Carcere. 9 marzo 2020 – 9 marzo 2021: rivolta, pandemia e ripartenza in Dozza

Un anno fa, alcuni detenuti devastarono l’istituto bolognese. Il Garante comunale: “Si riparta dal senso di responsabilità delle persone detenute che non parteciparono alla sommossa”. Sinappe: “Puntare su misure alternative e assumere educatori”

Carcere. 9 marzo 2020 – 9 marzo 2021: rivolta, pandemia e ripartenza in Dozza

Una persona detenuta ha perso la vita per eventi collegati alla rivolta, i danni materiali sono stati ingenti: un bilancio pesantissimo”. A parlare, a un anno dalla rivolta nella Casa circondariale Rocco D’Amato, è Antonio Ianniello, Garante comunale dei detenuti. Era la mattina del 9 marzo 2020 quando alcuni detenuti del giudiziario si barricarono al piano terra della sezione. Seguirono ore concitate, seguì la devastazione degli spazi comuni, delle postazioni di lavoro degli operatori penitenziari, degli ambulatori ai piani delle sezioni detentive e delle strumentazioni per le visite specialistiche. Nei giorni successivi, una persona detenuta morì “per overdose dopo avere assunto volontariamente sostanze prelevate abusivamente dalla farmacia del carcere durante la rivolta di due giorni prima”, come si legge nell’atto del sostituto procuratore Manuela Cavallo, titolare delle indagini.

All’origine delle mobilitazioni – che oltre a Bologna hanno coinvolto gli istituti di Modena, Salerno, Poggio Reale e Foggia – le forti restrizioni adottate per cercare di evitare la diffusione del coronavirus. Eravamo all’inizio del primo lockdown, i colloqui erano stati interrotti, i dpi non c’erano. “È doveroso sottolineare – aggiunge Ianniello – che la maggioranza delle persone detenute si è comportata responsabilmente anche durante le giornate dei disordini. Significativo – e prevalente – è stato anche il numero delle persone detenute che, collocate in quegli stessi ambienti del reparto giudiziario in cui si sono consumati i disordini, non vi ha preso parte. Risultano anche alcuni tentativi di contrastare gli atti di devastazione. Ed è proprio dal senso di responsabilità dimostrato dalla maggioranza delle persone detenute anche in quei momenti drammatici e concitati che sarà opportuno ripartire”. Ianniello definisce questo 9 marzo 2020 – 9 marzo 2021 “un anno durissimo sotto il profilo delle condizioni detentive e anche delle condizioni di lavoro di tutte le professionalità dell’ambito penitenziario. Intanto è iniziata nei giorni scorsi la campagna di vaccinazione degli operatori penitenziari e si spera che a breve possa anche iniziare quella destinata alle persone detenute, così che la comunità penitenziaria possa essere messa in sicurezza sanitaria. Permane la condizione di sovraffollamento il cui trend nel recente periodo è anche in crescita”.

Al 29 febbraio 2020, prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria, erano presenti nel carcere di Bologna 891 persone a fronte di una capienza regolamentare di 500. Tra misure alternative, trasferimenti verso altri istituti penitenziari e calo dei reati durante il lockdown, al 30 giugno 2020 risultavano presenti 674 persone. Oggi se ne contano circa 750. “Dopo le devastazioni dovute ai disordini – spiega il Garante – c’è stato un drastico peggioramento delle condizioni detentive negli ambienti del reparto giudiziario. Per un periodo non è stato possibile effettuare comunicazioni telefoniche perché sono state distrutte le linee telefoniche, si è anche rimasti senza la luce”. Per almeno un mese, centinaia di persone detenute sono rimaste chiuse h24 nelle camere di pernottamento senza possibilità di permanenza all’aria aperta, non essendoci le condizioni di sicurezza. “In un secondo momento nelle sezioni del reparto giudiziario è stata ripristinata la possibilità di permanere all’aria aperta per almeno due ore al giorno – tempo comunque inferiore alla quattro ore giornaliere previste dall’ordinamento penitenziario – in quanto negli spazi dei passeggi non sono state ancora ripristinate integralmente le condizioni strutturali di sicurezza. Al contrario, nelle sezioni della media sicurezza è stato ripristinato il cosiddetto regime a celle aperte. Per quanto riguarda il profilo sanitario, risulta operativo un solido protocollo sanitario che prevede netti percorsi differenziati per le tipologie di situazioni che possono essere ricondotte all’emergenza sanitaria, finalizzato a ridurre il rischio concreto della diffusione del contagio”.

