Detenuti con dipendenze, Cnca: “No alle comunità carcere, così si torna agli anni ‘80”

Il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza ha organizzato una conferenza stampa alla Camera. Hanno partecipato le realtà del terzo settore impegnate sul tema e alcuni parlamentari. “Bene applicare le misure alternative, ma le comunità di accoglienza non sono surrogati degli istituti di pena”

Detenuti con dipendenze, Cnca: “No alle comunità carcere, così si torna agli anni ‘80”

Facilitare percorsi alternativi per l’uscita dal carcere, in particolare per le persone con problemi di dipendenza, senza trasformare però le comunità di accoglienza in surrogati degli istituti di pena né in carceri private. Lo ha ribadito con forza il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) in una conferenza stampa oggi a Roma, presso la sala stampa della Camera dei Deputati. Il dibattito è nato dopo le dichiarazioni alla stampa del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, che ha proposto di trasferire i detenuti con dipendenze dalle carceri alle comunità in “stile San Patrignano”. All’incontro hanno partecipato realtà del terzo settore impegnate sul tema del carcere e delle dipendenze e alcuni parlamentari. 

“Noi siamo disponibili a costruire delle alternative. Sappiamo quanto il carcere sia inadeguato e generatore di recidive. E’ dimostrata invece l’efficacia delle misure alternative alla detenzione nel ridurre fortemente la ripetizione di reati. Ma lavoriamo sul campo da oltre 40 anni e abbiamo la responsabilità di fare chiarezza rispetto a una comunicazione pericolosa. In particolare, ci troviamo a dover puntualizzare due aspetti: da una parte, vogliamo ricordare che esistono già normative che permettono pene alternative alla detenzione. C’è ancora tanta strada da fare  per ampliare e rendere realmente attuabili tali misure. Inoltre, bisogna investire a livello economico per l’implementazione di queste buone prassi, costruire protocolli d'intesa tra i diversi attori in gioco (magistratura, sistema penitenziario, Serd, enti locali, enti del terzo settore), insomma occorre fare cultura su questo tema, anche con il coinvolgimento dei diretti interessati. Il secondo aspetto che ci teniamo a sottolineare è che le comunità non sono surrogati del carcere, ma sono strutture aperte e inserite sui territori. Riprodurre le logiche e l’organizzazione carceraria in strutture private non potrebbe far altro che ripetere e moltiplicare i fallimenti del carcere in questo difficile ambito. È da valorizzare invece la professionalità e la motivazione etica e di impegno sociale degli operatori che lavorano nei servizi dedicati alle dipendenze; l’innovazione e le sperimentazioni di percorsi di cura brevi e finalizzati all’inserimento sociale e lavorativo delle persone coinvolte” ha sottolineato Caterina Pozzi, presidente del Cnca. 

Su circa 15.000 detenuti tossicodipendenti solo circa 3.000 hanno avuto accesso all’affidamento nel 2021, secondo i dati dalla Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia. Per il Coordinamento delle Comunità di accoglienza (CNCA) non si risolve il problema del sovraffollamento carcerario moltiplicando gli spazi di detenzione, ma applicando il principio che sancisce la privazione della libertà come extrema ratio e promuovendo il più possibile percorsi di pena alternativi alla detenzione che favoriscano per le persone con dipendenza percorsi terapeutici, che prevedono un rapporto con il reato commesso dal punto di vista della cultura della giustizia riparativa su cui le comunità stanno già lavorando da anni.

“Educare, non punire, è la strada maestra. La proposta che abbiamo letto, invece, contiene una visione punitiva del tossicodipendente e non affronta le reali difficoltà delle carceri. Il CNCA e le realtà terapeutiche rifiutano il mandato contenitivo e di controllo. Un cambio di passo è necessario, serve un ripensamento del sistema dell’equipe sanitaria in carcere, servono spazi di ascolto, momenti di condivisione di gruppo, un accelerazione nel rilascio delle certificazioni e dei tempi per l’invio in comunità o verso programmi di cura territoriali. Rifiutiamo con forza la trasformazione delle comunità in carceri private. Il modello stile San Patrignano citato dal sottosegretario non ci rappresenta, non rappresenta le comunità terapeutiche, non lo rappresentava negli anni ‘80 e non lo rappresenta ora. Se la logica sarà solo contenitiva siamo pronti alla disobbedienza civile”, ha aggiunto Riccardo De Facci, consigliere nazionale del CNCA con delega alle dipendenze. 

Secondo il Garante dei detenuti del Lazio e coordinatore dei garanti territoriali, Stefano Anastasia servono progetti e programmi di reinserimento con un investimento sul sistema dei servizi, che non sia solo dedicato alla mera disintossicazione delle persone detenute. Anche per Susanna Marietti di Antigone onlus non è creando un circuito penitenziario privato, affiancato a quello pubblico, che si affronta il tema del sovraffollamento delle carceri. Sulla stessa scia Denise Amerini della Cgil nazionale, che ha ricordato il tema degli operatori e Stefano Vecchio del Forum Droghe, secondo cui bisogna affrontare le storture previste dalla legge e parlare, invece, di depenalizzazione dei reati legati alla droga. Tra i parlamentari presenti, Anna Rossomando (Pd) e Riccardo Magi (+ Europa). Entrambi hanno esortato le realtà del terzo settore a far sentire la propria voce e ad accompagnare la politica per scelte appropriate sul tema per evitare il rischio di pericolosi passi indietro. Ilaria Cucchi (SI) pur non potendo essere presente ha espresso il suo supporto all'iniziativa. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)