Carcere, un suicidio ogni 5 giorni. Il 13% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave

I dati del Rapporto Antigone. In carcere ci si leva la vita ben 16 volte di più rispetto alla società esterna. Assenza cronica di supporto psichiatrico e psicologico e massiccio uso di psicofarmaci in carcere. Opg davvero chiusi? In 32 istituti su 190 (il 17%) esiste una “Articolazione per la tutela della salute mentale”: ospitano 232 persone in 231 camere detentive

Carcere, un suicidio ogni 5 giorni. Il 13% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave

Nel primo semestre del 2022, si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena 35 persone. A queste si aggiungono altre 3 persone decedute nel mese di luglio, portando a 38 il numero totale dei suicidi avvenuti in carcere dall'inizio dell’anno. Oltre uno ogni 5 giorni. A ricordarlo è il rapporto di Antigone. dal titolo "La calda estate delle carceri".
"Il dossier 'morire di carcere', curato da Ristretti Orizzonti, racconta come da dieci anni a questa parte i suicidi avvenuti tra il mese di gennaio e quello di giugno siano stati un minimo di 19 e un massimo di 27 - sottolinea Antigone -. Solo nel 2010 e nel 2011 tale numero si avvicinava a quello di oggi, rispettivamente con 33 e 34 suicidi. Erano quelli gli anni del grande sovraffollamento penitenziario, i detenuti erano molti di più, e la Corte Europea condannava l’Italia per violazione del divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti. Oggi i detenuti sono assai meno che allora ma carenze e disagi continuano, impattando con più o meno forza nei percorsi delle persone detenute. Ovviamente ogni caso di suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e fragilità, ma quando i numeri iniziano a diventare così alti non si può non guardarli con un’ottica di insieme. Come un indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti".

In carcere ci si leva la vita ben 16 volte di più rispetto alla società esterna

A riprova della natura strutturale del fenomeno è il confronto con quanto accade fuori dagli istituti di pena. Con 0,67 casi di suicidi ogni 10.000 abitanti, l’Italia è in generale considerato un paese con un tasso di suicidi basso, uno tra i più bassi a livello europeo. Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa, l'Italia si colloca invece al decimo posto tra i paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere. A fine 2021, tale tasso era pari a 10,6 suicidi ogni 10.000 persone detenute. Mettendo quindi in relazione il dato della popolazione detenuta con quello della popolazione libera vediamo l’enorme differenza tra i due fenomeni: in carcere ci si leva la vita ben 16 volte in più rispetto alla società esterna.

5 suicidi in 9 mesi nel carcere di Pavia

Tenendo a mente la sistematicità del problema, un breve sguardo agli istituti dove sono avvenuti più suicidi dall’inizio dell’anno. Con tre casi ognuno, al primo posto si collocano le Casa Circondariali di Roma Regina Coeli, Foggia e Milano San Vittore. Seguono con due casi la Casa di Reclusione di Palermo Ucciardone, la Casa Circondariale di Monza, la Casa Circondariale di Pavia e la Casa Circondariale Genova Marassi. In questo istituto nel 2021 si erano tolte la vita altre tre persone in poco più di 30 giorni. Con due decessi avvenuti tra il mese di giugno e luglio, si arrivano così a contare cinque casi di suicidi nel carcere di Pavia in soli nove mesi.

"Senza voler ricondurre un fenomeno così complesso alle carenze del singolo istituto - afferma Antigone -, possiamo però osservare come soprattutto le cinque Case Circondariali siano tutti istituti con situazioni piuttosto complesse. Tutte soffrono da anni di una situazione cronica di sovraffollamento, che nel caso di Foggia, Regina Coeli e Monza si aggira addirittura intorno al 150% della loro capienza. A San Vittore, Pavia e Regina Coeli più della metà della popolazione detenuta è di origine straniera. A Monza in particolar modo vi è un’elevata presenza di detenuti affetti da patologie psichiatriche e il 50% della popolazione soffre di tossicodipendenze. A Foggia vi è un educatore ogni 190 detenuti. Dai dati raccolti dall’Osservatorio, emerge poi come tranne a Pavia negli altri cinque istituti via sia una carenza, più o meno elevata, di specialisti psichiatri e psicologi rispetto alla media nazionale.

