Consumi e riduzione del danno: quali strumenti portare a Bologna?

Asp, Azienda Usl e Open Group in visita ad Amsterdam per conoscere direttamente alcuni dei servizi di riduzione del danno presenti in città. Tra Drop-In, Stanze del consumo e housing first per consumatori over 50 quali possono adattarsi a Bologna? E come si parla di riduzione del danno ai cittadini?

Consumi e riduzione del danno: quali strumenti portare a Bologna?

Quali nuovi strumenti di riduzione del danno si possono portare a Bologna, sull’esempio di avanzate esperienze europee? Open Group, ASP e Azienda USL di Bologna ne stanno ragionando insieme, sulla base dell’esperienza del progetto europeo Erasmus + KA1 “Mobilità nelle Pratiche alternative di interventi locali di riduzione del danno”, concluso da poco. Scopo del progetto, far acquisire nuove competenze ai social worker, agli operatori sanitari e ai funzionari del pubblico e del privato. All’interno del progetto Erasmus +, nel novembre 2019, una delegazione delle tre realtà bolognesi si è recata ad Amsterdam per una settimana per conoscere direttamente alcuni dei servizi di riduzione del danno presenti in città.

Drop-In, Stanze del consumo e housing first

Il gruppo di lavoro ha visitato quattro Drop-In gestiti dall’associazione Stichting de Regenboog Groep, tre di questi hanno al loro interno una Drug Consumption Room (Stanza del consumo), in cui le persone utilizzano le sostanze in maniera controllata. Nella città di Den Haag, invece, meta della visita è stato il servizio di housing first Woodstock, il cui target principale è costituito da consumatori di sostanze over 50. Ha una capienza massima di 40 persone, ognuna di queste ha un suo miniappartamento indipendente. All’interno del proprio appartamento gli ospiti possono consumare sostanze in maniera libera. Possono ricevere alcune visite, non più di una persona per volta e possono uscire quando vogliono. Oltre agli appartamenti ci sono delle aree comuni e un’infermeria in cui gli ospiti possono assumere la propria terapia. Alcuni degli ospiti sono all’interno dell’Heroin Program, un programma di somministrazione di eroina medica in ospedale. Gli ospiti che sono all’interno di Woodsotck usufruiscono di una sorta di “Reddito di Cittadinanza” con il quale pagano la retta. Oltre agli incontri con gli operatori, ci sono stati momenti di scambio con esponenti della municipalità di Amsterdam, del Servizio Sanitario Nazionale e del MDHG (unione dei consumatori), ma anche di AMOC, realtà che da oltre 30 anni lavora con persone senza fissa dimora provenienti da vari paesi europei, fornendo assistenza di base (doccia, letto, cibo), consulenza, stanze del consumo e operatori sociali specializzati.

L’housing first per i consumatori over 50

Del gruppo di lavoro hanno fatto parte Monica Brandoli, Responsabile del Servizio Contrasto alla Grave Emarginazione Adulta di ASP Città di Bologna; Raffaella Campalastri el Programma Dipendenze Patologiche e Assistenza alle Popolazioni Vulnerabili – AUSL di Bologna; Francesca Di Corpo, Responsabile servizio Unità di Strada, gestito da Open Group per ASP. “È stato importante – spiega Brandoli – quello che è circolato rispetto a un confronto sulla possibilità di attivare sul nostro territorio delle azioni che certamente non potranno essere identiche a quelle che abbiamo visitato, ma potrebbero essere comunque calate nella nostra realtà territoriale. Tra i servizi che potrebbero rispondere alle esigenze della nostra, sicuramente è interessantissima tutta la realtà dell’accoglienza alle persone croniche, consumatori di sostanze per via iniettiva. Sono il target che anche a Bologna maggiormente interpella i servizi, sono in parte stabilizzati e in parte da stabilizzare, pongono il problema dell’abitazione perché non riescono ad entrare negli alloggi della transizione abitativa, non hanno i requisiti. Pensiamo invece a quello che abbiamo visto là: Woodstock è una struttura di accoglienza fatta sulle modalità di un residence, con spazi comuni accanto a monolocali, dove le persone sono autonome, possono ricevere amici, fidanzati, hanno i comfort di un piccolissimo appartamento con il supporto educativo che dà una struttura. Ci sono educatori, c’è la somministrazione del farmaco, c’è un presidio sanitario, quindi un contenimento molto forte dal punto di vista della salute e del problema della tossicodipendenza, una presa in carico potente, però con una situazione logistica egregia. Gli ospiti non sono in una stanza multipla con altre 4 o 5 persone, hanno i loro spazi individuali, c’è un lavoro sulla vivibilità della persona, sul recupero dei propri desideri, che è molto interessante. È il servizio in termini politici più trasferibile. Sarebbe interessante avviare un progetto insieme, il Terzo settore trova l’immobile, il Comune paga l’affitto e quello che non è nella disponibilità del Comune lo si va a cercare nel mercato. Come principio è sostenibile”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Raffaella Campalastri: “Noi ci troviamo davanti a una coorte di tossicodipendenti che hanno cominciato ad usare sostanze negli anni 70 – 80, alcuni continuano a consumare altri no, ma la maggior parte di loro ha una serie di problematiche sanitarie importanti. Per le loro caratteristiche di personalità o per il loro consumo, non riusciamo ad accoglierli nelle strutture esistenti, oppure li inseriamo in contesti come le Residenze Sanitarie Assistite. Ma in queste realtà, per una persona di 50/60 anni, anche se con molte patologie, vivere con persone di 90 anni, non autosufficienti rappresenta una sorte di isolamento da tutto il contesto sociale che lo mantiene vitale e con capacità relazionali. Per Bologna mi piacerebbe poter realizzare una cosa analoga a Woodstock”. Come spiega Di Corpo, “non è pensabile ‘trasportare’ un servizio di Amsterdam a Bologna, ma ciò che abbiamo visto in Olanda ci può aiutare a creare le basi conoscitive per iniziare a programmare nuovi interventi che però andranno adattati e pensati per il nostro contesto. Questo tipo di lavoro dà la possibilità di iniziare a programmare nuovi tipi di interventi per i consumatori e quindi iniziare a pensare a pratiche innovative di riduzione del danno. Quindi avvicinare i servizi stessi ai bisogni dell’utente e non il contrario”.

