Anche le cellule piangono. Gli studi sulle ghiandole lacrimali

Questi organoidi "specializzati" nella produzione di lacrime potrebbero risultare di grande utilità per studiare, ed eventualmente trattare, i disturbi che causano la sindrome dell’occhio secco.

Anche le cellule piangono. Gli studi sulle ghiandole lacrimali

“Una lacrima sul viso…” cantava Bobby Solo in un suo grande successo dei primi anni ’60. Anche lui, infatti, – come tutti noi – dava per scontato che il posto giusto per lo scorrere di una lacrima fosse un viso e nient’altro. Ma, si sa, la scienza non finisce mai di sorprenderci!
Ecco allora gli studiosi all’opera, mentre si cimentano in un’impresa alquanto curiosa: far piangere le cellule! E pure in poco tempo! Con la giusta esperienza e un po’ di stimoli adeguati, infatti, i ricercatori ci sono riusciti in mezz’ora appena (finora, ci avevano sempre messo quasi un giorno). La ricerca, descritta in un recente articolo (pubblicato su “Cell Stem Cell”), è stata realizzata dal biologo dello sviluppo Hans Clevers, dell’University Medical Center di Utrecht (Paesi Bassi), che è riuscito a produrre – per la prima volta – in laboratorio degli “organoidi” (piccoli ammassi tridimensionali di cellule progettati per assomigliare a versioni in miniatura di organi) composti di cellule delle ghiandole lacrimali. Questi organoidi “specializzati” nella produzione di lacrime potrebbero risultare di grande utilità per studiare, ed eventualmente trattare, i disturbi che causano la sindrome dell’occhio secco (ad es. la sindrome di Sjögren). E’ noto infatti che, oltre a rivelare le nostre emozioni, le lacrime aiutano a lubrificare e proteggere l’occhio. E, in loro assenza, gli occhi secchi possono essere dolorosi, infiammati e soggetti a varie infezioni.

Il gruppo di ricerca di Clevers non è nuovo a queste imprese; era già riuscito, infatti, a far crescere “in vitro” un variegato repertorio di organoidi, tra cui fegati in miniatura, tumori cervicali e ghiandole velenifere di serpente.
L’utilità di questo nuovo studio è evidenziata dal fatto che le ghiandole lacrimali sono particolarmente difficili da studiare. La loro collocazione anatomica, sopra ogni bulbo oculare, dietro l’osso orbitale, rende infatti complicato effettuare una biopsia sui loro tessuti. E gli eventuali campioni ottenuti sono spesso minuscoli.
Clevers e i suoi colleghi hanno usato la propria esperienza per elaborare le condizioni ottimali per la coltura di cellule delle ghiandole lacrimali di topi e di esseri umani. Per stimolare la produzione di lacrime, i ricercatori hanno poi esposto i loro organoidi a varie sostanze chimiche (tra cui il neurotrasmettitore “norepinefrina”, che veicola i segnali tra le cellule nervose e le ghiandole).
Ma come fanno a “piangere” questi organoidi, che non hanno un viso per far scorrere le loro lacrime, né i dotti per convogliarle all’esterno? Ebbene, la produzione di “lacrime” li fa gonfiare. “Se ci fosse stato un piccolo canale – spiega Clevers – si sarebbero viste delle goccioline”.

Il team del biologo olandese spera ora che le cellule formate possano essere utilizzate per studiare le ghiandole lacrimali e per lo screening di farmaci che influenzano lo sviluppo delle lacrime. In particolare, gli organoidi derivati da cellule umane potrebbero anche fornire materiale per i trapianti, allo scopo di sostituire le ghiandole lacrimali malate o danneggiate.
Non pago dei risultati ottenuti, il gruppo di Clevers e i suoi collaboratori hanno anche sviluppato organoidi delle ghiandole salivari, che saranno testati a partire da quest’estate in studi clinici per chi soffre di bocca secca, una condizione che può causare carie e difficoltà di masticazione e percezione dei sapori. I risultati che si otterranno potrebbero poi servire come terreno di prova per elaborare nuove metodiche che, adattate, aprirebbero la strada a futuri trapianti di ghiandole lacrimali. Nel frattempo, il lavoro fatto dal team di Clevers per caratterizzare le ghiandole lacrimali – compresa la creazione di una mappatura dettagliata cellula per cellula delle strutture e dei loro organoidi – ha dimostrato che le ghiandole sono più eterogenee di quanto precedentemente stimato, cosa che potrebbe indurre i ricercatori a reinterpretare vecchi dati già acquisiti.

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Fonte: Sir