Assenza cronica di supporto psichiatrico e psicologico

Sia nel 2021 che nel 2022, la media si attesta intorno alle 10 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psichiatri e intorno alle 20 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psicologi. Gli ultimi dati disponibili mostrano che Palermo Ucciardone, Monza e Foggia hanno una presenza molto inferiore rispetto alla media sia di psichiatri che di psicologi (Palermo: 5,14 ore psichiatri, 5,14 ore psicologi; Monza: psichiatri 6,4, psicologi 6,6; Foggia: psichiatri 3,4; psicologi 10). Regina Coeli ha una presenza molto inferiore alla media di psicologi (6,8 ore).
San Vittore ha una presenza inferiore alla media per quanto riguarda gli psichiatri (8,4 ore). A Pavia la presenza di psichiatri è di 10,24 ore settimanali ogni 100 detenuti, mentre degli psicologi di 35,84 ore.

Su 38 suicidi, 18 sono stranieri. Due le donne che si sono tolte la vita, ben 14 suicidi di giovani tra i 20 e i 30 anni

Delle 38 persone che si sono tolte la vita in carcere nel 2022, 18 erano di origine straniera. Due le donne, una deceduta nel carcere di Messina e l’altra a pochi chilometri di distanza nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Guardando alle età, la fascia più rappresentativa è quella più giovane con 14 persone decedute di età compresa tra i venti e i trent’anni. I più giovani in assoluto erano due ragazzi di 21 anni, mentre il più anziano un uomo di 70. Tra le persone che si sono tolte la vita, diverse si trovavano in carcere solo da poche ore. Altre erano invece destinate a lasciarlo a breve, essendo vicine al fine pena o trovandosi in procinto di uscire in misura alternativa.

Il 13% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave

"Nell’ambito della questione delle condizioni di salute della popolazione detenuta, quello della salute mentale rimane il capitolo più significativo nei numeri e più problematico nelle risposte date dalle aziende sanitarie e dall’amministrazione penitenziaria", si afferma.
I numeri anzitutto continuano a fotografare il carcere come “psico-patogeno” dove il disagio psichico, diagnosticato e non, è diffuso, capillare e omogeneo sul territorio nazionale. I “disturbi psichici” rappresentano la metà delle patologie rilevate nella popolazione detenuta. Per avere un’idea della consistenza di questo dato, basti pensare che gli altri due gruppi di patologie più diagnosticate in carcere, che sono quelle del sistema cardiocircolatorio e delle malattie endocrine, del metabolismo e immunitarie, sono entrambi al 15% del totale delle patologie rilevate. Dunque il disturbo psichico è di gran lunga la prima categoria diagnostica nelle carceri italiane. Antigone, raccogliendo i dati direttamente dagli operatori sanitari delle singole carceri visitate nell’ultimo anno, ha rilevato che il 13% del totale della popolazione detenuta ha una diagnosi psichiatrica grave, in numeri assoluti significa oltre 7 mila persone.

Solo per una piccola parte, dalla diagnosi è seguita una misura di tipo giudiziario. Una rilevazione statistica relativa alla sola Toscana presenta numeri ancora più significativi, sottolineando come su 1.744 persone sottoposte a visita medica in un anno, 610 avessero almeno un disturbo psichiatrico, pari al 34,5% delle persone sottoposte a controllo medico.

Poche le misure giuridiche prese per far fronte alle malattie psichiatriche

"Proprio sulla questione delle diagnosi psichiatriche bisogna provare a fare chiarezza, soprattutto in mancanza di una rilevazione diagnostica accurata sul piano nazionale che rende molto difficile ogni analisi e, soprattutto, la pianificazione di risposte efficaci - afferma Antigone -. Il dato sulle diagnosi psichiatriche certificate tra la popolazione detenuta generale è infatti di difficile rilevazione. Secondo i dati del Garante nazionale delle persone private della libertà le persone con 'disagio psichico accertato' sono 381, meno dell’1% del totale della popolazione detenuta. Si tratta tuttavia di una dato 'giuridico', che riguarda tutti quei casi per cui dalla diagnosi psichiatrica deriva una qualche decisione del giudice, ad esempio la disposizione dell’osservazione psichiatrica o di una 'infermità mentale sopravvenuta' ex art. 148 codice penale. Se si considera invece il dato dal punto di vista sanitario e non giuridico, i numeri come abbiamo visto crescono enormemente".

