Aree interne, sempre più giovani donne scelgono di restare. “Investire su di loro”

I nuovi dati della ricerca condotta dall’associazione Riabitare l’Italia e coordinata da Andrea Membretti dell’Università di Pavia, ribaltano la prospettiva dell’abbandono. Sono le donne a scommettere di più sul proprio futuro in questi territori. “Mostrano un potenziale di innovazione maggiore”

Aree interne, sempre più giovani donne scelgono di restare. “Investire su di loro”

Il futuro delle aree interne del nostro paese, soprattutto nel Sud Italia, dipende dalle giovani donne: più degli uomini decidono di restare, ma hanno bisogno di poter accedere a risorse e investimenti. La ricerca-azione “Giovani dentro” - promossa dall’associazione Riabitare l’Italia, con il cofinanziamento della Fondazione Peppino Vismara e Coopfond, in partnership con il Crea per la Rrn, il Gssi, Eurac Research, Cps e l’Osservatorio Giovani dell’Università di Salerno - continua a fornire preziose informazioni sulle aree interne di tutta Italia e sulle motivazioni che spingono i giovani tra i 18 e i 39 anni a “restare” o a “ritornare” in questi territori. Dopo la diffusione dei primi risultati della ricerca condotta su un campione rappresentativo a livello nazionale, il team di ricerca guidato da Andrea Membretti, professore di Sociologia del territorio all’Università di Pavia, ha analizzato i risultati di una survey condotta online tra i soggetti più attivi nelle aree interne.

La nuova indagine permette di approfondire le ragioni di chi resta. Secondo i primi dati raccolti a dicembre 2020 con una rilevazione SWG, oltre la metà dei giovani tra i 18 e 39 anni (il 67%) è orientato a rimanere nel comune delle aree interne in cui vive. Ora, attraverso il questionario diffuso online, il team di ricerca presenta un quadro più dettagliato dei cosiddetti “restanti”. “L’immagine che emerge dai primi risultati dell’indagine rappresenta quella parte della popolazione giovane che sceglie di restare o di ritornare nel proprio territorio - spiega l’associazione in una nota -. Territori che nell’immaginario comune sono ritratti come luoghi in via di spopolamento che non offrono più opportunità concrete formative e lavorative. Un’immagine che negli ultimi anni non rispecchia più questa visione, ma appare sempre di più come un luogo capace di accogliere e di offrire uno stile di vita semplice, a contatto con la natura e la propria comunità”.

Più del 70% degli intervistati attraverso la survey online dichiara di aver terminato gli studi e di essere entrato nel mondo del lavoro e ciò vale soprattutto per le donne. Il 60% ha passato un periodo fuori dal proprio comune per esperienze di lavoro (un periodo superiore ad un anno in Italia e da uno a tre mesi all’estero), mentre il 54% degli intervistati ha frequentato o sta frequentando l’università, di cui il 30% sono donne. Inoltre, il 74% svolge un’attività lavorativa, di cui più del 20% è impegnato nel settore dell’agricoltura. Quasi il 30% ha un’attività autonoma o ha avviato una propria idea imprenditoriale e il 28% ha un lavoro a tempo indeterminato, mentre i giovani tra i 18-29 anni sono quelli più caratterizzati dalla precarietà lavorativa. Infine, circa il 60% dei soggetti è costretto a spostarsi al di fuori del proprio comune per poter raggiungere i servizi sanitari e servizi pubblici vari, per poter fare acquisti e partecipare ad eventi culturali, come mostre, cinema e concerti. Per Andrea Membretti, il dato più rilevante di questa seconda fase dello studio è proprio la forte presenza di giovani donne tra quanti decidono di restare, soprattutto nel Sud Italia. “È un dato di fatto che la presenza femminile sta aumentando in maniera significativa all’interno di questi contesti - spiega Membretti -. Lo abbiamo notato anche con lo sportello di consulenza gratuita “Vivere e lavorare in montagna” attivo a Torino: negli ultimi mesi, rispetto all’anno scorso, abbiamo avuto un aumento di richieste da parte di giovani donne. Da diversi angoli visuali, quindi, vediamo che le giovani donne cominciano ad avere un interesse importante nei confronti del radicamento, del ritorno e della restanza nelle aree interne”. Un secondo dato interessante emerso da questa nuova rilevazione riguarda la formazione. “Continuiamo a parlare di gente che abbandona le aree interne perché vuole studiare e formarsi altrove - spiega Membretti -, mentre i dati ci parlano di soggetti formati altrove e poi tornati sul territorio”. Persone che hanno anche una forte capacità di innovazione, aggiunge Membretti. “Spesso queste persone mettono in campo delle iniziative che hanno un potenziale di innovazione significativo, anche nei settori più tradizionali, sfruttando le competenze che hanno acquisito per creare innovazione sui prodotti o di mercato”. E sono ancora una volta le giovani donne le protagoniste in questo ambito. “Le donne sono quelle che mostrano un potenziale di innovazione maggiore - spiega Membretti -, proprio perché, soprattutto al Sud, si confrontano con un contesto che fino a pochi anni fa non era particolarmente favorevole allo sviluppo di iniziative portate avanti da loro”.  La ricerca condotta dal team guidato da Membretti, tuttavia, non è ancora giunta al termine ma suggerisce già alcune riflessioni su come e dove investire per sostenere i giovani delle aree interne. “Occorre innanzitutto investire sulle giovani donne - spiega Membretti -. Ci sono già state delle linee di finanziamento e di supporto alle imprese al femminile. I dati che abbiamo raccolto ci dicono che è questo il primo passo: investire nelle giovani donne e non solo nel Sud Italia”. Un secondo intervento necessario è quello delle risorse. “Non servono solo risorse a fondo perduto, che sono comunque importanti e speriamo arrivino attraverso il Pnrr, ma serve anche l’accesso al credito agevolato e al microcredito. Nella maggior parte dei casi abbiamo iniziative che non sono bancabili nel senso tradizionale del termine. Per questo occorre attivare un credito agevolato per i giovani delle aree interne”.

Occorre poi favorire meccanismi di condivisione di risorse e know-how. “Serve una connessione che consente di fare massa critica - spiega Membretti -, di scambiare informazioni e condividere strumenti e risorse”. Infine, c’è il tema della formazione specifica. “Questo tipo di formazione non è quella che offrono di solito gli istituti tecnici, men che meno è quella che offrono gli ambiti universitari - spiega Membretti -. Serve quindi una formazione che sia davvero indirizzata al territorio. In Italia, questo tipo di formazione, manca”.

Gianni Augello

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)