Come diventammo famosi su Facebook & co

Piccoli influencer crescono all’ombra dei social. Ma i veri protagonisti sono i genitori, che affidano alla rete le battaglie e le conquiste quotidiane dei loro pargoli. Cronache di un nuovo fenomeno sociale che coinvolge la disabilità e le malattie rare

Come diventammo famosi su Facebook & co

In principio ci furono i papà che decisero di raccontare in un libro il rapporto con un figlio con una disabilità. Massimiliano Verga e Moreno, Gianluca Nicoletti e Tommy, Franco Antonello e Andrea, Luca Trapanese e Alba. Volumi di successo poi ispiratori anche di film, documentari, pagine social. Ma da qualche anno proprio “il libro delle facce”, Facebook, è diventato il network scelto in prima battuta da genitori anonimi e sconosciuti – né scrittori, né giornalisti, né professori universitari – per dare voce direttamente ai loro bambini. Che scrivono fittiziamente per mano di mamma e papà o sono comunque protagonisti di foto, video, dirette, post scritti con un linguaggio spesso graffiante, ironico, comunque gioioso e mai pietistico.

Un fenomeno in crescita, di cui Francesco Cannadoro si sente un po’ il capofila, l’iniziatore e ispiratore: la pagina Facebook “diariodiunpadrefortunato” conta oltre 65mila follower e deriva dal blog omonimo aperto a giugno del 2016, quando suo figlio Tommaso (per tutti Tommi) aveva due anni. Poi a marzo 2019 è uscito il libro #cucitialcuore (edizioni Ultra); nel frattempo il profilo Instagram conta più di 61mila seguaci. «Se vuoi unirti a un’epica battaglia contro il drago, questo è il posto giusto. Ma non immaginarti battaglie medioevali, spade leggendarie e armature scintillanti, noi il drago lo combattiamo a sorrisi. Quelli di Tommi», chiarisce Francesco, 38 anni, un passato da animatore e barista nei villaggi vacanze. «Tutto è iniziato come richiesta d’aiuto ad altri genitori che come me e mia moglie Valentina si approcciavano al mondo della disabilità: nostro figlio non aveva e non ha una diagnosi precisa», spiega. «Quindi volevo attrarre persone che ne sapessero più di noi, ma l’ho fatto con la passione per il racconto “leggero” dal punto di vista dell’approccio e del linguaggio: uno specchio in cui la gente si guarda, lascia qualcosa di sé che altri prendono, in cui c’è la possibilità di un confronto e di uno scambio continuo, da cui abbiamo imparato tantissimo, facendolo rimbalzare ancora. C’è anche chi ci segue per farsi una risata e, nel frattempo, diventa più sensibile, anche se magari non aveva niente a che fare con la disabilità: questa per me è una vittoria».

«Non immaginarti battaglie medioevali, spade leggendarie e armature scintillanti: noi il drago lo combattiamo a sorrisi». Francesco Cannadoro, papà di Tommi

Cannadoro non si aspettava di diventare un influencer con i sorrisi del figlio nato con «atrofia del cervelletto, ritardo psicomotorio gravissimo ed epilessia. Disfagico, è diventato cieco perché la sua è una condizione degenerativa. Ma lui si diverte a vivere, anche se non ho idea di quanto sia cosciente di quello che facciamo», ammette. Nei post lo definisce «il sacco di patate più bello di casa e la fortuna della mia vita». Tuttavia, non nasconde la durezza «di vivere un giorno alla volta, non sapendo se domani ci sveglieremo ancora in tre» e la fatica di sua moglie nel fare la caregiver h24, mentre prima di diventare mamma lavorava come parrucchiera. Ma l’attitudine «all’intrattenimento, alla pirlaggine» prevale, anche se Francesco ci tiene a precisare che sui social rende pubblico «il 10% di quello che viviamo, senza mai spettacolarizzare il nostro dolore. Ho pubblicato solo qualche foto di Tommi con il sondino nasogastrico che ha portato per due mesi: la peg ce l’ha sempre ma fa meno effetto, è come un puntino».

Gli haters? Pochi: «C’è il generico che rompe le scatole e vuole sfogare la sua rabbia, quello che è convinto che dovresti essere triste in un angolo e chi è frustrato a vederti felice, diventando spigoloso per qualche pretesto. Provo a rispondere: poi se cambia il tono va bene, altrimenti “banno”, e non perché la pensano diversamente da me. Sono convinto che il confronto faccia crescere, ma se è costruttivo». E le competenze da social media manager acquisite sul campo, «anche sbagliando, cercando informazioni, da autodidatta», vengono messe a servizio di altre famiglie che hanno meno visibilità e chiedono aiuto. «Penso sia un dovere per chi riesce ad avere un megafono, proprio perché il nostro è un argomento bistrattato», conclude, senza stancarsi di scrivere e ripetere il suo motto: «La disabilità fa schifo ma la tua vita, nonostante la disabilità, fa schifo solo nella misura in cui glielo permetti».

