Disabilità grave, quando fare un tampone diventa un'odissea

In Lombardia è prevista la possibilità per “gli individui fragili con scarsa capacità di collaborazione” di essere sottoposti a tampone salivare, meno invasivo di quello rino-faringeo. Ma nessuna struttura lo esegue. Il caso di Paolo, sedato in vena

Disabilità grave, quando fare un tampone diventa un'odissea

Per le persone con una grave disabilità, la Regione Lombardia ha previsto che possano essere sottoposti a un tampone salivare, meno invasivo di quello rino-faringeo, nel caso ci sia bisogno di accertare la positività o meno al Covid-19. Ma di fatto nessuna struttura, neanche due grandi ospedali di Milano come il Policlinico e il San Paolo, lo esegue. È quanto emerge dalla storia di Paolo e della sua mamma, resa nota oggi dalla Lega per le persone con disabilità (Ledha). Paolo è un uomo di 53 anni, con autismo. Quando il 3 gennaio la madre, Elena, è risultata positiva al Covid-19 la coppia si è messa in isolamento e il medico di famiglia ha registrato entrambi sul portale Covid-19 (anche in assenza del tampone di Paolo, che ha avuto come unico sintomo una leggera febbre il 4 gennaio).

Lo stress causato dal periodo di isolamento ha avuto pesanti conseguenze sul benessere psico-fisico di Paolo che il 10 gennaio si è procurato una profonda ferita alla testa, rendendo necessario l’intervento dei sanitari del pronto soccorso Covid-19 del Policlinico di Milano. I sanitari hanno provveduto a suturare la ferita di Paolo ma non è stato possibile effettuare il tampone “per le difficoltà che hanno incontrato nel sedarlo”, come ha riferito la madre a Ledha. Elena si è poi rivolta al “Dama” dell’ospedale San Paolo di Milano, centro specializzato nella presa in carico delle persone con grave disabilità intellettiva e neuromotoria, ma la struttura non ha voluto ammettere Paolo, essendo questi ancora positivo al Covid-19.

Il 14 gennaio, conclusa la quarantena di Elena, la famiglia si è recata al punto tamponi del Policlinico di Milano. La donna ha avuto in poco tempo l’esito (negativo) ma gli infermieri non sono riusciti a praticare il tampone a Paolo, nonostante questi avesse assunto dei calmanti. Il 18 gennaio -a 15 giorni di distanza dal primo e unico sintomo della malattia- Elena ha accompagnato il figlio al pronto soccorso dell’ospedale di Crema per effettuare un tampone in sedazione: il primo tentativo non ha avuto successo e di conseguenza i medici sono stati costretti a ricorrere alla sedazione in vena. Solo così è stato possibile procedere con il test. Purtroppo è ancora positivo e ora dovrà affrontare un nuovo periodo di quarantena al termine del quale dovrà sottoporsi a un ulteriore tampone.

“Paolo ha vissuto una situazione di stress, sofferenza e discriminazione. Una situazione causata da una serie di fattori tra cui la mancanza di informazioni”, commenta Enrico Mantegazza, presidente di Ledha Milano. Il 17 dicembre 2021, infatti, la DG Welfare di Regione Lombardia ha dato indicazione alle Ats di garantire l’uso dei tamponi salivari “in individui (sintomatici o asintomatici) fragili con scarsa capacità di collaborazione”. Tuttavia nessuno ha saputo dare ai familiari di Paolo informazioni certe su dove recarsi per eseguire un tampone salivare con certificazione. Nemmeno il medico di famiglia né il Dama -centro specializzato, che dovrebbe avere un’attenzione e una solerzia particolare nei confronti delle persone con disabilità “non collaboranti”- è stato in grado di fornire a Elena e a Paolo le informazioni che avrebbero evitato un intervento di sedazione in vena.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)