Accesso agli alloggi Erp, Unar all’Anci: “No a regolamenti comunali discriminatori”

Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Unar, ha indirizzato una lettera al Presidente dell’Anci affinché i criteri adottati da alcuni comuni per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica rispettino la normativa nazionale. Nel mirino soprattutto il criterio del “radicamento territoriale” e l'onere di documentazione aggiuntiva, ad evidente danno degli stranieri

Accesso agli alloggi Erp, Unar all’Anci: “No a regolamenti comunali discriminatori”

Lo scorso 16 febbraio, Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) ha indirizzato una lettera al Presidente dell’Anci Antonio Decaro affinché i criteri adottati da alcuni comuni per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica rispettino la normativa nazionale in materia di parità di trattamento, soprattutto nei confronti di alcune categorie di persone che versano in stato di bisogno.
“In una piena ottica di collaborazione e di messa al servizio di tutti i Comuni italiani l’ufficio ha redatto delle linee guida perché possano fungere da concreto ausilio per i Comuni che gestiscono l’assegnazione degli alloggi Erp in favore di migliaia di famiglie – scrive l’Unar -, al fine di evitare un eventuale contenzioso in materia di violazione delle norme antidiscriminatorie. Ci auguriamo, che tali note giuridiche contenenti una rispettosa interpretazione delle norme in materia di parità di trattamento, in combinato disposto con la recente giurisprudenza costituzionale sul punto, possano indirizzare quei Comuni che hanno scelto attraverso specifici criteri di limitare la platea che può avere accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, verso una rimozione tempestiva di ogni forma di discriminazione”.

Il parere dell’Unar

Il documento dell’Unar si sofferma in particolar modo sul criterio della residenzialità storica, ovvero quello di un punteggio aggiuntivo in favore delle persone che vivono da più anni in un territorio per determinare se esso, anche alla luce della vigente normativa e delle pronunce della Corte Costituzionale, sia legittimo o meno.
E questo perché il concetto del “radicamento territoriale” viene sempre più spesso utilizzato negli ultimi anni dagli enti locali, specie con riferimento all'accesso a prestazioni sociali e servizi quali appunto l'edilizia residenziale pubblica. E tale scelta ha generato, sottolinea l’Unar, “un notevole contenzioso sia in sede civile che costituzionale”.
Per ciò che concerne il “diritto alla casa”, l’Unar ricorda che la Corte Costituzionale nella sentenza 44/2020 afferma: "Il diritto all'abitazione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione ed è compito dello Stato garantirlo, contribuendo così a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana. Benché non espressamente previsto dalla Costituzione, tale diritto deve dunque ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili e il suo oggetto, l'abitazione, deve considerarsi bene di primaria importanza”.
Quindi, per l’Unar, “è proprio alla luce della sentenza della Corte Costituzionale che va affrontata la questione dei Regolamenti contenenti la previsione di uno specifico punteggio assegnato sulla base dell'anzianità di residenza in un determinato territorio. Il predetto requisito, infatti, può comportare una discriminazione indiretta per tutti quelli che, nella maggior parte dei casi stranieri, sono solitamente residenti da minor tempo rispetto a chi è nato e cresciuto in quello stesso Comune”.
Secondo l’Unar, la discriminazione che può derivare da questo meccanismo è così evidente che la Corte Costituzionale con la sentenza 44/2020 è intervenuta chiarendo in modo definitivo che sono illegittimi i requisiti della richiesta di una residenza quinquennale così come ogni altro analogo meccanismo che possa determinare una discriminazione nell'accesso a un bene o a un servizio pubblico da parte di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. “Si rammenta, inoltre che l'art. 11 della direttiva 2003/109 prevede, in favore dei lungo-soggiornanti, una espressa clausola di parità di trattamento ‘nelle procedure per l'ottenimento di un alloggio’ senza possibilità di deroga, ne da parte delle Regioni, ne da parte dello Stato”.
Inoltre, continua l’Unar, “l'art. 43, comma 2) lett. c) del T.U. Immigrazione vieta l'apposizione di condizioni più svantaggiose o il diniego ‘all’accesso all’occupazione, all'alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità".
E con particolare riferimento all'accesso all'abitazione l'art. 40 co. 4 D. Lvo 286/98 prevede poi che “lo straniero regolarmente soggiornante può accedere ad alloggi sociali, collettivi o privati, predisposti secondo i criteri previsti...".
Non solo. L’Unar ricorda anche che diverse leggi regionali (tra le quali Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Abruzzo, ecc.) in materia di Erp “prevedono l'ulteriore requisito della impossidenza di altro alloggio, in forza del quale possono accedere agli alloggi pubblici solo i richiedenti che non possiedono un immobile  di proprietà in nessun Paese del mondo”.
In relazione a questo requisito, come si ricorderà,  alcuni hanno poi introdotto l'obbligo, per i soli cittadini extra Ue, di produrre, in sede di verifica dei requisiti di accesso, certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare, al fine di provare che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese di provenienza. “Ciò comporta, di fatto – afferma l’Unar -, l'esclusione dalle graduatorie di assegnazione di molte famiglie straniere, anche se talune versano in condizione di grave bisogno”.

Tutto ciò premesso, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri afferma che tutto ciò è illegittimo per diversi motivi.
In particolare: “L'onere di documentazione aggiuntiva è in contrasto con il diritto alla parità di trattamento dello straniero nei rapporti con la pubblica amministrazione sancito dall'ari-2, comma 5, TU immigrazione. Spesso infatti il cittadino straniero incontra molte difficoltà ad ottenere tempestivamente la documentazione richiesta per l'assenza di una autorità competente che possa rilasciarla o la lentezza delle procedure burocratiche, oppure diversamente può ottenerla solo a costi esorbitanti”. Inoltre, “l'onere di documentazione aggiuntiva crea dunque una disparita di trattamento tra italiani e stranieri”. Infine, “il requisito della residenzialità storica favorendo ipso facto i cittadini italiani, in particolar modo quelli nati nello specifico territorio ove il requisito è previsto e premiato, costituisce una discriminazione indiretta che colpisce i cittadini stranieri che, per il fatto di non esser nati e cresciuti in quello specifico territorio, avranno meno anni di premialità”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)