Agricoltura da primato, ma non basta. La produzione agricola italiana nonostante Covid-19 è al primo posto in Europa

L’Italia sconta adesso e in breve tempo, ritardi pluridecennali di una politica agroalimentare che ha guardato forse troppo spesso ai prodotti blasonati e troppo poco alle grandi produzioni agroalimentari.

Agricoltura da primato, ma non basta. La produzione agricola italiana nonostante Covid-19 è al primo posto in Europa

L’agricoltura italiana è sempre da primato. Al primo posto, in Europa, in fatto di valore aggiunto, tra le prime fonti di lavoro, meta ormai ambita anche tra le giovani leve, presidio dell’ambiente e del territorio. L’agricoltura nostrana è ormai tutto questo. Oltre che – come si sente spesso affermare -, uno dei gioielli del Made in Italy in giro per il mondo. Molti numeri parlano chiaro e indicano il bicchiere mezzo pieno. Altri numeri, invece, fanno cogliere il bicchiere mezzo vuoto e dicono di un comparto che comunque risente degli effetti della pandemia ma, in generale, di una condizione le cui origini risalgono a prima di Covid-19. La realtà sta naturalmente nel mezzo, ma può essere compresa solo cercando di guardare insieme ai problemi e alle opportunità.

Stando a quanto indicato da Coldiretti (che ha analizzato i dati Istat 2020 confrontati con quelli europei), l’agricoltura italiana si classifica nel 2020 al primo posto in Europa per valore aggiunto con 31,3 miliardi di euro davanti a Francia (30,2 miliardi di euro) e Spagna (29,3 miliardi di euro). Certo, una diminuzione del giro d’affari c’è stata. Il calo di valore aggiunto lordo ai prezzi base è stato pari a 6,1% in volume, e le unità di lavoro sono diminuite del 2,4%. Anche tenendo conto della congiuntura avversa, l’agroalimentare promette poi di fornire, se ben gestito, un milione di posti di lavoro in più nei prossimi dieci anni. Servono però, investimenti orientati a quella che gli esperti chiamano “digitalizzazione verde”, ma anche in infrastrutture e ricerca. Occorre poi una accresciuta consapevolezza del ruolo determinante anche per l’economia moderna della produzione agroalimentare (consapevolezza che, a dire il vero, Covid-19 ha contribuito a formare).

Poi c’è la situazione contingente con la quale confrontarsi.

I campi e le stalle d’Italia hanno dovuto fare i conti con problemi fortissimi di reperimento della manodopera: una condizione dovuta non solo alla chiusura delle frontiere, ma anche alla scarsità di strumenti legislativi in grado di rendere più flessibile il mercato del lavoro. Le ripetute severe misure di contenimento della circolazione e della socialità, hanno poi compresso molto numerosi mercati di sbocco, determinando perdite miliardarie a tutta la filiera agroalimentare. Di contro, alcuni costi di produzione sono cresciuti (basta pensare a questo proposito agli alimenti per gli animali). Più in generale, hanno fatto notare i coltivatori diretti ma non solo loro, “l’emergenza Covid sta innescando un nuovo cortocircuito sul fronte delle materie prime nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities”. Che, detto in altri termini, significa una cosa: l’Italia sconta adesso e in breve tempo, ritardi pluridecennali di una politica agroalimentare che ha guardato forse troppo spesso ai prodotti blasonati e troppo poco alle grandi produzioni agroalimentari.

Di fronte a questa situazione a due facce, coltivatori e osservatori del comparto indicano la necessità di un percorso di sviluppo nel quale tappe fondamentali sono la digitalizzazione delle aree rurali, il recupero dei terreni abbandonati, la creazione di “foreste urbane” per mitigare l’inquinamento in città, la costruzione di invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua, un’accelerazione della chimica verde e dell’uso delle bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici. Tutto senza dimenticare interventi specifici su produzioni particolari come i cereali, l’allevamento, i prodotti di “quarta gamma”, l’olivicoltura. In altre parole, c’è molto da fare, anche se si parte da una materia prima di grande qualità.

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Fonte: Sir