Con toni analoghi si esprime Valentina Perniciaro, battagliera mamma di Sirio Persichetti, nuova star del web: sette anni, parla attraverso un tablet, respira grazie a una tracheostomia, sta imparando a leggere e a scrivere, cammina con le protesi, anche se non potrà mai mangiare o sorridere. Eppure da un paio d’anni il blog tetrabondi.wordpress.com (che viaggia verso i 52mila follower), la pagina Facebook “Sirio e i tetrabondi” e il profilo Twitter (oltre 13mila seguaci ognuno) hanno catturato i media nazionali e internazionali, e a novembre anche l’agenzia Reuters per un servizio fotografico. L’esplicito hashtag #inculoallostatovegetativo fa riferimento alla “morte in culla” per arresto cardiaco vissuta da Sirio, nato prematuro e sano, a soli 50 giorni, lasciandolo (dopo il coma farmacologico) con una tetraparesi causata da un danno ischemico e ipossico: i medici avevano pronunciato una diagnosi di stato vegetativo, ma sono stati smentiti dalla forza del bambino e dalla caparbietà dei suoi genitori che non si sono mai arresi, chiedendo e pretendendo l’assistenza che spettava al loro figlio, «ora combattente per la libertà e l’autonomia».

A suscitare l’attenzione dei giornalisti e a far crescere i “mi piace” sono stati soprattutto i tweet: «Ho aperto il profilo a gennaio 2019 e intere redazioni hanno cominciato a seguirci. Ma la viralità dei messaggi è cominciata quest’estate e cresciuta a settembre, con l’ingresso di Sirio a scuola», ricorda Valentina, che lavora da casa al call center di Poste italiane, mentre il marito Paolo fa il caregiver a tempo pieno; il primogenito Nilo ha quasi undici anni e spesso partecipa ai video con il fratello. «Sirio si diverte, adora riguardarsi nei video, scrive il suo nome nei motori di ricerca per trovarsi, mi dice “fai foto” e quando vede i servizi televisivi su di lui abbraccia la tv. Si piace, è fanatico e totalmente ironico: ci ha trascinato a raccontare la disabilità e io ho imparato a parlare la sua lingua», dice la madre, che infatti scrive i post e gli articoli parlando a nome di Sirio.

«All’inizio avevamo il bisogno di narrare che nostro figlio esiste, anche se brutto e bavosetto: la società è disabituata a vedere questo tipo di disabilità, invece noi abbiamo voluto fare una battaglia di presenza». Valentina Perniciaro, mamma di Sirio

«All’inizio avevamo il bisogno di narrare che nostro figlio esiste, anche se brutto e bavosetto: la società è disabituata a vedere questo tipo di disabilità, invece noi abbiamo voluto fare una battaglia di presenza conquistando la strada, il parco, la scuola. Una battaglia politica e di conoscenza, perché l’amore della famiglia non è sufficiente: basta con lo stereotipo della mamma coraggio e del figlio angelo. Infatti non nascondo gli aspiratori pieni di muco, le cicatrici, i tubi e il brutto della disabilità, senza edulcorarla come fanno altri influencer, nascondendo le rughe», osserva Valentina. «Sirio fa progressi perché infermieri e fisioterapisti ci aiutano: da soli saremmo impazziti, ci saremmo chiusi in casa. Ottenere e mantenere i diritti è una guerra, desideriamo la normalità come tutti. I bambini con disabilità vogliono divertirsi, giocare, correre, non essere considerati solo come pazienti da assistere».

Così il modo di essere sui social è diventato progressivamente più “militante” e impegnato: «Non abbiamo iniziato pensando di cambiare la percezione del mondo della disabilità, ma il linguaggio irriverente è stato scelto consapevolmente per parlare della persona con disabilità come un cittadino con i suoi desideri e diritti, non come un oggetto da accarezzare, compatire e proteggere. Ma la risposta forte che riceviamo, le centinaia di messaggi di famiglie che cercano un sostegno e uno scambio di saperi, il grande bisogno di condivisione e solidarietà concreta, ci hanno spinti a un uso sempre più intelligente del mezzo, evitando anche la sovraesposizione che non porta a nulla. Per esempio, come genitori abbiamo rifiutato le “ospitate” per raccontare la storia di Sirio in un salotto televisivo: senza il protagonista se ne parla in modo vuoto». Valentina cerca non solo di dare visibilità alla sua «realtà nuda e cruda», ma anche di fare squadra con altre mamme e papà, uscendo «dal grigio della solita retorica pietosa. Riscrivere il concetto di disabilità comporta una vera e propria rivoluzione culturale in cui dobbiamo abbandonare il pensiero che la disabilità sia solo fragilità, assistenza e cura».

