Giorni muti, notti bianche. I medici degli ospedali Covid si raccontano attraverso il teatro

I medici sono saliti e saliranno su un palco per recitare sé stessi e gli altri, per narrare storie vere, per condividere con il pubblico una stagione terribile.

Giorni muti, notti bianche. I medici degli ospedali Covid si raccontano attraverso il teatro

È passato del tempo dall’incubo Covid. Qualcuno suggerisce di non abbassare la guardia. La memoria di quei giorni di paura è stata celebrata nei paesi più devastati con la speranza che mai più si ripeta e con il rinnovo della gratitudine a quanti si sono spesi per salvare vite umane. Rimangono sul campo alcune domande sulle responsabilità di fronte a un nemico sconosciuto e che ha colpito alle spalle.
Ora sono i medici della terra italiana più colpita dal virus a proporre un percorso della memoria, della riflessione, del lutto, del futuro. Scelgono una strada che non è propria della loro professione ma che esprime il desiderio di condividere un’indelebile esperienza umana: scelgono il teatro. Hanno deciso questa forma nobile di comunicazione per raccontarsi e raccontare. Lo hanno fatto con coscienza, la stessa che ha portato qualcuno a chiamarli eroi anche se loro mai si sono ritenuti tali.
Il debutto dello spettacolo dal titolo “Giorni muti, notti bianche” è già avvenuto e le repliche avverranno in diversi paesi bergamaschi e bresciani dove il virus si è accanito più che altrove.
“Abbiamo vissuto un’esperienza tragica ma anche molto bella – dice il dottor Massimiliano De Vecchi uno dei promotori dell’iniziativa – che ci ha lasciato molto il senso della coesione, l’abnegazione, la caduta di incomprensione, il recupero di un rapporto più umano con i pazienti”.
I medici sono saliti e saliranno su un palco per recitare sé stessi e gli altri, per narrare storie vere, per condividere con il pubblico una stagione terribile con la convinzione che “solo l’arte è capace di trovare le parole per raccontare le esperienze più complesse e prenderne le distanze. Il teatro ancora di più”.
Sorprende l’alleanza tra il linguaggio del medico e il linguaggio dell’attore. Ė un’umanità che prende la parola su un palcoscenico dopo essersi chinata sulla sofferenza e aver sostato ai bordi della morte.
A sipario aperto e riflettori accesi si narra la fatica e la bellezza di essere medico e nello stesso tempo di lasciarsi interrogare dal senso della vita mentre questa si sta spegnendo in una drammatica solitudine.
La regista Silvia Briozzo e la drammaturga Carmen Pellegrinelli descrivono il laboratorio teatrale come “un grande affresco corale composto da tanti quadri che raccontano lo smarrimento di fronte a un evento inaspettato e di dimensioni smisurate”.
Nello smarrimento nei reparti di terapia intensiva c’è stato il buio ma anche la luce di un incrociarsi di sguardi e di un abbraccio oltre il tempo.

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Fonte: Sir