Come mio fratello finì a vivere in istituto

“Il ragazzo che andò via”, l’ultimo romanzo di Eli Gottlieb, è la storia di una famiglia americana alle prese con l’autismo sul finire degli anni Sessanta

Come mio fratello finì a vivere in istituto

«Per quanto tu possa credere di passartela male, ricordati che tuo fratello starà sempre peggio». Anno 1967, New Jersey, contea di Essex: il 14enne Fad si prepara all’esame della commissione statale che cambierà la sua vita. Dall’esito della valutazione diagnostica dipende l’erogazione dei sussidi precedentemente accordati alla famiglia per la riabilitazione, in mancanza dei quali l’unica alternativa praticabile resta l’ingresso in una struttura residenziale per persone con disabilità. In altri termini l’istituto. È il fratello minore Denny la voce narrante de “Il ragazzo che andò via”, romanzo scritto da Eli Gottlieb nel 1997 e ora tradotto in italiano da Minimum Fax dopo la pubblicazione, nel 2018, del più recente “Un ragazzo d’oro”, che di questo volume rappresenta un po’ la prosecuzione. Sono anni difficili quelli in cui si ambienta la storia: mentre la tv rimanda notizie sempre più drammatiche sull’escalation della guerra in Vietnam, la famiglia Graubert si prepara alla battaglia definitiva contro la commissione medica che deciderà, con giudizio inoppugnabile, il destino di Fad. In prima linea Harta, madre infaticabile, determinata a mettere in campo qualsiasi mezzo pur di non farsi sottrarre il suo bambino.

Ma sono gli «anni bui dell’autismo», come li ha definiti lo stesso autore, le famiglie sono sole e confuse davanti ai loro ragazzi indecifrabili, che stentano a trovare una qualsiasi collocazione nella società. Così anche la famiglia di Fad va in frantumi. Max, il padre, si tuffa prima nel mutismo e, successivamente, nell’alcol. E a nulla valgono gli sforzi sovrumani di Harta per tenere testa alla situazione con allegria, buonumore e sfrontato ottimismo. La sua esuberante vitalità appare decisamente sopra le righe. Il tutto sotto lo sguardo di Denny, che scruta gli avvenimenti con curiosità ossessiva e strumenti da detective. Manifestando, tuttavia, più interesse nei confronti delle dinamiche tra i suoi genitori e i rispettivi tratti psicologici che verso le sorte di suo fratello.

Denny in realtà è lo stesso Eli Gottlieb, che per scrivere il romanzo ha attinto a piene mani dalla propria vicenda personale. Perché sebbene “Il ragazzo che andò via” non sia un memoir, la vicenda nasce comunque da una verità emotiva. E naturalmente dalla presenza di un figlio autistico in famiglia, il fratello maggiore di Eli. L’atteggiamento distaccato e talvolta crudele di Denny nei confronti di Fad, specie negli anni passati, ha causato dure critiche nei confronti dell’autore. Che però ha rivendicato, a sua difesa, il diritto alla verità. Perché, come Gottlieb ha detto in alcune interviste, un fratello disabile assorbe tutto l’ossigeno della famiglia, spedendo il resto dei figli in una sorta di sobborgo emotivo. Quello stesso fratello che gli ha creato tanta rabbia e imbarazzo nell’età della crescita è stato, però, anche d’ispirazione per due dei suoi romanzi principali. Perché se Il ragazzo che andò via parla di un bambino portato via alla famiglia, “Un ragazzo d’oro” racconta, in prima persona, la vita di un adulto autistico in istituto. Due tempi e due prospettive diverse per raccontare un unico tema: l’autismo.

(La recensione è tratta dal numero di gennaio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

Antonella Patete

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)