Disabilità, quando struttura non fa rima con cura. “Così la vita non è dignitosa”

Nelle Rsd, come nelle Rsa, le criticità evidenziate dalla pandemia sono tutt'altro che risolte. L'istituzionalizzazione, che il Pnrr vorrebbe superare a favore di nuove domiciliarità e residenzialità, compromette in molti casi la qualità della vita. Il caso di una Rsd lombarda, raccontato dai familiari

Disabilità, quando struttura non fa rima con cura. “Così la vita non è dignitosa”

Sono preoccupati per i loro familiari: preoccupati che non ricevano le cure e le attenzioni di cui hanno bisogno, che siano trascurati e soffrano di solitudine e di angoscia, chiusi in quella struttura a cui li hanno affidati, quando accudirli in casa era diventato troppo complicato, per non dire impossibile. E così hanno superato la paura di “ritorsioni”, come non esitano a chiamarle, per denunciare ciò che sta accanendo nella struttura che dovrebbe farsi carico delle gravi disabilità dei suoi ospiti, ma che oggi sembra incapace di farlo, a causa della mala gestione che il covid ha aggravato e che diventa ogni giorno più allarmante.

Redattore Sociale ha raccolto le testimonianze e le preoccupazioni di un gruppo di familiari, soprattutto fratelli e sorelle, di persone con grave disabilità che vivono all'interno della residenza Il Faro, a Bresso, in provincia di Milano. Le loro parole, insieme a quanto riferito dalla Commissione nominata dal Comune per monitorare il funzionamento della struttura, raccontano di una situazione sicuramente diffusa, che la pandemia ha messo in luce ,per un breve lasso di tempo, ma che subito sembra essere sprofondata nuovamente nel buio e nel silenzio: è quella “istituzionalizzazione” che si vorrebbe e si dovrebbe superare, almeno nelle sue forme più inumane, come quella che qui ci viene raccontata. Dal canto suo, l'attuale gestore smentisce ogni accusa: “All'interno della residenza, gli ospiti sono seguiti con cura, attenzione, personalizzazione degli interventi educativi ed assistenziali (…) Ogni eventuale problema tecnico o strutturale è stato tempestivamente preso in carico dandone informativa a tutte e famiglie e alla committenza, sempre garantendo tempestive soluzioni”.

Ieri e oggi

Un po' di storia, innanzitutto. La Residenza il Faro è, tecnicamente una RDS, ovvero una residenza sanitaria per disabili. Aprì i battenti nel 1998 a Bresso, in provincia di Milano: con i suoi 40 posti letto, fu una delle prime strutture in quella zona dedicate alle gravi disabilità. “Doveva essere un luogo aperto alla città – ci racconta GM, che ci ha contattati per denunciare la situazione - Per parecchi anni è anche riuscita ad esserlo, le cose funzionavano, certo non perfettamente ma non potevamo lamentarci. Poi è arrivato il covid, il lockdown ed è stato il caos: la gestione, affidata alla grande cooperativa che allora si aggiudicò l'unico bando emesso finora per l'affidamento della struttura, presenta ogni giorno più carenze e inadeguatezze. Da un anno a questa parte sono iniziati anche i problemi con il personale, soprattutto dell'area educativa: da inizio 2022 ad oggi si sono dimesse 10 persone, di cui le ultime due erano state assunte a gennaio. Accanto alle dimissioni, ci sono sempre più problemi legati alla struttura: perdite idriche, escrementi di topi nel controsoffitto e condizioni igienico-sanitarie che lasciano molto a desiderare: abbiamo sporto anche denuncia ai Carabinieri, ma senza ottenere risultati. Nei fine settimana accade spesso che, per mancanza di personale, gli ospiti restino a letto per 13, anche 14 ore. È ancora passabile l'assistenza al singolo ospite, soprattutto per chi ha dei parenti presenti assiduamente, ma è venuta meno completamente l'attività collettiva, a causa della mancanza di educatori. Oggi ci sono 40 ospiti nella struttura, tutti con gravi disabilità, alcune molto complesse, ma il personale e l'organizzazione sono assolutamente inadeguati, tanto che noi familiari abbiamo deciso di denunciare, nonostante la paura. Anche la Commissione ha scritto al Comune, segnalando la situazione, ma non ha ricevuto risposta: per questo molti commissari si sono dimessi: un gesto simbolico, ma non solo”.

