Gli “abbandonati” dell'assistenza domiciliare: la storia di Simone e la paura del ricovero

La pandemia ha aggravato la situazione, ma i problemi sono iniziati già prima: le convenzioni non vengono rispettate perché nessuno controlla. Ma senza controllo, non c'è protezione. Infermieri pagati 15 euro l'ora anziché 27. "Ho paura per mio figlio e temo che la Asl stia pensando al ricovero. Ma lui morirebbe”

Gli “abbandonati” dell'assistenza domiciliare: la storia di Simone e la paura del ricovero

Simone finalmente ha una casa col giardino, da quando sua mamma Sara è riuscita a “regalargli il sole” per il suo compleanno. Nonostante la gravissima disabilità e il peggioramento delle sue condizioni, “è sereno e felice – assicura sua mamma – perché sente intorno a sé l'affetto e la cura. Io però sono preoccupata, perché l'assistenza che riceve è sempre meno adeguata, la nostra società ci ha ricusati e ora dovrei accettarne un'altra, il che significherebbe ricominciare da capo. Ma ho paura, soprattutto, che questo progressivo peggioramento della qualità dell'Adi serva per forzare un ricovero, contro il quale mi batterò fino alla fine”.

La storia di Simone è quella di tanti che, come lui, ricevono un'assistenza domiciliare integrata ad elevata intensità (tecnicamente, terzo livello): “Una sorta di ospedalizzazione domiciliare – ci spiega la mamma, Sara Bonanno – pensata per permettere ai pazienti con situazioni molto gravi e ingravescenti di restare a casa, assistiti come se fossero in ospedale, con macchinari e personale infermieristico specializzato. Si tratta di cure palliative, attivate laddove non si può curare una condizione inguaribile: si accompagna fino all'ultimo respiro, permettendo a queste persone di vivere una vita dignitosa con i suoi affetti e i suoi ritmi”.

“Più si aggrava, meno conviene”

Ora, il problema si chiama convenzione. E convenzione significa – o meglio, dovrebbe significare – protezione. “L'Adi di terzo livello è un servizio esternalizzato – ci spiega ancora Bonanno – che la regione affida a un sistema di mercato protetto, il che significa che la Regione stessa dovrebbe vigilare sia sul rispetto della convenzione e dei requisiti, sia sul fatto che le aziende non lucrino troppo. Parliamo di un servizio che non può prevedere un grosso utile – osserva Bonanno - perché l'aggravamento riduce l'utile. Per questo prima era dato in gestione a società cooperative senza scopo di lucro. Già un anno prima della pandemia, però, tutte queste cooperative nel Lazio sono diventate Spa e così sono iniziati i guai, che poi la pandemia ha aggravato”. Il “guaio” principale è la carenza di personale, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vita qualitativo. “Le persone come Simone richiedono personale qualificato per il supporto a domicilio – spiega Bonanno – che però dovrebbe essere pagato in modo adeguato. Infatti, secondo la convenzione, questi infermieri dovrebbero essere pagati circa 27 euro l'ora, gli Oss 21 euro. Invece le società, per avere un utile che le soddisfi, pagano gli infermieri tra i 15 e i 18 euro lordi: al netto, circa 9-10 euro. Ora, con la pandemia, il mercato offre a questi infermieri molte possibilità lavorative, più stabili e meglio retribuite: è quindi comprensibile che tanti vadano a lavorare in strutture od ospedali, conservano l'Adi come secondo lavoro”.

