Grandi artisti, poeti, scrittori, filosofi, hanno abbandonato gli agi per tornare a una sana "povertà"

Molti scrittori, troppi per non destare qualche sospetto di verità, hanno messo in guardia da una vita fatta solo di benessere materiale, di eccessi consumistici.

Grandi artisti, poeti, scrittori, filosofi, hanno abbandonato gli agi per tornare a una sana "povertà"

Un uomo un tempo ricco appare nell’aula di un tribunale come testimone nel processo per tentato omicidio contro una donna, Anna Rosa, che “doveva essere assolta; ma io credo che in parte la sua assoluzione fu anche dovuta all’ilarità che si diffuse in tutta la sala del tribunale, allorché, chiamato a fare la mia deposizione, mi videro comparire col berretto, gli zoccoli e il camiciotto turchino dell’ospizio”. Nelle pagine finali di “Uno nessuno e centomiladi Pirandello, quell’uomo che si è completamente – e volontariamente – lasciato alle spalle l’antico benessere per farsi povero tra i poveri suscita sarcasmi e diagnosi popolari di rincitrullimento. Non è il solo, e non sarà l’ultimo. La gente ha paura dell’essenziale, fuori dalla metafora della letteratura: Pirandello e molti altri, troppi per non destare qualche sospetto di verità, hanno messo in guardia da una vita fatta solo di benessere materiale, di eccessi consumistici, come a sostenere le parole di Gesù di non preoccuparsi troppo del domani e di guardare alle creature del cielo. Nel film “Cuore sacro” di Ozpetek la ricca protagonista, a contatto con il mondo della povertà, si spoglia letteralmente dei vestiti e del suo vecchio sé in una metropolitana, per essere spedita subito dallo psichiatra. Ma già nel film di Pasolini, “Teorema”, e siamo in anno spartiacque, il 1968, un padre di famiglia si liberava dai vestiti, guarda caso anche lui in un luogo di passaggio e di addii, una stazione ferroviaria. Luogo questo piuttosto ricorrente, come vedremo in questo contesto. Anche il “Siddhartha” di Hesse, uscito nel 1922 ma assurto a grande notorietà – e meditazione – alla fine degli anni Sessanta, raccontava la storia di una ricerca di identità attraverso la spoliazione del vecchio sé, compresi i beni materiali. E, in fondo, la scelta di Clemente Rebora di abbandonare la poesia (il suo “Frammenti lirici”, del 1913, è considerato uno dei capolavori della poesia italiana contemporanea) e l’aspirazione alla gloria per farsi monaco rosminiano e “sparire” agli affetti del mondo ubbidisce a questa radicale ricerca di Dio. Per non parlare del grande Tolstoj che andò via via maturando un radicale rifiuto della società a lui contemporanea (culminato in “Resurrezione”, in cui il protagonista sceglie, nella rinuncia e nella purificazione, la via del Vangelo) fino ad abbandonare la sua ricca dimora e andare a morire in una stazione della profonda provincia russa.

Un grande artista come Gauguin cercò prima in Europa e poi nelle isole Marchesi l’antidoto alla sazia opulenza di una civiltà che sembrava aver dimenticato la gioia del rapporto vero con il creato, e Robert Stevenson, il geniale narratore della dissociazione tra bene e male dell’uomo nonostante il benessere (o forse a causa di esso?) in “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” se ne andò a passare il resto dei suoi giorni a Samoa. Rimbaud è un caso a parte: sensibilissimo ai segnali della decadenza di una società colta ma malata di scetticismo, quello che sarebbe diventato il poeta maledetto per eccellenza, abbandonò l’Europa per perdersi in Africa, nel desiderio di lasciarsi alle spalle una civiltà al suo crepuscolo: le due guerre che si sarebbero succedute a poco più di vent’anni dalla sua morte ne sono state il sigillo terminale. Uno dei padri del moderno ambientalismo, Henry D. Thoreau, se ne andò a vivere sulle rive di un lago in una casa di legno da lui stesso costruita.

Abbiamo citato solo alcuni tra i poeti, gli artisti, i pensatori che hanno fatto abbandonare dai loro personaggi, o lo hanno fatto loro stessi, la sazietà e l’accumulazione per tornare ad una vita semplice e povera. Il sospetto che dietro vi sia anche un evento accaduto alla fine del 1205 ad Assisi, quando un giovane rampollo della famiglia del ricco Bernardone rinunciò alla sua ricca dote e si fece povero tra i poveri, è forse qualcosa di più d’un sospetto.

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Fonte: Sir