In difesa di Dante. Negli attacchi alla grandezza del Fiorentino si celano molte ingenuità

La rielaborazione della cultura precedente è sostanza stessa del genio. In tutte le epoche e latitudini.

In difesa di Dante. Negli attacchi alla grandezza del Fiorentino si celano molte ingenuità

Ha ragione Luca Serianni, grande studioso della nostra lingua, nonché accademico della Crusca e dei Lincei: sarebbe stato meglio tacere. Perché l’attacco del “Frankfurter Rundschau” al padre della nostra lingua in realtà non è altro che ovvietà, nel senso che è sicuramente vero che ogni grande ha alle spalle una tradizione con la quale fare i conti. Ci mancherebbe. Quello che secondo Arno Widmann dovrebbe essere una riduzione del prestigio dantesco potrebbe valere per la controparte usata come ariete contro l’Alighieri, Shakespeare. Il quale conosceva il sommo poeta, anche perché già Chaucer alla fine del Trecento si era preoccupato di diffondere la Commedia in Inghilterra, come lo conoscevano Goethe, Borges, Pirandello, Kafka. Già il fatto di affermare che un genio sia più o meno genio è un infantilismo che non meriterebbe commenti. Il fatto è che questo vezzo è stato rimesso in circolazione, ingenuamente, da Harold Bloom, che nel suo Canone ha messo avanti Shakespeare rispetto a Dante, ma perché, secondo lo studioso, l’inglese sarebbe meno preda del “risentimento”; Bloom, però, non si è mai sognato di negare il genio del fiorentino, come tentano di fare i detrattori, che secondo alcuni – noi tra questi – hanno più di mira il Belpaese che il cantore di Beatrice.

Anche perché pure le altre pseudo-motivazioni sono ben poca cosa: è normalissimo che Dante si nutra della letteratura precedente: certamente nell’amore assoluto – e spirituale – per Bice di Folco Portinari vi sono tracce della poesia provenzale e amorosa, soprattutto quella del bolognese Guinizzelli. Solo che nella codificazione che se ne fece all’interno dello Stil Novo assieme a Cavalcanti, Dante, suo allievo, emerge per forza di rappresentazione e per capacità di abberverarsi da altre fonti: quella biblica, soprattutto. Ma non solo. Sarebbe come dire che Eliot ha copiato dall’Ecclesiaste: una follia.

E, visto che Widmann ha tirato fuori il nome di Shakespeare, sarebbe meglio approfondire questo punto dolente: come abbiamo visto, il prendere linfa da chi ci ha preceduto non è un sacrilegio, anzi, un motivo di affinamento del genio. Perché l’inglese, guarda come è piccolo il mondo, per scrivere Giulietta e Romeo, e non una sconosciuta opera minore, si è rifatto in abbondanza a “The tragicall Historye of Romeus and Juliet”, 1562, di Arthur Brooke, che però, attraverso traduzioni dal francese, attinge a sua volta ad una tradizione che veniva dall’Italia, e, attraverso Matteo Bandello, scende a Luigi da Porto, al Novellino di Masuccio Salernitano e, guarda caso passa per Dante, che nel VI del Purgatorio cita “Montecchi e Cappelletti” nell’apostrofe all’Italia. Anche se la vicenda di due poveri amanti viene da molto più lontano, dalle origini mediterranee delle civiltà antiche.

Per quello che riguarda la paternità della nostra lingua, qui il discorso diviene davvero banale. Dante ha sintetizzato nel fiorentino del suo tempo una complessa eredità linguistica. Nella Commedia lo scrittore non solo codifica, ma inventa, mescola, talvolta guarda nostalgicamente indietro. E lascia una nuova, grande eredità a chi è venuto dopo. Non è vero che abbia involgarito la lingua, ma ha anzi riconosciuto – e contribuito a perfezionare attraverso un’opera dimenticata dai suoi avversari, il “De vulgari eloquentia” – nei tre registri, popolare, medio e alto, la ricchezza di una comunicazione che si stava avviando a divenire comune, nelle piazze, nei mercati, nelle case signorili.
Boccaccio senza Dante non sarebbe pensabile, e qui siamo nella narrativa, non nella poesia prediletta dal fiorentino. Se riprendere dal passato per creare il nuovo è plagio, allora Ariosto e Tasso, Shakespeare, Calderon de la Barca, Rimbaud, Borges, Eco sono dei plagiari. Averceli agli angoli della strada, “plagiari” così.

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Fonte: Sir