Lo pensa anche Sara Fiorentino, zia di Beatrice Naso, morta a otto anni e mezzo il 14 febbraio del 2018. Pochi mesi prima, ad agosto, Sara ha perso anche la sorella Stefania, mamma di Bea, stroncata a 35 anni da un cancro al cervello. Ma lei, d’accordo con il cognato Alessandro, ha deciso di portare avanti il blog e la pagina Facebook “Il mondo di Bea #Leggera come una piuma”, con una platea di 256mila seguaci, per supportare alcune onlus di familiari di persone con disabilità e – in tempo di pandemia – anche chi è in difficoltà economiche, raccogliendo fondi per comprare generi alimentari. «I donatori si fidano di noi grazie al rapporto di fiducia e trasparenza costruito negli anni, quindi proponiamo ai nostri follower varie iniziative a cui aderire direttamente o attraverso di noi. Avevamo aperto il blog su Facebook per cercare aiuto e informazioni sulla malattia sconosciuta di Bea, che sembrava essere nata con lei e non era codificata in nessuna categoria della Asl, quindi avevamo bisogno di fondi per acquistare ausili particolari: in macchina doveva stare sdraiata e non seduta e nella doccia doveva essere sorretta in verticale. Con il boom di donazioni abbiamo dato vita ad altri progetti solidali», spiega Sara, che fa la store manager in un negozio di telefonia e ha imparato a destreggiarsi sui social con l’esperienza. «Io mi faccio sempre guidare dai sentimenti, non calcolo nulla. La chiave differente, fatta di risate e chiacchiere per rompere il tabù sulla disabilità e farla vedere con occhi diversi, è nata spontaneamente per poi diventare virale: anche grazie agli incontri con alcuni giornalisti e ai servizi televisivi si è creata una catena di empatia. La cantante Emma si è affezionata molto a Bea dopo averla conosciuta nel backstage di un concerto a Torino. Ma mi ha colpito soprattutto quanto le persone ci seguono costantemente: ricordano ancora oggi cosa piaceva a mia nipote, che aveva hobby e sogni. Una solidarietà infinita che neppure il covid è riuscito a spezzare. Sì, qualcuno critica, ma a chi avvia discussioni sterili io replico: iniziate a fare del bene concretamente anche voi».

Anche Francesca Doretto a volte deve fare i conti con gli haters, «alcuni mi hanno augurato la morte e mi hanno accusata di inventarmi tutto o di sfruttare la situazione: una pugnalata. Ma sono molto più numerosi coloro che ci seguono con affetto». La pagina Facebook su sua figlia, “La forza di Giorgia Kus”, annovera oltre 280mila follower, con dirette che “piacciono” e foto che ricevono tantissimi like. Numeri da star raggiunti da una bambina di cinque anni e mezzo «che adora molti youtuber e sogna di essere come loro». Improvvisamente a giugno 2019 smette di camminare, poi viene colpita da una paralisi dal collo in giù e da settembre inizia un lungo ricovero in terapia intensiva e in sedazione profonda fino a marzo, seguito da fisioterapia e logopedia in un centro specializzato, ancora senza una diagnosi precisa: infiammazione al midollo spinale a livello cervicale, ma la causa scatenante sembra un mistero. «A novembre abbiamo aperto la pagina nella speranza di trovare una terapia e per raccontare quello che succedeva, ma anche per avere aiuto e supporto. Io e il mio compagno William seguiamo sempre la bambina e non riusciamo a lavorare, ci siamo trasferiti da Pordenone a Conegliano Veneto, vicino Treviso, per le cure». Francesca scopre che scrivere sui social aiuta anzitutto lei a non sentirsi sola, perché riceve «parole gentili di vicinanza» e Giorgia con il suo sorriso furbo «si diverte a chiacchierare e si rilassa nel fare le dirette, che per molti sono un appuntamento di svago. Ci arrivano tanti messaggi di ringraziamento, ci dicono che diamo forza perché lei è sempre piena di gioia e voglia di vivere. Alcune mamme mi chiedono consigli per la tracheostomia e sui medici da contattare. Non ci aspettavamo questo successo, prima stavo poco su Facebook. Fa bene a noi e a tante persone che ci seguono».

(Questo articolo è tratto dal numero di gennaio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)