Carcere e senza dimora, “discriminazioni nell’accesso alle misure alternative”

Da una parte i senza tetto sono in situazione di difficoltà economica e di esclusione sociale, e quindi sono portati a commettere i cosiddetti "reati di povertà". Dall’altra, non hanno una casa dove scontare pene alternative, e così finiscono più facilmente in carcere. È la denuncia di Avvocato di strada: “Servono strutture apposite riconosciute dalla magistratura”

Carcere e senza dimora, “discriminazioni nell’accesso alle misure alternative”

L’accesso alle misure alternative al carcere, come la detenzione domiciliare, non è uguale per tutti i condannati, e ad essere discriminati sono proprio i più emarginati. È la denuncia di Avvocato di strada, che nel seminario “Carcere e senza dimora”, realizzato nell’ambito del progetto “Diritti ai margini”, racconta come sia difficile ottenere misure alternative, come la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova al servizio sociale, per chi vive in strada o in una situazione di estrema povertà, perché non ha una casa dove scontare la pena.

“Il rapporto che lega la strada al carcere è molto stretto – spiega l’avvocato Sara Barbesi, di Avvocato di strada –. Da una parte i senza dimora sono in situazione di difficoltà economica e di esclusione sociale, e quindi sono portati a commettere i cosiddetti ‘reati di povertà’, come borseggi o piccoli furti. Ecco che il carcere diventa l’unica possibilità per l’esecuzione di pene anche di bassa entità, perché un soggetto che non ha domicilio non ha altra opzione. Questo comporta uno squilibrio tra i diritti dei senza dimora e chi invece una casa ce l’ha”.

Il carcere, però, non sarebbe l’unica forma di esecuzione della pena. Le misure alternative alla detenzione sono state introdotte per la prima volta in Italia nel 1975: “A quel tempo si era capito che il carcere non era uno strumento propriamente rieducativo, e che anzi il detenuto tendeva con il tempo a un’imitazione dei comportamenti malavitosi – racconta Vincenzo Semeraro, magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Verona –.  Ecco allora che nasce l’idea della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova al servizio sociale: quest’ultimo in particolare era stato pensato per le persone emarginate, che avevano compiuto un reato anche per via della propria incapacità di inserirsi nella società. Oggi, purtroppo, si è perso di vista il motivo per cui questa misura era nata, e l’affidamento al servizio sociale viene concesso anche ai condannati per reati ‘da colletti bianchi’. Quello che è paradossale è che invece i soggetti come i senza tetto, che avrebbero davvero bisogno di un accompagnamento per essere reinseriti in società, non possono accedervi perché vivono in una situazione di disagio abitativo, e la dimora è il presupposto per ottenere quasi tutte le misure alternative”.

In pratica, un soggetto che ha tutti i requisiti per la misura alternativa, tra cui anche delle potenzialità per svolgere attività risocializzanti, ma manca del domicilio, finisce in carcere, per scontare una pena che non può essere eseguita all’esterno. “Tutti avrebbero diritto di poter accedere incondizionatamente e in termini di parità, senza distinzione delle condizioni sociali, alle misure alternative – afferma l’avvocato penalista Simone Bergamini –. Nella pratica purtroppo non è così: sono tanti i casi di persone senza dimora, che spesso sono anche stranieri o senza permesso di soggiorno, che finiscono in carcere per reati minori”.

E poi c’è la variabile legata al Covid: il numero delle persone senza dimora aumenta vista la difficoltà di creare meccanismi di inclusione sociale in pandemia. Le attività delle associazioni, delle cooperative e degli enti sono limitate. E anche i servizi sociali che si occupano di pene alternative hanno meno posti. “Bisognerebbe promuovere strutture, riconosciute dalla magistratura, che permettano di scontare una pena all’esterno del carcere anche a persone che non hanno un domicilio – conclude Bergamini –. Solo così si assicurerebbero a tutti uguali diritti, e parallelamente si contrasterebbe il sovraffollamento nelle carceri”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)