La sala d’iniezione: un modello importabile?

E la sala d’iniezione? “Certamente sarebbe l’ideale, soprattutto realizzata come la realizza AMOC, in maniera molto strutturata, seguendo dei principi metodologici davvero rigorosi – risponde Brandoli –. Se è un esempio trasferibile sul nostro territorio? Purtroppo nella nostra realtà la riduzione del danno viene spesso cavalcata da alcune forze politiche come una resa al consumo di sostanze, ma non è così. In questo momento non penso potremmo importare questo modello. Sviluppando una collaborazione con la Questura, potremmo pensare ad una sperimentazione sull’analisi delle sostanze come già si sta facendo in alcune realtà italiane”. Apre Campalastri: “Potrebbe essere una buona cosa sia dal punto di vista della sanità pubblica, sia dal punto di vista della salute dei pazienti stessi, anche perché l’alternativa è quella attuale, cioè scene del consumo aperte, più o meno in tutta la città, senza nessun tipo di sorveglianza, con grossi rischi per i pazienti, qualche rischio sanitario per la popolazione e soprattutto pochissima tolleranza da parte dell’opinione pubblica”.

Come parlare di riduzione del danno?

“Parlare di riduzione del danno con i cittadini è difficile – spiega Brandoli –, perché, come dicevo, c’è un pregiudizio culturale. Bisognerebbe fare informazione seria, spiegare chi sono i tossicodipendenti, che è una vera e propria malattia e non un vizio, che il metadone è una cura, cosa significa per un tossicodipendente arrivare a smettere di farsi, perché molti di loro non ce la fanno o non ce la fanno nei tempi che vorremmo noi”. “Io partirei – ribadisce Campalastri – dalle scene aperte del consumo, da quanto succede nei luoghi della movida. Va spiegato anche a chi non vuole vedere che l’uso di sostanze adesso è assolutamente democratico, trasversale, prende tutte le età e tutte le classi sociali”. In linea anche Di Corpo: “Il primo passo è sicuramente quello di coinvolgere i cittadini fin dall’inizio nella programmazione, e non presentargli le politiche di riduzione del danno come ‘imposizioni’. Quando si pensa di creare un nuovo servizio di questo tipo bisogna creare una rete che comprenda i cittadini stessi per condividere dal principio quali sono gli obiettivi e anche i vantaggi per loro. Bisogna cercare di ragionare in un’ottica di win-win, cioè sia per i consumatori che per i cittadini stessi. Non si può pensare solo a rispondere ai bisogni dei consumatori altrimenti si avranno sempre delle proteste da parte dei cittadini. Questo tipo di servizi oltre a rispondere ai bisogni dei consumatori riducono i problemi di ordine pubblico e i costi, cosa di cui i cittadini normalmente si lamentano. L’obiettivo dovrebbe essere quello di elaborare servizi il cui impatto sia sulla cittadinanza tutta, capaci di integrare i bisogni e gli interessi sia dei consumatori sia dei cittadini. Solo interventi sistemici che guardino alla complessità possono ritenersi realmente economici, efficaci e duraturi”.

Ambra Notari

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)