Covid e carcere, situazione “non allarmante”. Con il lockdown calano i detenuti in Ue

I dati e le considerazioni del garante, che cita una ricerca del Consiglio d’Europa: dal 1° gennaio al 15 settembre, nei 35 Paesi le cui amministrazioni penali hanno fornito i dati, il tasso di detenzione medio è sceso del 4,6%

Covid e carcere, situazione “non allarmante”. Con il lockdown calano i detenuti in Ue

Nonostante i numeri della diffusione del contagio in carcere siano – giustamente – resi noti dal Ministero della giustizia sul proprio sito, non vogliamo deludere coloro che affidano a questa nostra più o meno settimanale pubblicazione l’informazione sull’andamento della diffusione del virus: oggi le persone detenute positive sono 882 e sono distribuite in 86 Istituti (sul totale di 192 strutture penitenziarie). Un numero alto, è vero, ma che va posto in relazione al fatto che, di esse, soltanto 65 presentano sintomi e 27 tra costoro sono trattate in ospedale”. Così il Garante dei detenuti e delle persone private delle libertà personali, secondo il quale “la valutazione complessiva è sostanzialmente non allarmante dal punto di vista strettamente medico, ma è invece da guardare con evidente preoccupazione dal punto di vista della gestione, sia per la necessità di spazi e, quindi, di una minore ‘densità’ delle persone ristrette e dunque di un numero di persone detenute sensibilmente minore, sia per l’incidenza che il contagio ha sugli operatori penitenziari, il cui numero di positivi è attorno al migliaio, e che si deve misurare con un organico sempre al di sotto di quanto formalmente previsto”.
Partendo da queste considerazioni, il Garante torna a sollecitare “maggiore capacità di elaborare proposte normative che sappiano tutelare la salute di tutti, assicurare una positiva gestione delle strutture e della vita interna relativamente a chi in esse opera e chi vi è ristretto, garantire la sicurezza. Gli emendamenti proposti e che abbiamo illustrato nelle riflessioni de il punto delle ultime settimane vanno in questa direzione: le ribadiamo e continuiamo nella nostra interlocuzione con il Parlamento che in questi giorni lavora attorno alla riconversione in legge del decreto 137/2020”.

La situazione in Europa

Il Garante cita, poi, i dati di una ricerca del Consiglio d’Europa (Coe), che ha attivato il progetto Space I-Covid-19 volto a monitorare gli effetti della pandemia su carceri, detenuti e persone sottoposte a probation in Europa, i cui risultati sono riportati sul sito dello stesso Coe.

Dalla ricerca emerge la complessiva diminuzione della popolazione carceraria europea nel periodo dei lockdown di primavera: “Dal 1° gennaio al 15 settembre il tasso di detenzione medio è sceso del 4,6% (da 121,4 a 115,8 detenuti per 100.000 abitanti) nei 35 Paesi le cui amministrazioni penali hanno fornito i dati – precisa la nota del Garante -. La riduzione è stata causata da una serie di fattori, tra cui l’uscita dal carcere di alcune fasce di detenuti per prevenire la diffusione del Covid-19. I lockdown delle popolazioni europee, che a metà aprile erano in atto da solo un mese, sembrano aver contribuito a una tendenza di stabilità o riduzione dei tassi della popolazione carceraria. Al 15 aprile, in 17 amministrazioni penitenziarie (tra cui l’Italia) il tasso di detenzione era sceso di oltre il 4%; rimaneva stabile (tra -4 e 4%) in 29 amministrazioni penitenziarie. La Svezia, che non ha attuato il confinamento della popolazione, è stato l’unico paese in cui il tasso di detenzione è aumentato nel brevissimo periodo”.

“Il contributo dei lockdown alla riduzione della popolazione carceraria è avvalorato da un’analisi della situazione del periodo successivo – continua -. Il 15 giugno il numero di amministrazioni penitenziarie in cui i tassi detentivi erano diminuiti da gennaio è salito a 27, mentre 14 hanno mostrato trend stabili e solo Svezia e Grecia hanno riportato tassi superiori a giugno rispetto a gennaio. Durante l’estate e senza lockdown, la tendenza alla diminuzione nella popolazione carceraria si è invertita in 12 amministrazioni penitenziarie, che avevano tassi superiori il 15 settembre rispetto al 15 giugno. La Bulgaria (-13,2%) e il Montenegro (-7,7%) sono state le uniche due amministrazioni penitenziarie, tra le 36 che hanno fornito i dati, in cui il tasso di detenzione è sceso da giugno a settembre. Nel complesso, tuttavia, i tassi di popolazione carceraria a metà settembre erano generalmente inferiori a quelli dell'inizio del 2020”.

