Covid, il 54% degli operatori sanitari ha bisogno di supporto psicologico

"Ma solo la metà lo ha avuto". I dati dello studio dell'Università Gabriele d'Annunzio di Chieti pubblicati sulla rivista statunitense PloS One 

Covid, il 54% degli operatori sanitari ha bisogno di supporto psicologico

"Il 54% degli operatori sanitari in prima linea per l'emergenza Coronavirus riporta la necessità di ricevere supporto psicologico, ma di questi la metà non ha avuto la possibilità di accedere ad alcun servizio". E' quanto emerge dall'indagine sull'impatto del Covid-19 sulla salute degli operatori sanitari, condotta dalla Cattedra di Psicologia Clinica dell'Università Gabriele d'Annunzio di Chieti durante il lockdown di primavera e pubblicato sulla rivista statunitense PloS One. Studio che ha coinvolto circa 1.120 professionisti della sanità italiana, di cui la maggior parte donne (circa il 77%). Si tratta di infermieri (41%), medici (22%), Operatori sanitari (20%), tecnici e operatori (17%) impegnati sia nelle prime linee ospedaliere e della medicina di base che nelle retrovie dei laboratori e dell'assistenza.

"Sono numeri che raccontano il dietro le quinte della lotta al Covid 19, quelli raccolti ed elaborati in uno studio condotto durante la prima ondata di emergenza sanitaria - si legge nella nota diffusa da chi ha condotto lo studio - Numeri che sono un tassello importante nel quadro di responsabilità sociale che ogni cittadino è chiamato ad assumersi nel contrasto al contagio". La pandemia di Coronavirus, si evince, ha avuto un impatto significativo sulla salute psicologica, oltre che professionale, degli operatori sanitari impegnati in prima linea per contrastare la diffusione del virus nel corso della prima fase epidemica nella scorsa primavera". Il 58% ha denunciato sintomi di depressione, il 57% di ansia, il 56% sintomi post-traumatici e il 35% ha affermato di sentire compromessa la propria efficacia lavorativa. Il 61% degli operatori ha subito almeno una perdita tra pazienti, familiari e colleghi. Il 6% è stato contagiato ma ben il 50% non ne è a conoscenza per via della bassa accessibilità alle profilassi diagnostiche. Tra questi sono aumentati sintomi di ansia e di perdita di interesse per il proprio lavoro.

Tra gli operatori più a rischio di presentare disagio psicologico ci sono gli infermieri e gli Operatori socio-sanitari, le donne, gli operatori più giovani e quelli che lavorano nelle zone maggiormente colpite dall'emergenza (centro - nord della penisola).

I dati relativi alla regione Abruzzo sono particolarmente incisivi. Dei 237 operatori coinvolti nell'indagine, gli infermieri rappresentano il 45,6%; i medici il 35,4%; gli operatori socio-sanitari l'8%; i tecnici il 10,9%. Tra loro il 45,1% ha subito almeno un decesso tra pazienti, familiari o conoscenti. Il 25.3% di tutti gli operatori sanitari abruzzesi ha sentito necessità di supporto psicologico. Restringendo il campione agli operatori in prima linea (184) sale al 52,2% il numero ha subito almeno un decesso tra pazienti, familiari o conoscenti. Il 27,2% di tutti gli operatori sanitari abruzzesi ha sentito necessità di supporto psicologico. Il 19,6% per sintomi depressivi; il 28,3% per sintomi di ansia; il 51,1% per sintomi post-traumatici; e il 23,9% sintomi di burn-out.

"I dati- prosegue lo studio- segnalano l'urgenza di interventi di supporto psicologico finalizzati a sostenere gli operatori che quotidianamente si confrontano con l'emergenza e a ridurne il carico emotivo e il burn-out. Un'esigenza che questi mesi di seconda ondata stanno decisamente rafforzando". L'obiettivo della nostra indagine, sottolinea il professor Piero Porcelli, Ordinario di Psicologia Clinica dell'Università d'Annunzio di Chieti, "è stato quello di mettere in evidenza la necessità di tutelare il benessere di chi si occupa della nostra salute. Siamo tutti in debito verso coloro che affrontano l'emergenza Covid-19 con rinnovata dedizione, coraggio e forza di volontà anche in questa seconda ondata. Soldati in prima linea: medici, infermieri, tecnici, professionisti vari della sanità, quasi sempre anonimi- conclude- perché impegnati nel duro lavoro sul campo dove i momenti di gloria sono pochi e il prezzo da pagare è alto, come evidenzia la nostra indagine". (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)