Disturbi alimentari, l’impatto del lockdown sulla dieta degli adolescenti

Nel sesto appuntamento del progetto #noicisiamo per la scuola e le famiglie dell’Ufficio scolastico di Verona, si parlerà delle conseguenze della pandemia sulla dieta dei giovani. Dalle Grave (psicoterapeuta specialista in scienza dell’alimentazione): “Abbiamo riscontrato diversi nuovi casi e ricadute di chi era in miglioramento. Mentre alcuni pazienti sono migliorati avendo meno pressione a livello scolastico e sociale”

Disturbi alimentari, l’impatto del lockdown sulla dieta degli adolescenti

C’è chi controlla ossessivamente le calorie che ingerisce, chi si abbuffa e poi va in bagno a rimettere e chi invece mangia allo sfinimento, concentrando tutta la propria attenzione sul cibo. Si tratta dei disturbi del comportamento alimentare (Dca), patologie che hanno in comune un’intensa preoccupazione per il peso, il cibo e le forme del corpo. Durante il periodo della quarantena questo tipo di disturbo sembra essersi aggravato, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi: della questione si parlerà oggi nell’incontro “Diete e disturbi alimentari ai tempi del Covid”, il sesto appuntamento del progetto #noicisiamo per la scuola e le famiglie, promosso dalla provincia di Verona (settore istruzione) e dal punto di ascolto dell’Ufficio scolastico veronese, in programma stasera in remoto su Google Meet. La serata si rivolge ad educatori, docenti, assistenti sociali, dietisti ma anche famiglie, con l’obiettivo di affrontare l’argomento con un’ottica a 360 gradi in una prospettiva trans-disciplinare.

“Per il momento mancano dati precisi, siamo ancora in una fase di ricerca e basiamo le nostre considerazioni su impressioni cliniche – afferma Riccardo Dalle Grave, psicoterapeuta specialista in scienza dell’alimentazione e responsabile dell’Unità di riabilitazione nutrizionale della casa di cura Villa Garda –. Gli effetti della pandemia hanno avuto un impatto sulle problematiche psicologiche. Per molte persone il Covid e la quarantena hanno portato un peggioramento dei propri disturbi: abbiamo riscontrato diversi nuovi casi e ricadute di pazienti che erano in miglioramento. Le cause sono l’isolamento sociale, il fatto di vivere in spazi ristretti in famiglia, ma anche la paura dell’infezione e la mancanza di possibilità di avere terapie, visto che molti centri erano chiusi. È anche vero che altri pazienti invece sono migliorati con il lockdown, in particolare chi è riuscito a continuare la terapia a distanza: i ragazzi avevano meno pressione a livello scolastico e sociale, e meno competizione con i compagni, e questo può averli aiutati”.

L'analisi dei dati che arrivano dall’Osservatorio epidemiologico del ministero della Salute ha messo in evidenza che da febbraio a maggio vi è stato un aumento di casi di disturbi alimentari del 30 per cento nei ragazzi e preadolescenti. “Le origini post traumatiche dei disturbi dell'alimentazione, specie nei piccoli, sono ampiamente dimostrate, ma in questo caso l’isolamento, la didattica a distanza, l’impossibilità di giocare con i coetanei, la sensazione di paura condivisa con i familiari, le difficoltà delle famiglie, hanno determinato uno stress continuo e insostenibile per molti– commenta Giuliana Guadagnini, psicologa responsabile del punto d’ascolto dell’Ufficio scolastico veronese, specializzata in trattamento e diagnosi dei disturbi alimentari –. Alcuni hanno dovuto sospendere l’attività fisica e allora hanno iniziato a restringere il cibo, per paura di aumentare di peso, altri lo facevano per mantenere il controllo, altri ancora si abbuffavano per riempire il vuoto”. 

I disturbi più diffusi sono tre: anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating disorder, ossia il disturbo da alimentazione incontrollata. Insorgono per la maggior parte in adolescenza, in modo particolare nelle ragazze, anche se negli ultimi anni si è assistito da una parte a un abbassamento dell’età d’esordio e dall’altra a un innalzamento del numero di uomini coinvolti. “Questo periodo così difficile, comunque, ha portato con sé anche degli aspetti positivi – conclude Riccardo Dalle Grave –. Molti pazienti oggi si sono responsabilizzati rispetto ai loro stessi comportamenti e sono coinvolti più attivamente nella terapia. Inoltre abbiamo riscontrato che la terapia a distanza funziona molto bene nel nostro campo e ha avuto risultati soddisfacenti: è una pratica che porteremo avanti anche in futuro”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)