Il muro del silenzio. Arrivati a una certa età i ragazzi non raccontano più nulla di sé

Il silenzio è amplificato dallo specchio nero dello smartphone che pare ingoiare tutti gli intimi segreti dei nostri ragazzi.

Il muro del silenzio. Arrivati a una certa età i ragazzi non raccontano più nulla di sé

Una vera e propria fortezza, le cui mura sono fatte di silenzio. Così improvvisamente l’adolescenza svela se stessa e sfida all’assedio. Chi ambisce di tentarlo, sappia che si tratta di un’impresa quasi impossibile.
La cortina del mutismo, la reticenza, la tendenza alla contrapposizione dialettica, le omissioni dureranno a lungo e saranno il terreno di scontro per eccellenza fra genitori e figli.
Non è facile per i genitori accettare un cambiamento tanto repentino e  radicale. In genere questa metamorfosi poi si accompagna a una trasformazione altrettanto destabilizzante del corpo e della voce.  Insomma, tenevamo per mano dei bambini e ora a strattonarci la presa troviamo “giovinetti” che, per certi versi, non riconosciamo più e soprattutto che non parlano più con noi, non ci raccontano più nulla.

Sul silenzio degli adolescenti c’è molta letteratura. Ne troviamo traccia nei manuali di psicologia e nei testi di narrativa. Nel bozzolo del silenzio cresce e matura l’interiorità di un individuo che si avvia verso l’età adulta. Nel chiuso di sé stesso elabora pensieri e definisce la propria identità. Spesso si esprime in maniera brusca e urticante. Contesta e tenta di sovvertire regole ormai consolidate in famiglia. Snobba le uscite con i genitori, diventa scontroso ed enigmatico. Di fatto mina equilibri e prende il largo da noi.
Del senso di solitudine e di incertezza, che i genitori provano in questo periodo  invece si parla meno. Ci si trova ad attraversare la tempesta e occorre mantenere la rotta e soprattutto il ruolo. Si prova paura quando i figli sono adolescenti e ci si sente impotenti. Responsabili e al contempo impossibilitati a intervenire in vite che rivendicano emancipazione e indipendenza.
La solitudine genera rabbia, perché la ribellione ha i toni dell’ingratitudine, anche se di fatto non lo è. La stizza scatena frizioni. Così in famiglia si innescano contrapposizioni che possono essere insanabili per lungo tempo.

Il silenzio certamente non aiuta. È amplificato dallo specchio nero dello smartphone che pare ingoiare tutti gli intimi segreti dei nostri adolescenti e che diviene una sorta di scrigno della loro coscienza.
Con chi chatta il nostro ragazzo? Che cosa scrive? Che cosa pubblica? Che social usa? Le domande sciamano e ronzano nella nostra testa. A volte ne siamo sopraffatti.
E intanto il silenzio perdura e la distanza si marca e deve esserci, è sana, perché soltanto così è possibile crescere davvero. Ma è doloroso. Un po’ come per le madri è stato il parto, il primissimo distacco.
Il silenzio, inoltre, lascia intuire la presenza di altri interlocutori, magari a noi sconosciuti.
Amici del cuore, compagni di classe, fidanzatini e, a volte, amici virtuali. Riguardo questi ultimi occorre fare attenzione, anche se non è raro che i ragazzi oggi allaccino anche buone amicizie attraverso la tecnologia, come accadeva un tempo con gli “amici di penna”.
Occorre poi interrogarsi sul vero senso del dialogo. Insomma c’è vero scambio quando il parlare diventa intimo e autentico. In mezzo al deserto del silenzio è possibile rintracciare anche qualche “oasi” di sincera condivisione.
Ma per riuscire ad accedervi occorre fare un passo indietro e non pressare.

La parte più difficile per un genitore è evitare di partire a raffica con le domande. Tra l’altro pare che oggi, rispetto al passato, laddove il silenzio celi omissioni, esse siano legate prevalentemente al timore di determinare stati di angoscia nei genitori; un tempo invece la paura era il tratto dominante.
E poi occorre imparare a cogliere l’attimo e a leggere anche i silenzi. Bisogna continuare a tentare l’approccio con delicatezza e sensibilità. Raccontare se stessi “gratuitamente”, parlare della giornata trascorsa e sottolineare sempre l’amore che si prova, anche implicitamente attraverso gesti e premure. Magari per il momento in cambio avremo un borbottio, ma  la sensazione di positività attraverserà la cortina della ostentata indifferenza.
Un semplice “come stai?” rassicura e richiama alla realtà, anche se resta senza risposta.

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Fonte: Sir