Esportare l’inquinamento. I danni ambientali legati alle attività produttive delle multinazionali

Tra il 2011 e il 2016, circa il 20% delle emissioni globali di CO2 sono state generate da investimenti delle multinazionali di tutto il mondo.

Esportare l’inquinamento. I danni ambientali legati alle attività produttive delle multinazionali

Tanto a livello planetario, quanto a livello locale, continua senza sosta la lotta ai cambiamenti climatici – soprattutto in relazione al crescente inquinamento ambientale – e alle loro nefaste conseguenze sulle popolazioni nelle varie aree geografiche. Tra le cause di maggior peso, figurano senz’altro le grandi multinazionali, le cui attività produttive sono spesso legate all’emissione di CO2 nell’atmosfera.

Ma qual è la loro reale incidenza sul clima del nostro Pianeta? Più concretamente, quante delle emissioni globali di CO2 arrivano dai loro investimenti sui territori (nel loro Paese d’origine o all’estero)? Ha provato a dare una risposta al quesito un recente studio (pubblicato su “Nature Climate Change”), nato dalla collaborazione tra lo University College di Londra e la Tianjin University. Il gruppo di studiosi è stato coordinato da Zengkai Zhang, del College of Management and Economics, Tianjin University (Cina).

Diciamo subito che i risultati della ricerca sono poco “rassicuranti”: alla luce dei numeri, circa un quinto delle emissioni di anidride carbonica nella nostra atmosfera sono ricollegabili in qualche modo agli investimenti delle multinazionali, che sempre più spesso riducono il loro impatto ambientale nel loro Paese d’origine “spostando” di fatto le loro emissioni all’estero, di solito in un Paese in via di sviluppo. In altre parole, siamo di fronte ad un ennesimo esempio dell’odiosa – quanto pericolosa – prassi denominata “greenwhashing” (strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche, finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti).

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio. Secondo la ricerca di Zengkai Zhang e colleghi, tra il 2011 e il 2016, circa il 20% delle emissioni globali di CO2 sono state generate da investimenti delle multinazionali di tutto il mondo in Paesi esteri. Più precisamente, nel periodo preso in esame dagli studiosi, la percentuale è passata dal 22% al 18,7%, un lieve calo legato soprattutto all’adozione di pratiche industriali più sostenibili. Ma si tratta pur sempre di quasi un quinto (e non è poco!) delle emissioni totali. A ciò si aggiunge un altro aspetto negativo, concernente un trend abbastanza stabile durante i cinque anni presi in considerazione dalla ricerca: l’aumento esponenziale delle emissioni prodotte da imprese con sede in Paesi ricchi, ma la cui produzione ha sede in aree del mondo in via di sviluppo. Due esempi: le imprese statunitensi hanno aumentato le loro emissioni in India da circa 50 milioni di tonnellate a 70, mentre la Cina è passata, nel Sudest asiatico, da meno di un milione di tonnellate a 8. Insomma, è come se producessimo 100 kg di spazzatura alla settimana e, per non dare nell’occhio, la disseminassimo in piccole quantità nei cassonetti sparsi in tutta la città.

Proprio per evitare questa “frode”, gli autori dello studio suggeriscono di “assegnare” queste emissioni non al Paese dove vengono fisicamente prodotte, ma a quello dove ha sede l’azienda che le causa. In questo modo si incentiverebbero le multinazionali ad adottare pratiche produttive più sostenibili, tanto nel loro Paese d’origine nelle diverse aree geografiche di produzione, con evidenti vantaggi enormi per tutto il Pianeta.
Dunque, basterebbe poco, ma… c’è la volontà politica/economica di attuare davvero questi correttivi?

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir