Emissioni pericolose. Il rapporto tra produzione alimentare e emissioni di gas serra
Le attività umane che stanno provocando danni e squilibri significativi all'atmosfera terrestre non riguardano soltanto la produzione di energia, ma anche altri importanti settori come l'agricoltura e l'allevamento.
Normalmente, nell’affrontare il problema del riscaldamento globale e dell’emissione di gas serra, si tende a puntare il dito anzitutto contro l’uso dei combustibili fossili, considerati i primi “nemici” della salute ambientale. E lo si fa per valide ragioni. Purtroppo, però, le attività umane che stanno provocando danni e squilibri significativi all’atmosfera terrestre non riguardano soltanto la produzione di energia, ma anche altri importanti settori come l’agricoltura e l’allevamento.
Basti pensare agli allarmanti dati emersi da un recente studio (pubblicato su “Nature Food”), realizzato da Atul K. Jain e colleghi della University of Illinois (Urbana, IL, Usa).
In base a questa ricerca, la lavorazione del suolo, il trasporto di colture e bestiame, la gestione del letame e tutti gli altri aspetti della produzione alimentare a livello mondiale, nel 2010, hanno prodotto emissioni di gas serra per oltre 17 miliardi di tonnellate all’anno (ma si stima che, già nel 2019, siano aumentate a ben 36 miliardi di tonnellate!). Di questa impressionante quantità di emissioni, il 57% è legato agli alimenti di origine animale, il 29% a quelli di origine vegetale, mentre il rimanente 14% è dovuto ad altre gestioni del suolo. Probabilmente, il valore di questo studio supera in affidabilità quello delle precedenti ricerche, essendo basato su dati relativi a ben 171 colture e 16 alimenti animali provenienti da più di 200 Paesi. Inoltre, l’elaborazione dei dati è stata sviluppata mediante modelli informatici molto elaborati, in grado di calcolare le quantità di anidride carbonica, metano e protossido di azoto prodotte dai singoli elementi del sistema alimentare globale, inclusi il consumo e la produzione.
“Se si vogliono controllare tali emissioni – spiega Atul Jain – è necessario avere una buona base di riferimento e i dati ottenuti sono i più precisi e in linea con le stime più recenti”. Per esempio, i valori delle emissioni risultano più alti rispetto a lavori precedenti perché si è tenuto conto anche delle pratiche di gestione dei terreni agricoli, come l’irrigazione e la semina, nonché delle attività al di fuori dell’azienda agricola, come la lavorazione e il confezionamento, attività più complesse da tracciare.
Più in dettaglio, tra i prodotti alimentari esaminati, la principale responsabile delle emissioni di gas serra risulta essere la produzione di carne bovina, la quale rappresenta il 25% del totale. Tra i prodotti di origine animale, invece, seguono nell’ordine il latte vaccino, la carne di maiale e la carne di pollo. Passando poi alla categoria delle colture, la principale fonte di gas serra è la risicoltura, che è anche la seconda più alta tra tutti i prodotti, con il 12% del totale. Questa poco invidiabile “posizione in classifica” del riso deriva dai batteri produttori di metano che prosperano nelle condizioni anaerobiche delle risaie allagate. Dopo il riso, le emissioni più elevate associate alla produzione vegetale provengono da grano, canna da zucchero e mais.
Guardando, invece, alla distribuzione geografica, sud e sud-est asiatico risultano essere i principali emettitori di gas serra legati alla produzione alimentare, oltre che le uniche regioni dove le emissioni di origine vegetale sono state superiori a quelle di origine animale, a causa delle coltivazioni di riso. Guardando poi ai singoli Paesi, la Cina, l’India e l’Indonesia hanno prodotto le più alte emissioni per la produzione alimentare a base vegetale, sia per le estensive coltivazioni di riso, sia per l’elevato numero di abitanti, che porta a una maggiore conversione di terra alla produzione agricola. Ma, tuttavia, proprio a causa del gran numero di persone, queste aree hanno fatto registrare emissioni di gas serra pro-capite relativamente basse. Al contrario, le più alte emissioni pro-capite si verificano in Sud America – che contemporaneamente è la seconda regione con le più alte emissioni complessive -, a causa della produzione elevata di carne, in particolare di manzo. Spetta invece al Nord America il secondo maggior numero di emissioni pro-capite, seguito dall’Europa.
Jain e colleghi hanno anche analizzato le emissioni causate dalle varie attività agricole, come l’aratura del suolo o l’utilizzo di altri tipi di attrezzature, insieme alla conversione dei terreni da foreste (o altri paesaggi naturali) a pascoli e terreni coltivati: tutto ciò ha rappresentato complessivamente i due terzi delle emissioni.
L’interesse di risultati così dettagliati non si ferma certamente alla sola mappatura delle emissioni, ma è orientato a cercare soluzioni efficaci per ridurle, ad esempio diminuendo l’uso di fertilizzanti, introducendo metodi più efficienti di rotazione delle colture o con altre soluzioni ancora da individuare. Ovviamente, si tratta di cercare un modo che permetta di bilanciare il fabbisogno alimentare della popolazione globale in crescita con la necessità di fermare la deforestazione.