Covid-19, un anno dopo: Caritas pubblica il Dossier “Virus forte, comunità fragili”

L’impatto del virus sulle comunità più fragili nel mondo: è quello che misura il report della Caritas, pubblicato a un anno dal primo caso di contagio in Italia. Il 63° Dossier, con dati e testimonianze, fa un bilancio dell’evoluzione della pandemia nel mondo e in particolare tra le popolazioni indigene

Covid-19, un anno dopo: Caritas pubblica il Dossier “Virus forte, comunità fragili”

"Virus forte, comunità fragili. Un anno di emergenza sanitaria tra le popolazioni indigene": a un anno esatto dal primo caso accertato di contagio da Covid-19 in Italia, Caritas pubblica il 63° Dossier con Dati e Testimonianze (DTT), che fa un bilancio a livello internazionale dell’evoluzione della pandemia e approfondisce in modo particolare l'aspetto della diffusione del virus in America. “In questo tempo inedito, gli interventi della Caritas sono stati e continuano a essere numerosi e diversificati – spiega l'organizzazione - L’arrivo del vaccino è ora una nuova speranza, ma restano le drammatiche conseguenze sanitarie e sociali della pandemia Covid-19, che in un anno ha segnato in modo indelebile la vita delle persone in tutto il pianeta, superando i 110 milioni di contagi e i 2,4 milioni di decessi”.

La pandemia nel mondo, “democratica” ma non tanto

Il dossier analizza innanzitutto alcuni dati complessivi sulla diffusione del virus su scala globale – dalla pressione antropica sul pianeta, in particolare la continua pressione sulla biodiversità, alle difficoltà che hanno segnato alcune categorie particolari di persone e alcuni ambiti, come quello educativo, soprattutto in alcuni Paesi in cui non sono state messi in campo strumenti e misure di accompagnamento e di protezione sociale. “Anche se è vero a livello teorico che il contagio non conosce barriere sociali, allo stesso tempo le persone che vivono al margine della società, prive di diritti, in condizioni abitative precarie, senza potersi basare su entrate economiche certe, hanno risentito maggiormente della pandemia, scivolando ulteriormente in basso nella loro condizione sociale ed economica”, si legge. Inoltre, “mentre nelle società più complesse e avanzate si ritiene che il contagio non abbia necessariamente attecchito con maggior virulenza presso le classi sociali più svantaggiate, che possono comunque contare su un livello minimo di condizioni abitative e accesso ai servizi, altrettanto non è possibile affermare di quei contesti territoriali dove sono presenti ingenti fasce di popolazione che vivono in condizioni igienico-sanitarie non adeguate, che non consentono l’adozione di misure di prevenzione e distanziamento sociale”.

La pandemia tra le comunità indigene: circa 5 mila morti e tante criticità

Il Dossier mette poi a fuoco la situazione delle comunità indigene del continente americano, evidenziando le situazioni di criticità a cui tali popolazioni sono sottoposte a causa della pandemia e delle misure di contenimento sociale. “Il profilo delle vittime dell’epidemia in Centro e Sud America è diverso da quello dell’Europa: a morire non sono soprattutto gli ultraottantenni, che in tali Paesi sono molti meno che nei Paesi europei, ma le persone giovani, con meno di sessant’anni. L’epidemia e la morte colpiscono tutti i livelli sociali, ma il numero più alto di morti si conta tra i più poveri”. Parliamo di popolazioni numerose, in cui quindi il bilancio dell'epidemia rischia di essere particolarmente drammatico: “Nel mondo più di 476 milioni di persone appartengono a popolazioni indigene. Si tratta di un raggruppamento pari al 6% della popolazione mondiale. Nella sola America Latina sono presenti 522 popolazioni indigene. Risulterebbe che molte popolazioni indigene sono a maggior rischio di malattie infettive emergenti rispetto ad altre popolazioni”.

I dati disponibili su contagi e decessi rendono bene le dimensioni di questo dramma: “Il totale delle persone di origine indigena decedute a causa del Covid-19 è pari a 4.406 unità. Purtroppo non è disponibile il dato sul numero di nativi morti negli Stati Uniti a causa del Covid; la disponibilità di tale informazione porterebbe con ogni probabilità il totale delle persone scomparse a sfiorare la quota delle 5 mila unità”.

Preoccupa anche l'inadeguatezza della razione di queste popolazioni: “Molte comunità indigene, prese alla sprovvista dall’avvento della pandemia, sono fuggite dai centri abitati, spingendosi nel profondo delle foreste o in zone montane non facilmente accessibili. In tali luoghi non ci sono ospedali, né personale sanitario specializzato, e di fatto le famiglie vivono dimenticate dai governi locali e nazionali”. D'altra parte, inadeguato risulta l'intervento delle istituzioni per proteggere dal virus queste comunità: “Un po' in tutto il continente latinoamericano, i nativi lamentano le tante inadempienze dell’intervento pubblico, che per numerose ragioni ha lasciato in secondo piano la protezione sanitaria dei nativi. La carenza dell’intervento pubblico ha riguardato anche l’insufficiente opera di screening dei contagi, del tutto inadeguata alle particolari circostanze. Nonostante gli appelli di numerosi responsabili nativi, in molti stati americani non si è provveduto a nessun tipo di isolamento e non sono stati eseguiti tamponi o test sierologici sulle fasce a rischio”. Inoltre “Le misure di contenimento sociale adottate dagli Stati per controllare il virus non sempre sono state in grado di riconoscere o rispettare la profonda importanza di pratiche di vita comunitaria tipiche della cultura indigena per le stesse popolazioni, ponendosi in una posizione di divieto e proibizione, più che di dialogo e mediazione interculturale”.

Nel Dossier, oltre a ribadire l’importanza di un sistema sanitario pubblico e universale a tutela del diritto alla salute per tutti - in Italia, in Europa e nel resto del mondo - a fronte di un impatto della pandemia stessa in società sempre più diseguali, sono riportate testimonianze inedite raccolte sul territorio e alcune forme di resilienza e risposta alle situazioni di crisi, messe in atto dalle popolazioni native, sia in forma autonoma che mediante il sostegno di organismi nazionali e internazionali, tra cui le Caritas e le Chiese locali.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)