Ed ancora: “Nelle quattro finestre cronologiche evidenziate, la media europea del tasso detentivo (ricordiamo che si tratta di un indicatore riferito al numero di detenuti per 100.000 abitanti) è progressivamente scesa e poi leggermente risalita: 121,4 al 31 gennaio, 116 al 15 aprile, 113,8 al 15 giugno e 115,8 al 15 settembre. Quanto all’Italia, negli stessi periodi si è registrato un tasso detentivo sempre inferiore a tale media: 100,9 al 31 gennaio, 91,3 al 15 aprile, 88,9 al 15 giugno e 89,9 al 15 settembre”.
Secondo il direttore dello studio Marcelo Aebi, le tendenze europee possono essere spiegate da diversi fattori, tra cui la diminuzione dell’attività della macchina giudiziaria penale dovuta al lockdown, il rilascio dei detenuti come misura preventiva per ridurre la diffusione del Covid-19 e il calo della criminalità prodotto dal lockdown, che può aver ridotto le possibilità di commettere reati tradizionali. Questa spiegazione è supportata dalla tendenza opposta osservata in Svezia e dal fatto che la diminuzione della popolazione carceraria si è arrestata al termine del lockdown.
Lo studio riporta, inoltre, che almeno 3.300 detenuti e 5.100 agenti penitenziari hanno contratto il Covid-19 entro il 15 settembre nelle 38 amministrazioni penitenziarie europee che hanno fornito i dati.

Il rinvio a giudizio per tortura

Per la prima volta, tre ispettori e due assistenti di Polizia penitenziaria sono stati rinviati a giudizio davanti al tribunale di Siena con l’accusa, tra le altre, di tortura: la nuova fattispecie criminosa (articolo 613-bis c.p.), introdotta nel codice penale nel 2017. “Il contesto sono alcuni episodi che sono stati denunciati come avvenuti nel carcere di San Gimignano durante un trasferimento nell’ottobre 2018 – ricorda il garante -. La notizia ha immediatamente un sapore di tristezza perché è comunque triste ipotizzare tali comportamenti compiuti da chi ha in carico una persona in nome della collettività e nell’assicurare la sua custodia è chiamato anche ad assicurare la sua dignità e integrità fisica e psichica. È però, parallelamente, una notizia da cogliere positivamente perché indica sia la volontà di indagare a fondo la denuncia di comportamenti assolutamente incompatibili con il nostro sistema civile, prima ancora che giuridico, sia perché dimostra la fondatezza della posizione a suo tempo assunta dal Garante nazionale che ha sempre sostenuto che la nuova fattispecie, quantunque formulata in termini piuttosto involuti, rappresentava comunque un passo in avanti nell’accertamento della verità e nell’espressa volontà del nostro Paese di inviare chiari segnali d’inaccettabilità di tali comportamenti, qualora accertati. Il segnale che viene dal Tribunale di Siena va nella direzione di contrastare il rischio di impunità rispetto a tali comportamenti, impunità che talvolta può nascondersi dietro un male interpretato spirito di appartenenza a un Corpo, non più visto come espressione dei suoi valori, ma come velo difensivo anche di chi tali valori ha offeso”.

Nei confronti dell’Italia, infatti, negli ultimi anni erano state accertate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo diverse violazioni sia dell’aspetto “sostanziale” sia di quello “procedurale” dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta, come è noto, la tortura e i trattamenti o pene inumane o degradanti. “Tuttavia, la mancanza di una previsione normativa del reato di tortura aveva impedito all’Italia di perseguire in modo adeguato tali fatti. L’introduzione di un reato che chiaramente definisse la tortura e ne prevedesse adeguata sanzione era stata richiesta dalla Convenzione Onu contro la tortura e gli altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti: era il 1984. L’Italia l’aveva ratificata nel 1987, ma da allora e per una trentina d’anni questa richiesta era rimasta inevasa. L’adozione della legge n. 110 nel 2017 aveva sanato questa assenza, seppure con un testo controverso”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)