Alzheimer: la teoria della malattia autoimmune e altre ipotesi. Scienza

La malattia di Alzheimer è la più comune forma di demenza. Insorge più frequentemente dopo i 65 anni di età e colpisce più spesso le donne. Come tutte le forme di demenza comporta un progressivo decadimento delle funzioni cognitive, a cominciare dalla memoria. Non a caso il morbo di Alzheimer è stato definito “la malattia del secolo”: nel mondo, attualmente, ne soffrono oltre 55 milioni di persone (dati OMS), ma la tendenza è all’aumento, con previsioni che raggiungono i 78 milioni entro il 2030!

Alzheimer: la teoria della malattia autoimmune e altre ipotesi. Scienza

Anche quest’anno, l’occorrenza della Giornata mondiale dell’Alzheimer – celebrata il 21 settembre u.s. – è stata occasione di informazione, confronto e speranza, tanto per i pazienti affetti da tale patologia, quanto per chi se ne prende cura e per i ricercatori. La malattia di Alzheimer è la più comune forma di demenza. Insorge più frequentemente dopo i 65 anni di età e colpisce più spesso le donne. Come tutte le forme di demenza comporta un progressivo decadimento delle funzioni cognitive, a cominciare dalla memoria. Non a caso il morbo di Alzheimer è stato definito “la malattia del secolo”: nel mondo, attualmente, ne soffrono oltre 55 milioni di persone (dati OMS), ma la tendenza è all’aumento, con previsioni che raggiungono i 78 milioni entro il 2030! Si tratta di una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane, oltre a rappresentare la 7a causa di morte nel mondo. In Italia, secondo stime dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), circa 1.100.000 persone soffrono di demenza (di cui il 50-60% sono malati di Alzheimer, circa 600mila persone).

Purtroppo, parliamo di una malattia le cui cause non sono ancora state chiarite, né è stata individuata una cura risolutiva. L’ipotesi più accreditata degli ultimi 15 anni, infatti, che individuava la principale causa della malattia negli accumuli di proteina beta-amiloide sui neuroni, potrebbe essere stata frutto di una manipolazione comunicativa e, comunque, non ha condotto alla messa a punto di trattamenti efficaci. Ne è deludente esempio il tanto decantato “aducanumab” (farmaco approvato negli USA nel 2021), che, pur eliminando le placche amiloidi, non sembra dare reali benefici di sorta a fronte dei rischi per chi l’assume.

Ecco allora che i ricercatori provano a formulare ipotesi eziologiche alternative, che spieghino la malattia in altro modo. Una su tutte: se l’Alzheimer non fosse una malattia del cervello, ma una malattia del sistema immunitario all’interno del cervello? Tale ipotesi (riassunta in un articolo pubblicato su “The Conversation”) è stata avanzata da un gruppo di scienziati, del Krembil Brain Institute di Toronto (Canada), coordinati da Donald Weaver. Essa parte dal considerare la beta-amiloide non una proteina prodotta in condizioni anomale (ossia patologiche), bensì una molecola normalmente presente nel cervello come parte del sistema immunitario. Se sopraggiungono un trauma o un’infezione batterica, la proteina beta-amiloide entra in azione “a difesa” dei neuroni. A questo punto, però, – spiegano Weaver e colleghi – probabilmente si verifica una specie di equivoco biologico. Poiché il rivestimento lipidico dei batteri somiglia a quello delle cellule nervose, la beta-amiloide non riuscirebbe a distinguere tra le due diverse membrane, finendo per prendere di mira l’obiettivo sbagliato: non i batteri invasori, ma i neuroni che avrebbe dovuto proteggere. Così le placche amiloidi “soffocano” i neuroni, facendo perdere loro funzionalità e causando un progressivo declino cognitivo del paziente, insieme agli altri sintomi su comportamento, umore e personalità tipici della malattia di Alzheimer. Secondo tale ipotesi, dunque, il meccanismo di “autosabotaggio” della proteina beta-amiloide somiglierebbe ad una tipica reazione autoimmune, del tutto simile a quella che si verifica in tante altre malattie causate da autoanticorpi impazziti. Tuttavia, finora, i farmaci impiegati contro patologie autoimmuni note, come l’artrite reumatoide, non si sono dimostrati efficaci contro l’Alzheimer. Weaver e colleghi, però, sperano che continuando a ricercare in questa direzione (andando cioè alla ricerca di regolatori della risposta immunitaria) si potrà un giorno individuare una soluzione efficace.

Oltre alla teoria della malattia autoimmune, un’altra recente ipotesi parecchio originale (pubblicata su “Molecular Psychiatry”) prova a dare una spiegazione alternativa del morbo di Alzheimer: si tratterebbe di una malattia dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule (incluse quelle cerebrali), che convertono ossigeno e glucosio in energia. Secondo questo studio, una mutazione di un gene da poco scoperto nei mitocondri sarebbe associata a un rischio del 20-50% più alto di sviluppare la malattia di Alzheimer. Il gene in questione regola la produzione di una piccola proteina (chiamata SHMOOSE) che, se presente, inattiva la mutazione stessa. Poiché la mutazione “incriminata” si ritrova in circa un quarto della popolazione di origine europea, la scoperta potrebbe rappresentare un’aggiunta importante ai (finora pochi) fattori di rischio genetico noti dell’Alzheimer.

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Fonte: Sir