Al Vinitaly la vetrina e le nuove strategie. Il nostro vino è sempre il più buono

Quello del vino continua ad essere il settore principe dell’agroalimentare nazionale, ma concorrenza e nuovi mercati sfidano i produttori a fare ancora meglio.

Al Vinitaly la vetrina e le nuove strategie. Il nostro vino è sempre il più buono

Bene ma con giudizio. Potrebbe essere questa l’immagine più calzante della vitivinicoltura nazionale, se occorresse sintetizzare la situazione del comparto agroalimentare italiano sicuramente più importante nel mondo. Perché le vigne nostrane hanno chiuso un buon, ma non brillante 2018, e guardano ad un 2019 con un certo grado di fiducia, seppur mitigato da molti problemi. A fornire l’occasione per un’istantanea d’insieme del settore, ci penserà l’edizione annuale del Vinitaly di Verona (dal 7 al 10 aprile prossimi), che continua ad essere il punto d’incontro di tutto il comparto.

A voler essere brevi, è possibile dire che quello del vino continua ad essere il settore principe dell’agroalimentare nazionale, riesce a raggiungere vette in termini di valore e di quantità, ma deve comunque sempre guardarsi da una concorrenza accesa (prima di tutto francese ma non solo), dalle imitazioni dilaganti e, forse più di tutto, dalla difficoltà che sconta ancora oggi nel presentarsi adeguatamente “unito” sui mercati internazionali. Per questo gli operatori del settore guardano ai prossimi mesi in modo positivo – qualità e capacità non mancano -, ma anche molto attento: basta poco per vedersi sorpassare da chi è più agguerrito. Proprio al Vinitaly scaligero strategie commerciali e di prodotto, nuove etichette e sollecitazioni di mercato si confronteranno: dai vini tradizionali e magari blasonati a quelli biologici, passando per le aggregazioni di produttori e i nuovi mercati.

Intanto a parlare sono i numeri. Così, se Ismea (che tiene sotto controllo l’andamento dei mercati agroalimentari), parla di un 2018 con 55 milioni di ettolitri di vino prodotti di cui quasi 20 milioni indirizzati verso i mercati esteri che confermano all’Italia “il suo ruolo di leader mondiale nella produzione di vino e consolida la sua posizione di esportatore”, gli operatori singoli e gli analisti sono molto attenti a valutare il futuro. Stando alle impressioni raccolte dall’agenzia specializzate Winenews.it, il vino italiano nel mondo “fatica in Usa e resiste senza brillare in Cina, pur mantenendo le proprie posizioni sui principali mercati del Vecchio Continente”. Con tutte le differenze del caso fra produttore, le etichette nazionali appaiono sempre in prima fila ma come un po’ appannate, mentre molte voci evidenziano la necessità di “porsi obiettivi più chiari” e quindi strategie migliori, oltre che “di fare squadra”. Anche perché gli scenari cambiano sulla base del tipo di vino e della geografia.

Così, a ben guardare i numeri, si capisce che a spingere le esportazioni (che sono arrivate a 6,2 miliardi) sono stati solo gli spumanti e i vini Dop. Dal punto di vista geografico, per capire meglio basta un esempio, quello dei mercati asiatici nei quali il comportamento del nostro Paese è stato ben sintetizzato da una analisi di Nomisma-Wine Monitor: “L’Italia va a passo di marcia, i competitor di corsa”, anche se (speriamo) “il futuro è tricolore”. Un esempio: le vendite in Cina in 5 anni sono cresciute dell’80% mentre le importazioni “da mondo” hanno segnato un +106%. Ciò che conta, poi, è il rapporto in valore. Una situazione che viene spiegata bene dalla Coldiretti proprio con riferimento allo spumante. “Nella classifica delle bollicine italiane preferite nel mondo – dice infatti l’organizzazione agricola -, ci sono tra gli altri il Prosecco, l’Asti e il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese, tanto che proprio sul mercato transalpino si registra l’incremento maggiore delle vendite con un eccezionale +18%. Lo spumante pur avendo surclassato lo champagne sui mercati esteri spunta tuttavia ancora quotazioni per bottiglia che sono circa quattro volte inferiori sul mercato statunitense”.

Sul futuro poi pesa il pasticcio della Brexit. Sempre i coltivatori diretti, ma non solo, hanno più volte sottolineato che proprio con “quasi una bottiglia esportata su due consumata dagli inglesi è il Prosecco il prodotto simbolo del Made in Italy in Gran Bretagna che rischia di essere più duramente colpito dalle barriere tariffare e dalle difficoltà di sdoganamento che potrebbero nascere da una uscita dall’Unione Europea senza accordo”. Intanto, comunque, pare che si stia riprendendo anche il mercato interno. Ancora l’Ismea ha infatti sottolineato che anche qui “i vini e soprattutto gli spumanti fanno registrare un andamento positivo essendo stati tra i pochi prodotti che hanno mostrato, nel 2018, un deciso segno più negli acquisti delle famiglie: +5,4% la spesa degli spumanti e +4,6% i vini fermi”.

Insomma, il vino italiano è sempre il più buono, ma occorre prendersene cura sempre di più.

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Fonte: Sir