Carcere e Covid, il Garante nazionale: “Sistema carente e comunicazione sbagliata”

Irrompe il 2020 nella Relazione annuale al Parlamento presentata questa mattina in streaming. Tra i temi in rilievo, la gestione dell’emergenza sanitaria, le rivolte, la salute mentale e l’esigenza di accesso alle misure alternative per i detenuti con pene brevi

Carcere e Covid, il Garante nazionale: “Sistema carente e comunicazione sbagliata”

È il 2020, con i suoi lunghi mesi marchiati a fuoco dall’emergenza Covid, a irrompere nella relazione annuale al Parlamento presentata questa mattina in streaming dall’Università Roma Tre, dal Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale, collegio composto dal presidente Mauro Palma, da Daniela de Robert ed Emilia Rossi. Presenti all’evento la vice presidente del Senato, Anna Rossomando, i ministri Luciana Lamorgese e Alfonso Bonafede e la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia.

Non più solo il resoconto delle attività, le proposte e l’analisi di quanto accaduto nell’anno precedente, il documento che racconta i luoghi rinchiusi e le persone che vi sono ospitate (dalle carceri ai Centri di permanenza per il rimpatrio, dagli Hotspot alle residenze per anziani, dalle Rems ai servizi ospedalieri psichiatrici) quest’anno compie un salto temporale indispensabile per affrontare qualunque tipo di previsione e formulare proposte. Perché “l’emergenza determinata dal contagio da Covid-19 – si sottolinea nell’introduzione - ha mutato la nostra percezione della difficoltà e del dolore, così come la capacità di analizzare i luoghi dove il dolore già prima di tale emergenza si coagulava perché intrinseco alla privazione della libertà, qualunque ne possa essere la causa che l’ha determinata”.

Carcere e area penale

In primo piano le proteste e i disordini che hanno segnato il mese di marzo 2020, con gravissime conseguenze come la morte di 13 detenuti, il ferimento di altri 69 ristretti, di più di cento agenti di polizia penitenziaria e di 5 operatori sanitari, oltre a consistenti evasioni e danni alle strutture. “Evento tragico – spiega la Relazione parlando della morte dei detenuti - che è stato rapidamente archiviato, quasi come ‘effetto collaterale’ delle rivolte e per il quale il Garante nazionale si è presentato come persona offesa nei relativi procedimenti, nominando anche un proprio difensore e un proprio consulente medico legale”.

Secondo la Relazione, l’emergenza sanitaria ha evidenziato “le pre-esistenti carenze e criticità del sistema penitenziario, enfatizzando la sua inadeguatezza a far fronte al fenomeno che si stava presentando: sovraffollamento degli Istituti, mancanza di spazi destinabili alle necessità sanitarie, diffuso degrado strutturale e igienico in molte aree detentive, debolezza del servizio sanitario. La situazione, che richiedeva estrema tempestività di interventi, è stata affrontata sul piano normativo nel suo complesso, agendo fondamentalmente su due fronti: la prevenzione dell’ingresso del contagio nel carcere e la riduzione della densità della popolazione detenuta”.
“Le novità legislative hanno prodotto effetti diretti piuttosto contenuti – sottolinea il Garante -, ma hanno certamente dato l’avvio a un orientamento generale da parte della Magistratura che ha contribuito a ridurre in mondo consistente la presenza nelle carceri tra marzo e giugno”. I dati raccolti parlano infatti di 61.230 detenuti al 29 febbraio 2020, scesi a quota 53.527 il 23 giugno scorso, con una riduzione che si avvicina alle 8.000 unità.

Sotto la lente del Garante anche la comunicazione nelle settimane segnate dall’emergenza: “sbagliata”, sentenzia la Relazione, perché “tendente a presentare le misure che si stavano per adottare come totalmente preclusive di ogni possibilità di contatto con l’esterno e di proseguimento di percorsi avviati: non solo, comprensibilmente, niente colloqui con persone care cui peraltro era impedito muoversi nel territorio, ma anche niente più semilibertà o permessi o attività che vedesse il supporto di figure esterne. Così quando l’8 marzo si è avuta notizia dell’approvazione del decreto legge che, invece, limitava soltanto e per quindici giorni i colloqui con le persone di riferimento e annunciava la loro sostituzione con l’incremento dei contatti telefonici e l’utilizzo di videochiamate, la sensazione è stata quella dell’avvio dell’annunciata segregazione totale”.

Minori

Nel sistema penale minorile, caratterizzato in Italia da una presenza molto contenuta di giovani negli Istituti (Ipm) a fronte di un’ampia assegnazione a comunità esterne, i dati confermano l’orientamento con 382 presenze in istituto al 31 dicembre 2019 (di cui 163 sotto i 18 anni) e 300 (di cui 123 sotto i 18 anni) al 18 giugno di quest’anno. Mentre sono più di mille i giovani in misura esterna presso Comunità e oltre 2000 quelli in messa alla prova o in misura di prescrizione o di permanenza.

Salute mentale in carcere

“Vuoti, inerzie, carenze, bisogno: la situazione della tutela della salute mentale negli Istituti penitenziari italiani, maturata nel corso dell’ultimo anno, si può sintetizzare in questi parametri, che toccano, implacabilmente, i campi di possibile azione legislativa, culturale, sanitaria”. Sul tema la Relazione non fa sconti e va dritta al punto sottolineando che “i segnali provenienti dal numero dei casi di suicidio (53 nel 2019) e dal costante aumento di episodi di autolesionismo e di atti aggressivi all’interno della popolazione detenuta e verso il personale di Polizia e civile che opera negli istituti, indicano un progressivo incremento del disagio generale”.
Secondo il Garante “rimane un vuoto normativo” che equipari a quella fisica, la malattia psichica insorta o maturata durante la detenzione, con la proposta contenuta nella legge delega di riforma dell’Ordinamento penitenziario che non ha avuto alcun seguito. Alla “lacuna da sanare” si aggiungono, in base alla Relazione, “le carenze strutturali e di gestione: dei 191 Istituti penitenziari per adulti, soltanto 32 sono dotati di una cosiddetta ‘Articolazione per la tutela della salute mentale’, cioè di una specifica sezione all’interno dell’Area sanitaria, destinata alla presa in carico in piena connessione con i Servizi territoriali, della persona con disturbi psichici”.

Suicidi

Sono 24 i suicidi registrati dall’inizio dell’anno a oggi, “un numero – sottolinea la Relazione -, per quanto può contare una valutazione parziale, superiore a quello dell’ultimo anno: alla stessa data di oggi erano 20 nel 2019. Occorre segnalare inoltre che ben cinque suicidi hanno coinvolto persone che in libertà erano senza fissa dimora e che in più di un caso si è trattato di persone che avevano appena fatto ingresso in Istituto e, conseguentemente, erano state collocate in isolamento sanitario precauzionale, come avviene per tutti i nuovi giunti”.

Pene brevi

“Attualmente, sono 867 le persone detenute che scontano una pena inferiore a un anno e 2.274 una pena compresa tra uno e due anni (pena inflitta e non residuo di pena maggiore). Così come vi sono 13.661 persone detenute che hanno un residuo di pena inferiore a due anni. Situazioni che pongono interrogativi circa il loro mancato accesso a misure alternative e che fanno emergere una dimensione ‘classista’ del sistema ordinamentale”.
Nel complesso il Garante giudica la risposta governativa all’emergenza Covid come “un primo passo importante, soprattutto dal punto di vista culturale” verso la riduzione della popolazione detenuta. “Un primo passo, cui avrebbero dovuto seguirne altri più incisivi anche per affrontare una criticità sistemica che richiede un ripensamento complessivo sull’esecuzione delle pene e sulla unicità della pena carceraria come sistema di risposta alla commissione del reato”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)