Come si traduce questo nella vita quotidiana di pazienti come Simone? “In un'assistenza insufficiente e inadeguata. Gli infermieri preparati, infatti, dedicandosi all'Adi come secondo lavoro, non possono coprire tutti i turni: per esempio, Simone ha una media di 10 ore al giorno tutti i giorni ed è sempre più difficile trovare infermieri per lui. Così, vengono assegnati infermieri senza esperienza e senza preparazione adeguata che, di fatto, vengono ad 'imparare' su Simone, come se fosse una cavia. Questa situazione è generalizzata a tutte le società che si occupano in convenzione di Adi di terzo livello: otto, in tutto il Lazio. La società che segue Simone, che prima del lockdown si è trasformata da cooperativa sociale a Spa, si occupa di lui da 10 anni e fino a un anno e mezzo fa ha fornito un'assistenza piuttosto adeguata. Durante il lockdown, però, molti infermieri se ne sono andati, accettando altri tipi di lavori nel pubblico: ero rimasto con una sola infermiera, che durante la pandemia si è letteralmente consumata. Era una situazione pesante, avevo più della metà dei turni scoperti: ho rinunciato alle tre assistenze notturne settimanali, per avere coperti i pomeriggi. Mi occupavo io di Simone tutte le notti, ma poi il pomeriggio dovevo dormire qualche ora. Da dicembre, Simone ha iniziato a peggiorare molto: tutte le funzioni che prima aveva e manteneva stanno andando perdendosi, soprattutto a livello respiratorio, la malattia sta progredendo, ci sono giorni in cui ha bisogno di interventi rianimatori, aspirazione, cateterismo e svuotamento fecale: è chiaro che serve personale capace e con esperienza, che sia in grado di effettuare prestazioni a livello intensivo. Ma questo personale non c'è”.

Ricusati dalla società. Ma “cambiare non si può”

Così Bonanno, abituata a lottare per suo figlio, ha protestato, prima da sola, poi con l'aiuto di un avvocato: “Per tutta risposta, Simone è stato ricusato da questa società – riferisce - con una serie di pretesti. Ma io non posso accettare che operatori impreparati vengano ad occuparsi di Simone, devo poter affidare serenamente a loro la vita di mio figlio. Ora dovrei accettare che subentri un'altra società nell'assistenza di Simone, ma io non voglio: primo, perché so come funziona e presto mi ricuserebbe anche questa, ci sono famiglie che sono state ricusate da cinque società su otto. Secondo, perché in questa società, che ci segue da dieci anni, ci sono alcuni infermieri capaci e la fisioterapista, in particolare, che è l'unica memoria storica di Simone e della sua salute, oltre a me. Non posso perdere tutto questo, non posso ricominciare da capo”.

Così, è in atto un vero e proprio braccio di ferro: da una parte la Asl, che incoraggia Bonanno ad accettare un'altra società, dall'altra lei, che tiene duro e continua a chiedere un'assistenza adeguata da parte della società che conosce da anni, “che però deve rispettare la convenzione – afferma Bonanno – rinunciando a quell'utile di 10 euro l'ora che vuole ricavare da ogni paziente e che, necessariamente, comporta un abbassamento della retribuzione degli infermieri e quindi una riduzione della qualità dell'assistenza. Perché chi deve controllare non controlla? - domanda accorata Bonanno – Il Pnrr stanzia tanti soldi per l'Adi: che fine faranno, se nessuno controllerà l'uso che ne viene fatto? Convenzione significa protezione: se non viene rispettata la convenzione, viene meno la protezione e noi ci sentiamo abbandonati”.

Il terrore del ricovero e le rassicurazioni della Asl

E c'è un'altra paura che angoscia Bonanno: “Ho il terrore che la Asl voglia far ricoverare Simone, magari solo per il periodo estivo, che per l'assistenza domiciliare è sempre molto problematico. E poi ci costringerebbero ad accettare il passaggio a una nuova azienda,  pena un nuovo ricovero, visto che quella ci ha ricusato non avrebbe più l'obbligo di assisterlo. E' una 'trappola' in cui tanti come noi sono caduti. Ma io so con certezza che Simone, ricoverato, durerebbe un giorno, poi morirebbe. E in che modo morirebbe? Solo, abbandonato, dopo che per tutta la vita ho fatto il possibile e l'impossibile per circondarlo di affetto e di attenzione: ho lottato perché avesse una casa adeguata, un giardino per prendere aria, relazioni che lo tenessero vivo, perché avesse, in poche parole, una vita dignitosa. Ora non posso rassegnarmi a lasciarlo in mano a personale inadeguato, ma non permetterò nemmeno che sia portato via da questa casa che ama e dove rimarrà fino all'ultimo respiro. Sono disperata, ma continuerò a lottare”.

Intanto, abbiamo contattato la Asl che ha in carico la situazione e che assicura: “Seguiamo Simone da molti anni con competenza, passione e costanza e ci adopereremo, come sempre e come con tutti i pazienti che abbiamo in carico, per garantire la continuità assistenziale”.

Chiara Ludovisi

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)