Disabilità. “Noi che aspettiamo il vaccino per rivedere i nostri figli”

Matteo ha 40 anni e una forma grave di autismo. Da cinque anni vive in una struttura e la mamma non lo vede da settembre “Una decisione sofferta ma necessaria, da quando sono rimasta sola”. Da settembre non può vederlo, perché le visite sono di nuovo vietate. “SI attende il vaccino, si dice che arriverà a breve. Ma quando? Mio figlio non parla: se non lo incontro, non so neanche come stia”

Disabilità. “Noi che aspettiamo il vaccino per rivedere i nostri figli”

Non vede suo figlio da settembre, Maria. “Non so neanche se sta bene, perché lui non parla e per capire come sta io ho bisogno di osservarlo da vicino, di toccarlo”. Matteo ha 40 anni e una grave forma di autismo, Maria ne ha 68 e cinque anni fa, rimasta sola con lui, ha dovuto prendere “la decisione più sofferta: separarmi da lui, perché non ero in grado di occuparmene. Ma ho lottato con tutte le mie forze, anche in tribunale, per assicurargli la struttura migliore”. Una struttura fuori regione, perché nel Lazio non c'era niente che facesse al caso suo: “Anche al centro diurno non lo teneva nessuno: ragion per cui, alla fine, ho dovuto rassegnarmi a questa dolorosa separazione”: Ora Matteo vive “in un belo posto, forse il migliore, con tanto spazio dentro e fuori e tutte le attenzioni di cui ha bisogno, sempre stimolato e in attività, perché di questo non può fare a meno”, ci racconta Maria, che oggi, di fronte alla nostalgia, quasi si pente della scelta che ha fatto: “Non vederlo per tutto questo tempo mi distrugge, ma mi domando come avrei affrontato quest'anno così complicato, se lui fosse stato a casa: senza poter uscire, senza nessuno ad aiutarmi, con i servizi interrotti e lui che ha tante necessità”. Adulto lui, non più giovane lei, ora sono divisi dai chilometri che corrono tra il Lazio e l'Emilia Romagna e la pandemia che ha investito il mondo. “Aspettiamo il vaccino, perché allora finalmente riconquisteremo non dico una normalità, ma almeno una decenza di vita”:

E proprio il vaccino è la grande incognita, che rischia di allontanare ancora l'incontro tanto atteso: “Il gestore della struttura, un papà che l'ha aperta investendo tutti i suoi soldi, è molto spaventato dal virus e giustamente vuole proteggere i ragazzi che questa accogliere. Una ventina circa, tutti con autismo grave, la maggior parte non accetta di indossare la mascherina. Mio figlio non sopporta neanche che io indossi gli occhiali, figuriamoci! Così, è da marzo che non escono: quasi un anno. Per fortuna hanno tanti spazi a disposizione, ma è dura comunque. Le visite, interrotte durante il lockdown, erano riprese in estate, seppur con molte limitazioni: io andavo circa ogni tre settimane, prima della pandemia andavamo anche in giro, lo portavo al ristorante, o a fare una gita, a volte veniva anche qualche giorno a casa, ma con grandi difficoltà e sempre con l'aiuto di operatori che mi supportassero nella gestione. Quest'estate, invece, lo incontravo solo all'interno della struttura: se lo avessi portato fuori, avrei dovuto poi costringerlo a tampone e quarantena. Una crudeltà, per uno come lui. A settembre hanno di nuovo chiuso, per proteggersi si sono isolati: comprensibile, la paura è tanta, il rischio è alto. Ci avevano detto che a marzo, con lo scadere del Dpcm, saremmo potuti finalmente tornare a trovarli: ciascuna famiglia aveva già fissato un appuntamento. Adesso invece pare che vogliano attendere il vaccino, per stare più sicuri, che solo quando tutti i ragazzi saranno vaccinati potremo di nuovo incontrarli. E' giusto, è comprensibile, un contagio sarebbe drammatico per i nostri figli e naturalmente per noi. Ma io non ce la faccio più. Allora mi domando: perché i nostri ragazzi non sono stati ancora vaccinati? Perché alle parole non sono seguiti i fatti, quando ci hanno promesso che avrebbero avuto la priorità? E' quel che si dice, ma no è quel che accade nella realtà: i vaccini non sono ancora arrivati né si sa quando arriveranno. Io non so nulla, non capisco da chi dipenda, a chi ci si debba rivolgere, ma il tempo passa in quest'attesa e noi siamo sempre lontani. E' da settembre che andiamo avanti a videochiamate, due a settimana, ma parla solo l'operatore: Matteo non parla, posso solo vederlo. E non mi basta per capire se stia davvero bene. Contavo i giorni, per arrivare a marzo: ora che mi hanno parlato di un nuovo possibile rinvio, sono andata in frantumi. Tanti si stanno vaccinando: l'altro mio figlio e sua moglie, entrambi insegnanti, faranno il vaccino lunedì. Perché Matteo ancora no? Quanto dovremo aspettare?”.

Non avrebbe mai immaginato di battersi per un vaccino, Maria, che verso i vaccini è sempre stata molto diffidente. Ora invece "domando con forza che questo vaccino sia fatto a mio figlio e ai ragazzi come lui:il rischio c'è, ma vale la pena di affrontarlo, perché è l'unico modo per ridare ai nostri figli un minimo di libertà. E' come quando deve fare l'anestesia totale per le cure dei denti ho sempre una grande preoccupazione, so che ci sono dei rischi, ma bisogna farlo e si fa. Ora è lo stesso: il vaccino c'è, probabilmente è rischioso, ma soprattutto per qualcuno è urgente che sia fatto. Ho già mandato il consenso informato al centro, per accelerare i tempi, ma notizie certe non ne abbiamo. Ho timore del vaccino, ma non ho dubbi che debba farlo. Per questo spero e chiedo che sia fatto presto, che i nostri ragazzi passino avanti e, con loro, anche i tanti genitori che, diversamente da me, ancora di occupano di loro tutto il giorno”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)