Giovani migranti non accompagnati. Rwi e Hapax: “I mentori sono un ponte per l’inclusione sociale”

È una figura che “facilita la creazione e il consolidamento di legami e relazioni significativi. Inoltre, stiamo riscontrando come la società civile risponda in modo molto positivo alla chiamata delle organizzazioni del terzo settore, un segnale che evidenzia come tanti desiderano esercitare la propria cittadinanza attiva e considerano il mentoring un buon modo per farlo”, dice Fabiana Musicco. La storia di Jamman e Francesca

Giovani migranti non accompagnati. Rwi e Hapax: “I mentori sono un ponte per l’inclusione sociale”

I mentori sono un “ponte” verso la comunità territoriale e l’inclusione sociale per i minorenni stranieri che arrivano soli in Italia e che poi diventano maggiorenni. È questa la fotografia scattata dalla prima indagine “Il mentoring come strumento di inclusione sociale per giovani con background migratorio. Esperienze in Italia”, promossa da Refugees Welcome Italia e Fondazione Hapax / Mentoring con lo scopo di analizzare le esperienze di mentoring realizzate negli ultimi 5 anni dalle realtà che le hanno promosse: Defence for Children Italia (Genova), Cir (Roma), Programma Integra (Roma), Esserci (Torino), Cidis (Perugia), Refugees Welcome Italia (Palermo, Roma e Ravenna), Ciac (Parma), Sperimentazioni tutori sociali (Esserci Torino, Cir Catania, Oxfam e Associazione dei tutori volontari, Toscana). In tutte le esperienze mappate l’importanza del coinvolgimento e della mobilitazione della società civile riveste un ruolo centrale.

I minori stranieri non accompagnati censiti in Italia al 31 dicembre 2022 sono 20.089. Un numero in forte aumento rispetto al 2021 (+64%) e condizionato anche dalla crisi umanitaria che ha interessato l’Ucraina e ora anche il Sudan. Il sistema di tutela specifico per i minorenni stranieri (Msna) che arrivano soli in Italia sembra infrangersi di fronte ad un dato anagrafico, il compimento della maggiore età, momento in cui vengono repentinamente meno gli obblighi di tutela e protezione da parte dello Stato. Ed è qui che entra in gioco la figura del mentore che si inserisce in un vuoto legislativo, sociale ed educativo. Anche se non è ancora possibile elaborare una valutazione definitiva e scientifica sulle ricadute delle relazioni di mentoring sui percorsi di inclusione dei giovani cui si rivolgono, l’indagine quantitativa ha esaminato 4 territori (Emilia-Romagna, Liguria, Toscana e Piemonte) dove sono attivi i progetti “Fianco a Fianco”, Re-Generation, Tutela sociale Never Alone – Toscana e Tutela sociale Never Alone – Piemonte. In questi territori, secondo quanto rilevato dall’indagine, sono stati attivati 171 matching. Il numero di percorsi interrotti prima del termine previsto è molto basso (12 percorsi di mentoring), a testimonianza dell’efficacia di questo modello d’intervento.

Sono le donne a farsi carico in prevalenza del ruolo di mentore (139), con una fascia d’età compresa tra i 30 e i 50 anni. Solo un numero molto basso di mentori possiede un background migratorio. I mentees, invece, sono prevalentemente uomini (108 senza contare la Toscana), la maggior parte dei quali si trova in accoglienza istituzionale.

Considerando invece la durata dei percorsi di mentoring, tutti i territori hanno indicato come 6 mesi il tempo previsto, tranne la Toscana in cui con il decreto di Prosieguo amministrativo emanato dal Tribunale per i minorenni si arriva ad un massimo di 3 anni. La dimensione del tempo appare centrale sia per la costruzione di una relazione di fiducia tra mentore e mentee, sia per la definizione degli obiettivi condivisi da perseguire.

Dall’indagine emerge come l’esperienza del mentoring si configuri come il punto nodale di questioni molto ampie dove al centro, oltre al tema della tutela dei giovani giunti alla maggiore età in una condizione di chiaro svantaggio sociale legato alla complessità del viaggio migratorio, si somma l’assenza sul territorio italiano di una rete sociale e familiare adeguata.

“La figura del mentore riveste una funzione fondamentale”, spiega Fabiana Musicco, presidente di Refugees Welcome Italia.