In mezzo, anche il boom dei contagi registrato lo scorso dicembre, con 80 detenuti positivi contemporaneamente in diverse sezioni: Ianniello registra la buona gestione dell’emergenza e il puntuale provvedimento del Prap Emilia-Romagna e Marche che ha sospeso i nuovi ingressi sino al raggiungimento della piena stabilizzazione del quadro epidemiologico. Quanto alle attività trattamentali – dalla scuola alle attività lavorative sino al volontariato –, “l’andamento per ovvie ragioni ha risentito in maniera importante dell’emergenza sanitaria, ma bisogna riconoscere che il locale livello di gestione penitenziaria, in presenza delle congrue condizioni sanitarie, ha tentato sempre di preservarne comunque lo svolgimento, pur dovendo ricalibrare l’offerta”. Infine, i colloqui: “C’è stata una limitata riapertura per quanto riguarda i colloqui familiari, pur con importanti limitazioni collegate all’emergenza sanitaria – impossibilità del contatto fisico e plexiglas di separazione posto sul tavolo – ed è stata implementata la possibilità di avere contatti attraverso videochiamate in aggiunta alle telefonate ordinarie il cui numero è stato ampliato”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Nicola D’Amore, agente penitenziario e vice segretario regionale del Sinappe, il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria. “Quelle che si è vissuto in Dozza nei giorni seguenti alle rivolte è la dimostrazione che la violenza non paga mai e non migliora nulla. Il carcere era macerie, i più elementari diritti dei detenuti erano violati. Sicuramente la situazione pre pandemia era complessa e delicata, ma non era quello il modo di chiedere un cambiamento. Chiedere un confronto è sempre lecito, adottare comportamenti violenti mai”. Il cambio di passo, secondo D’Amore, c’è stato ad aprile 2020, “con il lavoro incessante della direzione per il contenimento della pandemia. Oggi possiamo dire di andare al lavoro tranquilli – al netto di alcune situazioni di detenuti facinorosi –. I dpi ci sono, i percorsi sono ferrei. È anche partita la campagna vaccinale. Siamo preoccupati per le varianti, sì: ma cerchiamo di seguire lo spiraglio di luce che intravediamo”.

L’attenzione, ora, oltre che sull’incessante lavoro di contenimento del virus, va riservata alle persone con un disagio psichico, una malattia mentale, una o più dipendenze: situazioni già gravi che si sono acuite nel corso di questa emergenza sanitaria: “Per le persone detenute con un disagio mentale – ribadisce D’Amore – servono percorsi specifici fuori dagli istituti. La riflessione che chiediamo anche al nuovo ministro, comunque, è più ampia: “Il sistema, oggi, conta quasi 40 mila agenti penitenziari e poco più di mille funzionari giuridici pedagogici. Evidentemente, dove non arrivano gli educatori dovrebbe arrivare la polizia: pur con tutta la buona volontà e l’eventuale adeguata formazione – ma bisogna spesso fare i conti con precisi limiti culturali –, non è una prassi perseguibile. Chiediamo che si continui a investire in misure alternative, solo così sarà possibile ridurre sensibilmente la recidiva. Una volta fuori dall’emergenza sanitaria non bisognerà tornare come prima: la nuova normalità dovrà essere completamente diversa”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)