta con i campi di formazione, approfondendo e rielaborando le esperienze vissute singolarmente. Le comunità sono le garanti del buon servizio che sta fornendo un capo».
Francesco vive la formazione come «prendersi cura di sé, dare la possibilità alle domande che ci portiamo dentro di germogliare in consapevolezze. Bisogna però considerare anche l’importanza percepita della formazione da parte degli educatori. Occorre allora una formazione che rimandi sempre all’azione e viceversa che le domande di senso che l’educare comporta orientino le proposte formative. In fondo è il buon vecchio concetto di “formazione permanente”, che oggi papa Francesco esprime in modo efficace nell’invito a essere contemporaneamente discepoli-missionari».

Quali obiettivi dovrebbero darsi i soggetti che formano gli educatori?
«Ogni “comunità che educa alla fede” – evidenzia Francesco – deve saper mettere al centro la persona dell’educatore e la sua crescita umana e spirituale. Se così non fosse rischiamo in qualche modo di prendere in giro chi svolge un servizio, di non dargli il giusto valore. Come hanno detto i giovani nel Sinodo: “A volte sembra che contiamo qualcosa solo se prestiamo un servizio in qualche forma”. Le competenze relazionali, le modalità più opportune di gestione delle attività, le questioni di metodo sono certamente importanti, ma il primato è della persona».
La formazione al ruolo educativo non può essere solo una questione di conoscenze, tecniche e metodo. «Questi sono elementi certamente importanti e fondamentali perché danno contenuto alle attività proposte ai ragazzi, ma non bastano – spiegano Lucia e Marco – La formazione è 
soprattutto personale, perché deve investire globalmente la crescita e la maturazione umana dell’educatore. Se poi l’educatore si riconosce 
nei valori del Vangelo, come nel caso dello scoutismo cattolico, tale crescita deve essere anche spirituale».
Don Mirco, che ci “svela” il suo terzo verbo – farsi accompagnare – nel box accanto alla testata, per parlare degli obiettivi dei soggetti che formano gli educatori cita alcune righe della rubrica di Concita De Gregorio su Repubblica del 18 luglio. Si intitola: “Compiti scolastici per l’estate, ai genitori”. «La giornalista riporta la lettera che il maestro Roberto, di Piacenza, ha indirizzato ai genitori dei suoi alunni. A un certo punto scrive: “Ho una richiesta: se vogliamo che i nostri figli crescano mostrando amicizia, solidarietà e aiuto verso chi ha bisogno, dovremmo smetterla di pensare solo ai nostri figli, ma dovremmo avere a cuore tutti i cuccioli, tutta la nidiata della classe”. La formazione degli educatori, quindi, non riguarda solo loro! È la comunità intera che educa. È la comunità intera che cresce insieme ai suoi ragazzi, giovanissimi, giovani, adulti, famiglie...».

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