Massiccio uso di psicofarmaci in carcere

A fronte di questo quadro, quali sono le risposte date dall’amministrazione penitenziaria e soprattutto dalle aziende sanitarie - competenti sulla salute mentale in carcere attraverso i Dipartimenti di salute mentale? Dalle osservazioni di Antigone appare come la tendenza più diffusa sia quella di “curare” (o meglio, “gestire”) il disagio psichico all’interno dell’istituzione penitenziaria ricorrendo il meno possibile ai servizi sanitari esterni al carcere. Dunque la salute mentale deve trovare risposte all’interno delle mura. Un aspetto molto problematico riguarda l’uso massiccio di psicofarmaci anche per persone senza una diagnosi psichiatrica certificata. Secondo l’osservazione di Antigone, il 28% delle persone detenute nelle carceri osservate assume stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o antidepressivi e il 37,5% sedativi o ipnotici.

Abbiamo davvero chiuso gli Opg?

In 32 istituti su 190 (il 17%) esiste una “Articolazione per la tutela della salute mentale”, 28 maschili e 5 femminili, che ospitano 232 persone in 231 camere detentive (dato aggiornato al 28 aprile, fonte Garante nazionale). Le Articolazioni sono sezioni detentive a prevalente gestione sanitaria dove sono ospitati i casi di persone con disturbi psichiatrici più gravi o più difficili da gestire in sezioni comuni. Antigone nel recente passato ha più volte denunciato le condizioni di non rispetto dei diritti umani in cui versano queste sezioni, come nel caso dell’Articolazione del carcere di Torino, il Sestante, chiuso a seguito di una denuncia pubblica di Antigone e attualmente oggetto di una indagine da parte della Procura di Torino. È molto significativo notare che le due Articolazioni di gran lunga più grandi d’Italia si trovano a Reggio Emilia (43 persone) e a Barcellona Pozzo di Gotto (42 persone), in quelli che erano due dei sei (ex) Ospedali psichiatrici italiani, superati definitivamente con la l. 81/2014. Insomma, quei due istituti, diventati case circondariali hanno mantenuto la loro “vocazione” a trattare principalmente persone con disagio psichico. Considerando che un altro dei sei Opg dismessi, quello lombardo di Castiglione delle Stiviere non ha mai smesso di funzionare, trasformandosi nella più grande Rems d’Italia (Residenza per l’Esecuzione delle misure di sicurezza), con una media di 145 persone ricoverate, occorre constatare come solo gli Opg di Montelupo Fiorentino e quello di Aversa siano stati davvero chiusi, oltre a quello di Napoli Sant’Eframo già dismesso alcuni anni prima della riforma.

Rems e liste di attesa: 42 persone in carcere con dubbio titolo

Le Rems, le residenze ad esclusiva gestione sanitaria destinate a ricoverare i pazienti psichiatrici autori di reato in misura di sicurezza detentiva, sono 33 (contando ancora quella di Mondragone di prossima chiusura). Erano 32 nel 2021, ma due regioni, la Liguria a Calice al Cornoviglio (La Spezia) e la Calabria a Girifalco (Catanzaro) hanno deliberato l’apertura di nuove Rems. Ospitano 573 persone (512 uomini e 61 donne). Il numero di ospiti con posizione giuridica “provvisoria” è altissima, 243 persone pari al 47% del totale. Per il ricovero in Rems esiste una “lista d’attesa”, unico virtuoso caso tra i luoghi di privazione libertà in cui se non c’è spazio si rimanda la detenzione. La lista d’attesa è di 605 persone. Tuttavia, 42 tra queste attendono il loro turno in carcere, detenuti con dubbio titolo.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)