Guerre agroalimentari. Il settore è fra i più colpiti dalle ipotesi di dazi Usa a seguito del caso Boeing-Airbus

Campi e stalle significano mercati miliardari e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Che una guerra commerciale può mettere in crisi.

Guerre agroalimentari. Il settore è fra i più colpiti dalle ipotesi di dazi Usa a seguito del caso Boeing-Airbus

Guerra, seppur solo commerciale. E’ quanto accade tra Europa e Usa in virtù degli accordi (fra l’altro indicati come di libero scambio), che di fatto buona parte del mondo ha da tempo sottoscritto, nell’ambito del World trade organization (Wto). Si tratta di una guerra non sanguinosa (per fortuna) ma certamente pesante per molti comparti dell’economia del Vecchio Continente e che tocca da vicino anche l’Italia e il suo agroalimentare. Per capire meglio, tuttavia, occorre mettere in fila una serie di informazioni essenziali.

Tutto accade, come si è detto, a causa del Wto. L’intesa ha in effetti l’obiettivo di agevolare le buone relazioni commerciali ed economiche tra gli stati, anche infliggendo “punizioni” quando qualcuno pone ostacoli agli scambi (anche sotto forma di sussidi rivolti ad agevolare la produzione rivolti a particolari comparti). Quanto sta accadendo in questi giorni è proprio frutto di una situazione di questo genere: Europa e Usa sono contrapposte nell’ambito della vicenda di aiuti all’europea Airbus rispetto all’americana Boeing. Da qui il ricorso al Wto che, pochi giorni fa, ha autorizzato gli Usa all’imposizione di dazi su prodotti europei per 7,5 miliardi di dollari. E’ da questa decisione che deriva una “lista nera” di prodotti che presto – se non interverranno accordi magari anche bilaterali -, potrebbero essere fortemente ostacolati sui mercati oltreoceano. E nella lista, alcune delle prelibatezze agroalimentari (non solo italiane) occupano un posto importante.

Ancora una volta così l’agricoltura, l’agroindustria e l’agroalimentare in generale sono da considerare ben altro da quel settore bucolico la cui immagine spesso ancora oggi circola.  Campi e stalle significano invece mercati miliardari e a conti fatti centinaia di migliaia di posti di lavoro. Che una guerra commerciale può mettere in crisi. E’ per questo che le organizzazioni agricole e industriali si sono subito mobilitate.

L’indicazione più chiara probabilmente arriva dalla Coldiretti che, per l’agroalimentare, ha precisato come l’arrivo dei dazi affossi il primato storico realizzato dall’alimentare italiano con un balzo del +8,3% nelle esportazioni nei primi otto mesi del 2019. Già, perché a complicare le cose è anche il fatto che il mercato Usa sia uno dei più ricchi e promettenti per le nostre produzioni. Il succo è che saranno colpiti da dazi Usa del 25% a partire dal 18 ottobre esportazioni agroalimentari per un valore di circa mezzo miliardo di euro. Nella loista nera tesori come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola e altri lattiero caseari ma anche su salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori. Tesori che, è bene ricordalo ancora, non significano solo “immagine” ma anche “lavoro”. Tutto  con situazioni paradossali come quella ricordata da Assolatte (che raccoglie gli industriali del settore). I dazi colpiranno anche il Pecorino Romano, che fino ad oggi entrava negli States a dazio zero e nonostante gli Stati Uniti non abbiano produzioni casearie ovine a livello nazionale. Tutto senza contare il fatto che a far le spese del bisticcio Boeing-Airbus  rischiano di essere comparti che con gli aerei c’entrano davvero poco. “Inaccettabile”, per tutti e in particolare per il sistema della cooperazione raccolto da Alleanza Cooperative Agroalimentari.

Non si tratta d’altra parte di una sorte esclusiva dell’Italia. Stando a quanto fatto rilevare da Nomisma, in tema di dazi la Francia paga pegno sui vini fermi, il Regno Unito sul whisky e la Spagna sull’olio d’oliva. “A livello europeo – dice ancora Nomisma -, Francia e Regno Unito presentano i valori assoluti di import agroalimentare più elevati soggetti a dazi (oltre un milione di dollari)”. Sempre Nomisma, fra l’altro, sottolinea che “su un totale di import agroalimentare negli USA di origine italiana che nel 2018 è stato di 5,48 miliardi di dollari, l’ammontare che viene interessato dai nuovi dazi è di circa 482 milioni di dollari, vale a dire il 9%”. Non si tratta di cosa di poco conto: ad essere tartassati sono infatti alcuni dei nostri migliori prodotti agroalimentari.

Ma a questo punto che fare? Il campo è aperto ad una sola azione: il negoziato fra Europa e Usa e fra i singoli Stati e Usa. In attesa degli sviluppi, vale però anche quanto delineato dall’Italia: attivare aiuti compensativi per azzerare l’effetto dei dazi americani. Un’ipotesi sostenuta dai coltivatori diretti che aggiungono: “E’ importante intervenire subito con risorse adeguate per sostenere le imprese colpite dai dazi ed evitare la perdita di competitività sul mercato americano a vantaggio dei Paesi concorrenti”.

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Fonte: Sir