Le segnalazioni (e le dimissioni) della Commissione

È proprio dalla Commissione, nominata dal Comune per controllare e verificare il funzionamento della struttura, che ci arriva questo racconto: “La situazione è sempre più carente, tanto che molti commissari si stanno dimettendo, sentendo di essere messi nelle condizioni di svolgere la propria funzione: abbiamo segnalato al comune le carenze socio-sanitarie e organizzative, ma non abbiamo avuto riscontro. D'altra parte, la cooperativa che gestisce la struttura continua a sostenere che vada tutto bene, che problemi non ce ne siano. Ma i problemi ci sono e sono sotto i nostri occhi. Innanzitutto, dal covid in poi, non ci sono più attività: prima c'erano le uscite, le vacanze, ora non c'è nulla, perché il personale non è sufficiente. È una residenza sanitaria per persone gravemente disabili, è vero, ma questo non vuol dire che debbano essere appena accuditi. E comunque anche l'accudimento minimo non è sempre garantito: con 40 ospiti, sono presenti appena tre oss. È naturale che li tengano per lo più a letto, perché non c'è personale per alzarli, lavarli, vestirli. E se li alzano, al massimo alle 17.30 già sono a cena e tra le 18 e le 18.30 li rimettono a letto, perché dalle 21 inizia il turno di notte e c'è solo un operatore! In questa situazione, continua a cambiare la dirigenza, il personale va e viene, non c'è continuità: chi conosceva i pazienti e sapeva relazionarsi con loro, non ha resistito più e si è dimesso. Sono sicura che questo non sia un caso isolato, ma una delle tante strutture che, soprattutto dopo il covid, non riesce più a garantire ai suoi ospiti una presa in carico adeguata, dignitosa direi. La differenza è che qui c'è una commissione interna, non presente in tutte le strutture, che sta denunciando la situazione, superando anche la paura”.

Paura? “Paura sì, paura delle ritorsioni. I familiari difficilmente reagiscono di fronte a queste criticità, un po' perché non hanno alternative e temono di perdere il posto, un po' perché sanno che potrebbero esserci ritorsioni nei confronti del familiare ospite”. Ritorsioni? È una parola grossa. “Sì, ritorsioni, sotto forma di carenza di cure e di attenzione. Prima del covid, c'era un via vai di operatori, educatori che garantivano una certa qualità alle giornate di queste persone. Ora quelli 'storici' si sono tutti dimessi, perché in queste condizioni non riuscivano più a lavorare”.

E gli ospiti? Come reagiscono alla situazione? “Parliamo di persone con gravi disabilità, sono pochi quelli che riescono a esprimersi: ma chi ci riesce, manifesta il proprio disagio. E poi ci sono i familiari che assiduamente entrano nella struttura: sono loro che osservano, rilevano e segnalano le carenze igienico-sanitarie e la trascuratezza dell'ambiente e delle relazioni. In altre parole, gli ospiti non sono trattati bene, la struttura non è in ordine e non è neanche pulita”. Un problema di risorse? “Le risorse ci sono, arrivano dalla regione e dal comune. Ma vengono risparmiate, diciamo così. Perfino la direzione cambia continuamente e viene affidata a persone senza esperienza, che non possono riuscire a gestire una struttura del genere. Possibile che una cooperativa importante e strutturata non abbia personale idoneo a svolgere un compito così delicato e complesso? Per fortuna c'è questo attivismo familiare, raro e prezioso in contesti come questo: sono soprattutto fratelli, sorelle e cugini, perché i genitori sono quasi tutti troppo anziani. Da tempo chiediamo un cambio dell'appaltante, che però non si può fare senza bando, Ora finalmente il bando c'è, lo abbiamo ottenuto: sono state aperte in questi giorni le buste e poi a giugno sapremo se avremo un nuovo gestore”.

La voce dei familiari

E. è ospite della struttura dal 2016, quando i genitori sono diventati troppo anziani per garantirle l'assistenza di cui ha bisogno, a causa di una meningite dopo la nascita e dei numerosi interventi subiti, che le hanno procurato una disabilità motoria e intellettiva. Sua sorella, che ha tre figli e si occupa anche dei genitori anziani, va a trovarla ogni giorno, “anche quando sono stanca e avrei bisogno di tornare a casa”. Ci va perché Elisa non sente la struttura come casa sua e ha bisogno di vedere i suoi cari, ma ci va anche perché “non sono tranquilla, le cose non vanno bene lì dentro. Già prima del covid c'erano problemi assistenziali, la vestivano male e non la lavavano bene. Con il covid, come in tutti gli ambiti sanitari, abbiamo visto il peggio: il personale non c'era, gli ospiti stavano a letto anche 24 ore sul 24, sporchi e con il pannolone. Ma abbiamo resistito, anche per la paura che la trasferissero chissà dove. Dopo il covid, la qualità del servizio ha continuato a peggiorare, forse perché il bando è scaduto nel 2019 e da allora Codess va avanti pro tempore, in attesa di quel bando che è stato pubblicato poi solo pochi mesi fa. Il 23 marzo sono state aperte le buste, a giugno sapremo a chi sarà assegnata la gestione”.

Racconta R., mamma di un'ospite della struttura: “Con la pandemia la struttura è rimasta chiusa ai parenti, potevamo vedere i nostri cari una o due volte alla settimana, per pochi minuti e dietro ad un vetro. È stato un periodo di grande sofferenza, soprattutto per gli ospiti. Ora possiamo di nuovo entrare, ma si evidenziano situazioni inaccettabili, per la mancanza costante e cronica di personale, sia a livello di operatori socio sanitari, sia a livello educativo. Ai parenti che si lamentano perché i loro cari vengono lasciati a letto per gran parte della giornata, viene risposto come giustificazione che gli oss presenti sono pochi. E così, ospiti che devono essere cambiati devono aspettare ore, come pure ragazzi che si trovano a letto devono chiamare numerose volte prima che qualcuno vada ad accudirli. I vari educatori che si sono alternati negli ultimi mesi se ne sono tutti andati, circa nove in sette mesi. Al momento sono rimasti in due più la coordinatrice. Quindi accade molto spesso che durante la giornata non sia presente alcun educatore, i ragazzi passano il tempo in salone senza sapere cosa fare, allo sbando. Questa situazione è pesante per loro, li rende nervosi, insofferenti, lamentano spesso di sentirsi annoiati. Quello che mi preoccupa di più è che i ragazzi vivono in quest' atmosfera di malessere generale, percepiscono un malcontento diffuso tra gli operatori che spesso si lamentano e discutono tra loro. Mia figlia, come tanti altri, vive con sofferenza questa situazione, i ragazzi si sentono trascurati e abbandonati. Più volte tali criticità sono state segnalate al Comune di Bresso, proprietario della struttura, dalla Commissione consultiva e dagli stessi parenti, senza che nulla sia migliorato. Chiediamo un maggior interessamento e controllo da parte del Comune, per migliorare lo stato di vita dei nostri cari”.

C. oggi non c'è più, ma ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in questa struttura: “Aveva una disabilità motoria e intellettiva, anche se comprendeva bene e aveva un grande senso dell'ironia – racconta una sua familiare - La struttura ha funzionato bene per anni, si facevano iniziative e progetti, sembrava un'eccellenza. La situazione è via via peggiorata, fino a diventare inaccettabile. Le problematiche sono innanzitutto di carattere sanitario, perché tanti sono diventati anziani e le loro esigenze sono cambiate, senza che fossero messe in campo risposte adeguate. Il disagio di C. si è rivelato soprattutto negli ultimi tempi, quando veniva lasciato sempre a letto, perché sollevarlo era problematico, ma non riceveva l'assistenza di cui aveva bisogno: non veniva medicato bene, non veniva posizionato bene, non veniva pulito bene. L'attenzione è inadeguata, la gestione fallimentare. Abbiamo denunciato ai carabinieri situazione e anche le carenze strutturali. Ora chiediamo un' attenzione diversa e speriamo in una gestione diversa, ma anche un controllo diverso da parte del Comune. La commissione consultiva, che era un punto di forza della struttura e di cui facevo parte, si è dimessa, perché non riusciva a svolgere le proprie funzioni. Spero sia ripristinata, quando ci saranno le condizioni per un ascolto diverso”.

Mio fratello ha 60 anni, ma è come un bambino di due – ci racconta A. - e ha bisogno di assistenza per lavarsi, per vestirsi, per andare al bagno, per mangiare... Ha un linguaggio limitato e ripetitivo, quindi bisogna conoscerlo, per essere in grado di comprenderlo. Fino a qualche tempo fa, quando il personale era appena sufficiente rispetto a quanto previsto, c'erano diverse attività e la struttura funzionava abbastanza bene. Poi molti operatori se ne sono andati, già prima del covid. E la pandemia ha fatto precipitare la situazione: gli ospiti sono praticamente abbandonati a se stessi. Essendoci una sola educatrice presente, vengono riuniti tutti insieme in un salone e mio fratello, che è molto sensibile al rumore, si innervosisce, si agita e vive molto male questa situazione: fa male a se stesso, tirando pugni al tavolo, alle pareti o ai vetri. E i medici come risolvono la situazione? Sedandolo! Durante il covid, lo ho tenuto a casa con me per diversi mesi, perché trovavo inaccettabile questa sedazione: stava male, aveva la bava alla bocca, era poco recettivo e camminava male: ho impiegato diverse settimane per rimetterlo in forma! Quando ho chiesto spiegazioni, mi hanno detto che lo fanno per proteggerlo da se stesso. E voglio precisare che mio fratello torna spesso a casa per qualche giorno e siamo molto attenti a ciò che avviene. Ma cosa succede agli ospiti che non hanno nessun familiare che si occupi di loro? Abbiamo più volte denunciato la situazione alla direzione, ma la risposta è sempre la stessa: non ci sono gli educatori. La commissione consultiva si è dimessa, il sindaco è venuto a visitare la struttura ma ha negato l'esistenza di criticità. Come familiare, chiedo che ci siano educatori in numero sufficiente e che restino nel tempo, perché possano conoscere gli ospiti e riconoscerne le necessità, le abitudini, le espressioni. Gli educatori sono il perno di queste strutture”.

È d'accordo A., anche lei familiare di un ospite della struttura: “L'aspetto educativo è fondamentale, perché questo luogo non è un parcheggio. Cosa chiediamo? Che siano accuditi, se non è possibile con amore, almeno con dignità. Che passino un tempo di qualità e non siano solo carrozzine da spostare, o pazienti da accudire”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)