Cercando il senso perduto. Il fascino della poesia di Rainer Maria Rilke

Che cos’è che può riportare il divino della vita alla sua dimensione di comunione tra uomo e natura? Sicuramente la poesia.

Cercando il senso perduto. Il fascino della poesia di Rainer Maria Rilke

Cent’anni fa uscivano due opere assai importanti per la poesia del Novecento: Le Elegie duinesi e i Sonetti a Orfeo, ambedue di Rainer Maria Rilke, nato a Praga nel 1875 e morto a Montreux, in Svizzera, nel 1926.

Ed è bene ricordare queste due raccolte poetiche, costruite nel corso di diversi anni, per capire come la poesia -e la narrativa- non rispondano esattamente alle categorie divulgate dai libri (romanticismo, neoclassicismo, decadentismo, ecc.) ma hanno una dimensione, come nel nostro caso, molto più complessa. La data delle due opere riporterebbe alla classificazione di Decadentismo, ma nell’opera intera di Rilke si mescolano altre suggestioni: quella romantica, quella filosofica (Nietzsche soprattutto, e poi Kierkegaard), la fiaba, il mito greco, la Parola cristiana, la psicoanalisi.

Sonetti a Orfeo sono l’estrema testimonianza di una poesia che tenta di saldare passato pagano e presente cristiano in una sintesi instabile, in cui coesistono la seduzione della forma, la tentazione di spiegare il senso della vita con la scienza, la nostalgia di un passato in cui gli dei sembravano percorrere il mondo e la fascinazione di una fede in cui semplicità e fraternità combattevano contro un presente materialista e scettico. La natura stessa viene colta nella sua pulsante vita che gli uomini non avvertono (ad eccezione di pochi, tra cui il nostro Pascoli), impegnati come sono nel profitto materiale.

Che cos’è che può riportare il divino della vita alla sua dimensione di comunione tra uomo e natura? Sicuramente la poesia, con il suo ritorno ad una religiosità non confessionale, ma pur sempre ad uno sguardo non solo legato alla materia, ma allo spirito, alla libertà, ad una povertà quasi francescana. Nonostante il sospetto di Romano Guardini che vedeva Rilke assai lontano dal cristianesimo, pur apprezzandone la grandezza poetica, nonostante la tentazione di alcuni a vedere nella sua poesia esclusivamente il dio-nella-materia del panteismo, nei Sonetti a Orfeo è possibile vedere l’ ansia di andare oltre, di trovare altro che non razionalità e scetticismo.

La missione della sua poesia è di tenere viva questa ricerca di altro che non il benessere economico borghese. La sua stessa vita di viaggiatore senza più patria lo dimostra, perché lo vediamo girare per tutta l’Europa e la Russia (dove conobbe Tolstoj), in precarie condizioni economiche, ospite di qualche magnate, di amici o suoi ammiratori. In uno dei suoi capolavori, stavolta in prosa, i Quaderni di Malte Laurids Brigge, è fortissima la presenza del senza fissa dimora, dell’uomo che legge e che crea poesia rimanendo apparentemente povero e deriso, in realtà in grado di restituire un senso alla non vita di una borghesia preda del denaro.

La ricerca delle vere radici, la fascinazione dell’esempio di san Francesco (Assisi è stata una delle tappe dei viaggi di Rilke), il mito di Narciso ma anche la donazione di sé fino all’oblio, il rischio di una poesia fine a se stessa che escluda dal rapporto con gli altri, l’amore con i suoi limiti e i suoi abissi insondabili sono le basi per la poesia che verrà.

In Rilke soffia forte lo spirito del suo tempo, con la sua frequentazione della grande arte (Rodin), della psicoanalisi (Lou Andreas-Salomè e Freud), di una letteratura come redenzione (Tolstoj). La grande crisi scaturita dalla conoscenza del pensiero di Kierkegaard la dice lunga sulla complessità di una poesia come quella dei Sonetti a Orfeo: non esclusivamente ricerca del mito, ma di una Parola che sia promessa e insieme presente: quello che non poteva dargli un nuovo paganesimo gli veniva donato da una fede intesa come spasmodica ricerca di un senso nelle parole e nelle cose.

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Fonte: Sir