Autismo: una neurodiversità. Le nuove tendenze terapeutiche per le persone autistiche

In Italia, si stima che 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza nei maschi 4,4 volte maggiore rispetto alle femmine.

Autismo: una neurodiversità. Le nuove tendenze terapeutiche per le persone autistiche

I disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorders, ASD) riguardano oggi un numero significativo di persone. Si tratta di un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo, caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale, in molteplici contesti e pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti, ripetitivi. Una condizione la cui prevalenza pediatrica è stimata in circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In Italia, si stima che 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza nei maschi 4,4 volte maggiore rispetto alle femmine.
Fino a dieci anni fa, i terapeuti dibattevano di come raggiungere il “risultato ottimale” per i bambini dello spettro autistico. La tendenza prevalente era orientata a modificare i tipici comportamenti associati alla condizione (sopprimere le azioni ripetitive come agitare le mani, costringere i bambini piccoli a stabilire un contatto visivo, provare il linguaggio e le interazioni sociali), in modo che alla fine i bambini trattati non soddisfacessero più i criteri diagnostici per l’autismo. Un obiettivo effimero e sfuggente, per di più raggiunto solo da una piccola percentuale di pazienti. Oggi, non v’è studioso che non consideri tale approccio un errore di mentalità, come conferma un interessante articolo pubblicato di recente su “Jama Pediatrics”.
“Siamo passati – spiega Geraldine Dawson, direttrice del Duke Center for Autism and Brain Development di Durham, nel North Carolina, e co-autrice dell’articolo – dal pensare all’autismo come una condizione che deve essere eliminata o risolta a pensare all’autismo come una parte della neurodiversità che esiste in tutto il genere umano. La domanda diventa quindi: come possiamo sostenere al meglio le persone autistiche e come misurare i miglioramenti se si conducono studi clinici?”.
Dawson e colleghi sottolineano poi come si stia consolidando una diffusa rivalutazione degli obiettivi della terapia e dei parametri di misurazione del successo, in parte stimolata dagli stessi soggetti con disturbi dello spettro autistico. Proprio questi, infatti, hanno fatto sentire la loro voce, reclamando un maggiore apprezzamento per i vantaggi che la società trae dall’avere diversi tipi di “cervelli” che contribuiscono al nostro mondo, nonché una maggiore consapevolezza dell’impatto negativo che si ottiene cristallizzandosi sull’esigenza che le persone con autismo si comportino in modi non naturali per loro.
Naturalmente, con ciò non si vuole minimamente sminuire l’importanza dell’intervento precoce per i bambini con diagnosi di autismo. Certamente, quindi, le terapie dovrebbero mirare a rimediare ai disturbi che caratterizzano la condizione (es. le difficoltà a comunicare e a stabilire relazioni sociali) e a ridurre i comportamenti dannosi e dirompenti (es. lo sbattere la testa e i fare i capricci). Oggi, però, cresce la consapevolezza del fatto che un risultato ottimale dipende dalle capacità e dai desideri dell’individuo e della sua famiglia, senza dover essere necessariamente focalizzato sul conformarsi al comportamento tipico. Ad esempio, non avrebbe molto senso che i terapeuti si concentrassero sul cambiamento di comportamenti che sono essenzialmente innocui. Citando il caso di un adolescente che ha detto al suo terapeuta di non voler più lavorare sul mantenere il contatto visivo, Dawson spiega: “La richiesta dovrebbe essere accolta. Se pensiamo alle persone che si conoscono, ce ne sono alcune che mantengono molto il contatto visivo e altre che lo fanno meno se qualcuno si dondola avanti e indietro perché si sente più tranquillo, credo che la nostra società dovrebbe accettare diversi modi di stare al mondo”.
Esiste ormai un trasversale “movimento per la neurodiversità”, che combatte lo stigma, incoraggiando gli scienziati a studiare l’alto costo del conformismo forzato per le persone con autismo. Del resto, la lotta per mantenere un aspetto “neurotipico” inevitabilmente distoglie l’attenzione da altre cose. “Se si controlla costantemente – afferma Ari Ne’eman, cofondatore dell’Autistic Self Advocacy Network – dove sono puntati gli occhi e se si sta parlando troppo delle cose che ci interessano, quella è tutta energia e carico cognitivo che non vengono spesi altrove”. Ne’eman, autistico egli stesso e dottorando in politica sanitaria alla Harvard University, esprime anche preoccupazione per il fatto che gli strumenti utilizzati dai clinici, in realtà, includono pregiudizi nei confronti di determinati comportamenti.
Perciò, le parole d’ordine del “movimento per la neurodiversità” sono: niente su di noi senza di noi. Si vuole sottolineare, cioè, l’esigenza che le persone autistiche e le loro famiglie contribuiscano a definire gli obiettivi della terapia. “Se a sei anni – osserva Connie Kasari, ricercatrice ed esperta di autismo dell’Università della California a Los Angeles, che lavora spesso con soggetti con disturbo dello spettro con un livello verbale minimo – un bambino non parlasse e fosse in grado di farlo a 12, che sia tramite un iPad o con la voce, questo può essere un risultato ottimale. Possono essere molto felici, possono andar bene. Tutto dipende da come si definisce il successo all’interno del proprio mondo”.
In definitiva, “il vecchio obiettivo di uscire dalla diagnosi di autismo – sottolinea Dawson – non è una priorità per molte persone con disturbo dello spettro autistico e quando seguiamo le persone per vedere se la mancanza di diagnosi di autismo è associata a una migliore qualità di vita, vediamo che non lo è. Ciò che è prioritario, è avere un buon lavoro e stabilire relazioni significative”. In altre parole, l’obiettivo imprescindibile potrebbe riassumersi così: essere il più possibile indipendenti, gioiosi e produttivi. Proprio come per ogni essere umano!

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Fonte: Sir