Cosa farò da grande. Per realizzare se stessi e capire davvero chi siamo occorrono diversi ingredienti

La mancata corrispondenza tra le aspettative dei giovani e la reale offerta del mondo dell'occupazione, regolata dalle severe leggi del mercato.

Cosa farò da grande. Per realizzare se stessi e capire davvero chi siamo occorrono diversi ingredienti

Qualche giorno fa scadeva il termine per le iscrizioni alla scuola superiore di secondo grado e si è concluso il tempo della scelta per i ragazzi, che terminano il primo ciclo di studi. In effetti questo passaggio segna il primo passo verso il processo di autoidentificazione professionale (e non solo) dei nostri giovani: la scuola secondaria di secondo grado getta le basi nella ricerca del futuro “dream job”.

A questo tema e alle aspirazioni degli adolescenti un paio di anni fa l’Ocse ha dedicato un rapporto, intitolato appunto “Dream Jobs? Teenagers’ Career Aspirations and the Future of Work”, presentato nell’ambito del Forum economico mondiale 2020. Ciò che si evidenziava nella ricerca era soprattutto il “mismatch” (mancata corrispondenza) tra le aspettative dei giovani e la reale offerta del mondo dell’occupazione, regolata dalle severe leggi del mercato.
Negli ultimi mesi le cose non sono di certo migliorate e le criticità evidenziate nella ricerca hanno avuto addirittura un incremento. Lo scenario futuro si fa sempre più incerto e la trasformazione del mondo, non soltanto nell’ambito lavorativo, diviene sempre più rapida. Le aspirazioni dei nostri figli e i nostri desideri per loro rappresentano una forte ipoteca al benessere e alla felicità anche del tempo presente. L’idea che il futuro non ci riserverà nulla di buono, ci predispone alla delusione e alla rassegnazione. Sentimenti che producono rabbia e portano ad atteggiamenti rinunciatari, frustranti.
Per realizzare se stessi e capire davvero chi siamo occorrono diversi ingredienti: curiosità, immaginazione, empatia, intraprendenza, resilienza. Soprattutto occorrono fiducia, speranza e ottimismo.

Nella ricerca Ocse citata, i nostri ragazzi affermavano di aspirare prevalentemente alla carriera di ingegnere e manager (i maschi) e medico e docente (le femmine). Chissà se oggi risponderebbero ancora in questo modo, conservando, tra l’altro, il forte gap di genere.
Molte cose sono cambiate nella nostra vita negli ultimi mesi. Ai prossimi giovani che faranno una scelta, siamo riusciti ad assicurare un bagaglio di esperienze adeguate e propedeutico? La “proiezione verso il futuro” avviene in un contesto complesso e poco chiaro. La domanda “cosa farò da grande” presuppone una buona conoscenza del proprio mondo interiore e delle risorse personali, familiari e ambientali. Ma oggi la “buona conoscenza” è minata dalla precarietà e il rischio è che le scelte dei nostri ragazzi siano superficiali, poco equilibrate e generino identità sospese.

A complicare la questione ci si mettono i social, il cui uso è oggi in forte impennata a causa del ritiro sociale dovuto alla pandemia. I modelli che propongono sono discutibili, aleatori e fuorvianti. Urlano forte, però, e collezionano consensi.
La sensazione comune è che le cose ormai abbiano preso una direzione e con quella dovremo fare i conti come educatori e genitori, attrezzarci quindi di conseguenza.
Alcune valide risposte alle nostre incertezze sono rintracciabili nel pensiero di due “visionari”, Zigmunt Bauman e Edgar Morin.
Il primo, in maniera quasi profetica, ha parlato di una modalità di approccio alla vita dinamico e flessibile. Suggerisce di insegnare ai giovani ad “apprendere e disapprendere”, incoraggiandoli a “violare la conformità delle regole classiche, a liberarsi dalle abitudini e a ricostruire le esperienze frammentarie in modelli precedentemente sconosciuti e nel contempo a considerare accettabili tutti i modelli solo fino a nuovo avviso”. Bauman esorta a puntare allo sviluppo delle capacità adattive nei confronti della mutevolezza della realtà circostante.

Anche Edgar Morin con la famosa teoria della “testa ben fatta”, a scapito di quella “ben piena”, invita a stimolare nell’apprendimento e nell’educazione i principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso.
Ci sono, dunque, delle strade percorribili, anche se riguardano soprattutto le nostre capacità razionali e cognitive. Restano aperti, invece, i delicati temi dell’emotività e dell’affettività.

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Fonte: Sir