I Magi, il Bambino, l’arte del dono. Il significato profondo dell’Epifania e di antichi racconti

A Betlemme giungono tre doni, per l’incarnazione di un’antica promessa. Non vanno ad Erode, né ai potentati locali, ma ad un neonato la cui presenza è rivelata da un fenomeno celeste, un bambino di nessuna nobiltà e senza beni di lusso, senza potere, insomma, almeno quello apparente. Eppure i Magi, gli antichi sapienti d’oriente, vanno là, a rendere omaggio alla manifestazione divina. I Magi non chiedono niente, se non la visione di ciò che è accaduto in quella mangiatoia, secondo Luca, o in una casa, se seguiamo Matteo: portano semplicemente, dopo un lungo viaggio, che a quei tempi non era una passeggiata, doni, e poi tornano indietro; quella apparizione, quell’Epifania ha cambiato per sempre la loro vita

I Magi, il Bambino, l’arte del dono. Il significato profondo dell’Epifania e di antichi racconti

Forse hanno poco in comune, è vero, i Magi e la Befana, se non fosse per quel piccolo indizio, un fenomeno linguistico di attenuazione della occlusiva P che diviene più dolce diventando B e la caduta della vocale iniziale E. Per cui Befana verrebbe da Epifania, la Rivelazione del Bambino, che è il vero centro della festa, anche se non tutte le confessioni cristiane la celebravano lo stesso giorno. Ed è forse vero che i doni dei Magi si incrociano con quelli della vecchia donatrice perché hanno in comune la stagione in cui avvenivano i riti di ringraziamento per i raccolti del passato e di propiziazione e di fecondità per quelli a venire. E anche perché un’altra versione ci racconta che la vecchietta si era rifiutata all’inizio di seguire i magi e poi pentita li cercò, (secondo altri li attese) senza trovarli mai.

Ed è altrettanto vero che a Betlemme inizia una nuova era in cui passato e futuro si separano: ma nello stesso tempo quella Nascita diviene compimento delle figure del passato.

A Betlemme giungono tre doni, per l’incarnazione di un’antica promessa. Non vanno ad Erode, né ai potentati locali, ma ad un neonato la cui presenza è rivelata da un fenomeno celeste, un bambino di nessuna nobiltà e senza beni di lusso, senza potere, insomma, almeno quello apparente. Eppure i Magi, gli antichi sapienti d’oriente, vanno là, a rendere omaggio alla manifestazione divina, come nell’originale greco.

Comunque vogliamo vederla, “Befana” nasconde qualcosa di molto, molto importante, che l’era del consumismo ha un po’ snaturato: il dono gratuito.

I Magi non chiedono niente, se non la visione di ciò che è accaduto in quella mangiatoia, secondo Luca, o in una casa, se seguiamo Matteo (anche se la cd Bibbia Martini ci dice che per gli Ebrei del tempo “casa” poteva significare qualsiasi tipo di abitazione, anche un tugurio): portano semplicemente, dopo un lungo viaggio, che a quei tempi non era una passeggiata, doni, e poi tornano indietro.

Quella apparizione, quell’Epifania ha cambiato per sempre la loro vita.

Anche la grande vecchia porta semplicemente doni, e probabilmente quella scopa di cui si serve per raggiungere le case è il ricordo del legno, delle radici, della natura che non abbandona i figli. Doni che a volte sono poveri, soprattutto in questi tempi in cui alle crisi economiche si sono sovrapposte emergenze ambientali e sanitarie. Reca doni ancora oggi, anche se una volta entrava nelle capanne attraverso l’apertura al centro del soffitto, l’arcaico camino che veniva spento una volta l’anno per permettere la visita del grande antenato. I Magi, figure storiche che conoscevano l’antica saggezza tramandata da saggio a saggio e che forse sapevano di quei racconti, portano doni a un bambino, diventando simboli di un atto stupendo anche oggi:

il dare senza volere nulla in cambio, se non lo sguardo di un neonato sperduto in una terra non sua

e il sorriso di un padre e una madre che non hanno nulla se non quella antica Promessa di cui sono divenuti umili protagonisti.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir