Il romanzo di Hanya Yanagihara descrive il punto di vista genitoriale nel percorso di crescita di un figlio

In letteratura il tema dell'adolescenza è piuttosto ricorrente. Molti hanno provato a raccontare questa età così difficile.

Il romanzo di Hanya Yanagihara descrive il punto di vista genitoriale nel percorso di crescita di un figlio

Tutti noi vorremmo far credere che la sola cosa che desideriamo è che i nostri figli siano felici e in salute, ma non è così. Ciò che realmente vogliamo è che siano come noi, o migliori di noi. Come umani non siamo molto lungimiranti, da questo punto di vista. Non abbiamo gli strumenti per contemplare la possibilità che siano peggiori. Ma forse è chiedere troppo. Dev’essere un espediente evolutivo – se avessimo una consapevolezza così piena, così assoluta, di cosa ci aspetta, nessuno di noi farebbe più figli”. Nel suo intenso e durissimo “Una vita come tante” (Sellerio, 2016), romanzo molto discusso ma anche apprezzato, la scrittrice Hanya Yanagihara descrive senza mezzi termini e, al di fuori dei paletti del conformismo, il punto di vista genitoriale nel percorso di crescita di un figlio.

Una vita come tante” è un romanzo di formazione, in esso si incrociano storie di giovani che si troveranno a fare scelte difficili nel momento in cui emerge – col potere distruttivo di una deflagrazione – la consapevolezza delle proprie attitudini e dei propri limiti.

In letteratura il tema dell’adolescenza è piuttosto ricorrente. Molti scrittori, e anche poeti, hanno provato a raccontare questa età così difficile e avviluppata. Attraverso la scrittura ne hanno sondato gli aspetti disfunzionali, quali l’accettazione del proprio corpo in mutazione, l’acquisizione dell’identità personale, l’emergere della sessualità, le relazioni con i pari e lo sviluppo dell’identità sociale, la formazione di sistemi motivazionali, valori e progettualità futura. Meno frequentemente capita di imbattersi in testimonianze, reali o fittizie, che possano sfaccettare in maniera esaustiva il percorso genitoriale (oltre che quello filiale) in questo frangente così difficile della crescita dei ragazzi.

Non è facile affrontare con la giusta distanza l’instabilità e la discontinuità che caratterizzano gli adolescenti. La rivoluzione interiore ed esteriore che li investe può travolgere emotivamente anche gli adulti. La parte più ostica sta nel rifiuto che i figli spesso ci fanno sperimentare. A un certo punto, quasi improvvisamente, ci si ritrova “buttati fuori” dai confini del loro mondo. La psicologia spiega che si tratta di una reazione fisiologica, propedeutica al distacco e alla sana emancipazione. L’equilibrio delle famiglie però inevitabilmente ne risente, anche perché occorre mutare le posizioni e “ricalibrare” comportamenti e aspettative.

Nel romanzo citato in apertura, l’autrice si sofferma proprio su questa capacità di “ricalibrare” le azioni. Quando si elabora un progetto educativo, in genere, si fa riferimento al proprio patrimonio valoriale e anche ai modelli che ci hanno preceduto. I genitori si modulano anche sulla base di quello che hanno sperimentato come figli. Ma oggi tutto cambia e anche i modelli familiari sono raffrontabili a quelli dell’epoca che ci ha preceduto soltanto in parte. Ed ecco quindi l’esigenza di “ricalibrare” la propria azione educativa con l’occhio attento alla realtà e alle peculiarità dei propri figli. Si tratta di una operazione delicatissima, da portare a termine tra le nebbie dell’ansia e facendosi strada tra le preoccupazioni che ci avvolgono e ci rendono miopi.

Tra l’altro, i terremoti adolescenziali hanno il tratto dell’estremizzazione. Occorre prepararsi a ribellioni fisiche e verbali, a mutismo ed esondazioni emotive; tutte manifestazioni difficili da gestire. La pratica catartica per eccellenza resta il dialogo, quando possibile, oppure “il tentativo” di dialogo, anche con il rischio che assuma la cifra del monologo. Ma pure il monologo ha una sua incisività. Viene ascoltato e lascia tracce, sebbene non nell’immediatezza.

In ogni caso, per tornare allo spunto offerto in apertura, la parte più “sfidante” sta nell’accettazione che i nostri figli siano “altro” rispetto a ciò che avevamo pensato per loro. Soltanto accettandolo potremo costruire con loro nuovi equilibri relazionali.

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Fonte: Sir