Giovani caregiver, sono tanti ma restano invisibili

Fin dall’adolescenza si prendono cura dei genitori con problemi fisici o psichiatrici, ma anche dei propri fratelli malati. Per l’Istat sono il 7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Di loro si parla oggi in un convegno organizzato a Milano dall’associazione Young Care Italia

Giovani caregiver, sono tanti ma restano invisibili

L’immagine di un caregiver è spesso associata a quella di una donna adulta, più o meno giovane a seconda che sia madre di figli piccoli o già grandi e, talvolta, figlia lei stessa di genitori anziani. Quasi mai, invece, si pensa che una anche una persona giovane possa trovarsi nella necessità di prendersi cura di un padre o di una madre con malattie croniche, problemi fisici o di salute mentale, dipendenze da alcol o da droghe. Sono molte le situazioni che vedono impegnati i giovani caregiver: a volte si occupano di un fratello o di una sorella con disabilità, come avviene nel caso dei cosiddetti sibling, oppure sono ragazzi di seconda generazione, che fin da giovani si trovano a dover supportare le proprie famiglie, in difficoltà rispetto alla burocrazia, le visite mediche, la vita quotidiana in un paese straniero. Di giovani caregiver si parla oggi nell’incontro “Giovani e ruolo di cura: tra scelta e necessità” in corso in queste ore a Milano. L’incontro è organizzato da Young Care Italia, associazione che proprio in questi giorni festeggia il suo primo compleanno. Nata lo scorso anno a seguito di una ricerca partecipativa condotta dalla ricercatrice dell’Università del Sacro Cuore, Paola Limongelli, l’associazione ha l’obiettivo di offrire supporto, informazione e tutela ai giovani caregiver, ma anche di portare il fenomeno all’attenzione dell’opinione pubblica.

Prendersi cura: un’arma a doppio taglio

Secondo l’Istat (dati 2016) i giovani caregiver sarebbero il 7% della popolazione tra i 15 e i 24 anni, ma il fenomeno si conosce poco anche a causa della reticenza di chi è coinvolto in prima persona. “I ragazzi che vivono questa condizione hanno responsabilità maggiori rispetto ai loro coetanei, e queste responsabilità a volte possono diventare eccessive – spiega la presidente di Young Care Italia, Samia Ibrahim –. Perché, se svolgere dei compiti di cura nei confronti dei propri familiari può rivelarsi sano e perfino proficuo a livello pedagogico, quando il carico diventa eccessivo si possono generare delle problematiche psicologiche, come l’ansia, la depressione o, più in generale, la difficoltà nel riconoscere i propri bisogni e le proprie emozioni. A volte si verificano casi di abbandono scolastico e spesso i giovani caregiver, poco abituati a focalizzare la propria attenzione su se stessi, puntano su carriere più semplici e meno soddisfacenti. Non è un caso, poi, che molti decidano di sublimare la propria esperienza scegliendo professioni orientate alla cura”.

Storia di Ada, che oggi è una psicologa

È il caso di Ada (nome di fantasia), oggi psicologa ed “esperta per esperienza” all’interno di Young Care Italia. Sua madre si ammala di tumore quando era ancora una bambina, la famiglia prova riorganizzarsi, ma tutto diventa più difficile. Ada affronta la situazione così: “Le dinamiche familiari mi avevano conferito un mandato: potevo dare il mio contributo alla sopravvivenza della casa. Mi sarei dedicata allo studio, facendo la “brava bambina”, non dando pensieri a chi già di pensieri ne aveva troppi. Nulla di più facile per una bimba che sin da piccola era puntualmente definita giudiziosa”. Ripensando oggi alla sua scelta di diventare psicologa, Ada ha scritto: “Di certo non ho scelto psicologia a caso. L’aver toccato con mano il mio dolore ha inconsciamente guidato la mia scelta di essere una psicologa”. Grazie alla consapevolezza, al lavoro su se stessa e all’incontro con gli altri il bilancio finale è positivo: “Essere un’esperta per esperienza e una psicologa mi dà la possibilità di vedere maggiormente i miei limiti, ad esempio nel sentire quando c’è una voce di sottofondo nei mei pensieri, che distoglie la mia attenzione. È semplicemente la mia voce di quando ero bambina. Il mio lavoro è ascoltarla, accoglierla, ma non assecondarla”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)