Carcere, “stop ai ‘bambini detenuti’. La risposta è la casa famiglia protetta”

Un convegno in Regione Emilia-Romagna per accelerare nel lavoro di individuazione di strutture idonee ad accogliere madri detenute con figli piccoli. Al 31 dicembre 2020 le donne detenute con figli in carcere erano 33: 20 nelle sezioni nido, le altre negli Icam

Carcere, “stop ai ‘bambini detenuti’. La risposta è la casa famiglia protetta”

Sono 10 le madri che nel 2020 hanno scontato periodi di detenzione – anche per oltre 30 giorni, mentre nel 2019 si è arrivati anche a 10 mesi – in strutture carcerarie dell’Emilia-Romagna con al seguito i propri bambini. A livello nazionale, il 29 febbraio 2020 negli istituti penitenziari italiani le mamme erano oltre 60 con altrettanti bambini sotto i 3 anni; a fine anno, complice il lavoro per alleggerire le carceri in pandemia, i numeri erano quasi dimezzati. “Si tratta comunque di numeri alti – rimarca Marcello Marighelli, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale dell’Emilia-Romagna –. Diventa fondamentale ricercare soluzioni alternative, è un obbligo etico, e diventa quindi centrale l’apporto della casa famiglia protetta, per fornire un contributo al benessere dei bambini e cancellare questa distorsione del sistema. La casa famiglia protetta, aggiunge Marighelli, “oltre che luogo di vita per le madri detenute e i loro figli può essere anche uno spazio che offre supporto alla genitorialità e che favorisce il reinserimento sociale”.

È questo il cuore del convegno organizzato dai Garanti dell’Emilia-Romagna Marighelli e Clede Maria Garavini, Garante per l’infanzia, “Il problema dei ‘bambini detenuti’”. Oltre i numeri, oltre le contingenze, oltre l’emergenza, l’obiettivo comune è uno solo: far comprendere la necessità di superare con urgenza le sezioni nido – che, per legge, dovrebbero essere presenti in ogni sezione femminile – e gli Icam per lavorare, congiuntamente e convintamente, per la diffusione delle case famiglie protette su tutto il territorio nazionale come unica possibilità di accoglienza per le madri detenute con figli. “Finalmente sentiamo attorno a noi partecipazione e adesione – sottolinea Marighelli –. Finalmente anche il Parlamento se ne è occupato”. Il riferimento è all’approvazione, il 19 dicembre 2020, dell’emendamento Siani della Legge di Bilancio: si tratta dell’istituzione di un fondo per l’accoglienza di genitori detenuti con i propri figli, al di fuori delle strutture carcerarie. Nello specifico con l’inserimento dell’articolo 56 – bis si crea una dotazione di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio (2021-2023), per finanziare la predisposizione di case famiglia protette.

Nell’articolo che istituisce il fondo si legge: “Le case famiglia protette sono state previste dall’art. 4 della legge n. 62 del 2011 (legge che ha dettato disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori), quali luoghi nei quali consentire a donne incinta o madri di bambini di età non superiore a 6 anni di scontare la pena degli arresti domiciliari o la misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia cautelare in istituto a custodia attenuata. Attualmente, solo poche regioni sono dotate di strutture idonee a consentire l’applicazione di queste misure, con la conseguenza che detenute, con figli anche molto piccoli, restano in carcere. Entro due mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e sentita la Conferenza Unificata, provvede al riparto delle risorse tra le regioni”. Due mesi: verso la metà di febbraio, dunque, si dovrebbe essere in grado di capire quanto spetterà a ciascuna regione.

Come detto, al 31 dicembre 2020 le donne detenute con figli con loro in carcere erano 33: 20 nelle sezioni nido, le altre negli Icam. I numeri li fornisce Giulia Mantovani, docente di diritto processuale penale dell’Università di Torino, che richiama le Regole di Bangkok delle Nazioni Unite sottoscritte nel luglio 2010, “primo strumento internazionale dedicato alla popolazione femminile detenuta che ha posto anche una particolare attenzione anche alle donne in gravidanze, alle madri, alle madri che allattano. Le Nazioni Unite, già allora, sottolineavano la necessità di implementare, in questi casi, misure alternative al carcere, favorendo, dove possibile, la dimensione della domiciliarietà – ma come noto molte di queste donne madri detenute non hanno un domicilio idoneo dove scontare al pena, spesso si tratta di persone di origine straniera senza una rete amicale né familiare – e, comunque, delle soluzioni extramurarie”. La strategia, secondo Mantovani, dovrebbe essere quella di “sfruttare” le case protette già esistenti fino a ora destinate ad altre fragilità. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Sonia Specchia, segretario generale della Cassa delle ammende del Ministero della Giustizia: “Lavoriamo per favorire un reinserimento sociale che vada oltre il mero domicilio – sebbene imprescindibile –. È vero, manca un effettivo impegno pubblico. Ma, come Cassa delle ammende, assicuriamo il nostro impegno per il superamento degli Icam. Non penso all’individuazione di nuove case protette. Penso, invece, all’utilizzo di strutture adeguate già presenti sul territorio”.

“Formalmente, a oggi in Italia gli Icam sono 5, di cui 4 attivi e solo uno effettivamente ‘rivoluzionante’, quello di San Vittore. Gli altri sono carceri diversi, ma sempre strutture con una dinamica reclusiva-penitenziaria”. La constatazione è di Bruno Mellano, Garante dei detenuti del Piemonte: “Non ci sono alternative, l’unica strada è quella di investire in case-famiglia protette”. E proprio dell’Icam di San Vittore parla Gloria Manzelli, provveditore dell’amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna e Marche. “L’Icam di San Vittore è a qualche chilometro dal carcere. È un appartamento con caratteristiche strutturali non minimamente paragonabili a quelle di una struttura penitenziaria e, naturalmente, nessuno indossa la divisa. Ma è una situazione ‘eccezionale’. Ancora oggi ci sono carceri senza sezioni nido, Icam dentro il carcere. Perché? Forse perché i numeri non sono alti? È relativo, perché siamo arrivati ad avere anche 60 bimbi dentro”. Manzelli opera anche un distinguo: in passato nelle sezioni nido degli istituti penitenziari erano accolte madri per reati bagatellari, dal 2008 in avanti per reati anche gravi e dunque con condanne alte. Questo cosa significa? Che l’approccio si è trasformato. Prima era una specie di pronto soccorso delle prime ore, ora si tratta di una gestione a medio-lungo termine della diade mamma-bambino”. Come spiega Manzelli, i problemi sono tanti: chi porta i bambini a scuola? Chi al dopo scuola? Tutto è insoluto e molto è a discrezionalità della magistratura, che spesso decide sulla base della posizione giuridica della madre, di fatto alimentando differenze. I bimbi della sezione nido vedono ciò che succede intorno, si chiedono: perché lui sì e io no? E noi cosa possiamo rispondere? Ben vengano, allora, le strutture sul territorio, idonee anche per superare queste disuguaglianze”.

Strutture sul territorio che, come sottolinea la Garante Garavini, devono presentare caratteristiche adeguate: “Le esigenze relazionali e relative alla crescita dei bambini corrispondono a dei diritti e sono sancite da norme internazionali, che noi abbiamo l’obbligo di rispettare. La crescita di un bambino e la maternità sono incompatibili con il carcere. La dimensione adeguata è quella di una casa protetta dove il bambino possa crescere in una quotidianità il più ‘normale’ possibile, tra scuola, attività, libertà e fiducia, senza sensi di colpa né rigidità. Un impianto educativo complesso, un solido progetto di comunità e uno ritagliato sulle esigenze delle madri e dei bambini. La bussola è solo una: la tutela del superiore interesse del bambino”.

Nei giorni scorsi Federico Amico, presidente della commissione regionale per la parità e per i diritti delle persone, ha presentato un atto rivolto al governo regionale con l’obiettivo di avviare un confronto con tutti gli istituti coinvolti per attivare programmi che consentano di evitare da subito la reclusione delle donne con bambini al seguito e rendere realmente praticabili le misure alternative. “Aria, apri, fuori: sono le prime parole pronunciate da alcuni bambini in carcere. Alcuni di loro non si muovono dalla camera detentiva se non c’è il loro agente di riferimento. Tutto questo non è più accettabile”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)