“Esso facilita la creazione e il consolidamento di legami e relazioni significativi. Inoltre, stiamo riscontrando come la società civile risponda in modo molto positivo alla chiamata delle organizzazioni del terzo settore, un segnale che evidenzia come tanti desiderano esercitare la propria cittadinanza attiva e considerano il mentoring un buon modo per farlo”, aggiunge. “I giovani costituiscono lo strato fondante della società nel suo insieme: la loro formazione, la piena realizzazione dei diritti, la messa in pratica delle capacità e la partecipazione alla vita sociale contribuiscono in modo diretto e a lungo termine a una crescita economica dinamica, sostenibile, innovativa – sottolinea Giulia Savarese, direttrice del Programma Mentoring della Fondazione Hapax -. In questo contesto il mentoring si rivela un approccio in grado di accompagnare la transizione all’età adulta dei giovani con background migratorio, contribuendo al successo del loro percorso integrativo”.

“Ci facciamo tante risate insieme, ci prendiamo in giro con rispetto e affetto. Non c’è una relazione mentore-mentee, ma un’amicizia tra due ragazzi della stessa età che si aiutano a vicenda”. Nonostante si conoscano da circa sette mesi, tra Jumman e Francesca c’è quella confidenza tipica delle amicizie di lunga data: basta un’occhiata per intendersi. Bengalese lui, italiana lei, le loro vite sono incrociate grazie al progetto di mentoring “Fianco a Fianco”, realizzato da Refugees Welcome Italia con Unicef, che ha l’obiettivo di mettere in contatto giovani migranti, arrivati in Italia da minorenni, con volontarie e volontari che possano dar loro una mano nel percorso, spesso faticoso, di inserimento nella comunità italiana. Dal miglioramento della lingua alla conoscenza del territorio, dalla creazione di una rete sociale allo scambio culturale, dal sostegno emotivo a quello più pratico. Il tutto in un’ottica quanto più possibile paritaria. La reciprocità è, non a caso, l’aspetto su cui si concentra la riflessione di Francesca.“La nostra amicizia è un’esperienza arricchente per entrambi, sotto vari punti di vista. Ci vediamo spesso, compatibilmente con i nostri impegni: andiamo in giro per la città, a piedi o in bici, andiamo al parco a studiare. Lui conosce Ravenna meglio di me ed è bello vedere tanti posti attraverso il suo sguardo.

Ci scambiamo consigli musicali – lui è appassionato della musica di Bollywood come me – e culinari. Jumman mi ha cucinato un piatto tipico bengalese, il riso biryani. Io ho ricambiato preparando una banale pasta, perché, al contrario di lui, non sono molto brava ai fornelli”, racconta ridendo la ragazza. Jumman ci tiene però a precisare che la pasta “era buonissima”.

Uno degli obiettivi del progetto è anche quello di permettere ai giovani migranti di mettersi in gioco, con le proprie capacità e i propri talenti, di superare lo stereotipo che li vede sempre e comunque in una condizione di perenne vulnerabilità.

“Quello che mi piace dell’amicizia con Francesca è che lei mi tratta come una persona, non come un numero. Ha un sincero interesse verso quello che penso e dico. Io mi sento di poter parlare di tutto”, afferma Jumman. La ragazza conferma:

“Questo progetto è un modo per vedere le persone migranti senza il filtro del vittimismo, restituendo loro una voce e l’umanità che spesso viene negata.

È bello ascoltare Jumman parlare anche dei suoi desideri, delle sue aspirazioni, riconquistare a poco a poco la spensieratezza che un ragazzo della sua età dovrebbe avere”. Jumman vive in Italia da un anno e mezzo. Quando è arrivato aveva ancora 17 anni e, per questo, è stato accolto in un centro di accoglienza per minorenni. L’operatrice che lo seguiva gli ha parlato del progetto di mentoring “Fianco a Fianco” e a lui è piaciuta l’idea di poter allargare la cerchia di conoscenze e migliorare l’italiano. Lo scambio con Francesca si è poi allargato anche ai rispettivi amici: Jumman le ha fatto conoscere altri ragazzi bengalesi, mentre lei gli ha presentato i colleghi dell’Università. “Per molto tempo ho frequentato esclusivamente ragazzi migranti come me, soprattutto connazionali. Grazie a Francesca sono entrato in contatto con tante altre persone e questo mi ha aiutato anche a superare alcuni pregiudizi che avevo sugli italiani. I suoi amici sono simpatici e accoglienti. È proprio vero che si ha timore di quello che non si conosce”, aggiunge il ragazzo.

“Jumman è una persona aperta, che non giudica in modo negativo quello che è diverso dalla sua cultura, ha uno sguardo libero. Mi ha presentato i suoi amici, grazie a lui ho sentito altre storie e questa cosa mi ha arricchita tantissimo”, condivide Francesca.

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Fonte: Sir