In nove fino alla vetta: ricordi di alta montagna

Da Padova fino all’Etna, ricordiamo l'attività di nove ragazzi con sindrome di Down culminata con la salita in cima al vulcano. Il gruppo fa parte dell’associazione Down Dadi. La speranza: ritornarci presto

In nove fino alla vetta: ricordi di alta montagna

Raggiungere la vetta sì, ma in gruppo. Perché "se vuoi vincere vai solo, se vuoi andare lontano vai insieme", come recita il motto del progetto “MontagnAmo”, partito nel 2014 grazie all’associazione Down Dadi, acronimo di Down altre disabilità intellettive. Nata nel lontano 1983 a Padova dalla spinta ideale di un gruppo di genitori, consolidata ufficialmente due anni dopo, non solo si è battuta per la difesa dei diritti e dell’inclusione dei figli, ma ha creato una miriade di percorsi riabilitativi orientati alla loro autonomia, coinvolgendo oggi quasi 300 famiglie. Nel solco di un’indipendenza da conquistare quotidianamente, “MontagnAmo” si è inserito "per avvicinare i ragazzi all’esperienza della montagna", spiega l’educatrice Sara Gastaldello, coordinatrice del progetto, rivolto a undici persone con sindrome di Down già maggiorenni e avviate all’indipendenza sia lavorativa sia abitativa. Un’iniziativa che, a causa del Covid, purtroppo è ferma da febbraio 2020: niente più escursioni insieme, solo passeggiate con la famiglia e allenamenti individuali.

Laureata in scienze motorie, Sara si occupava già di attività fisiche nell’ambito associativo, ma con l’aiuto del padre di Giulia, Giacomo Drago, esperto di scalate, ha avuto una solida “spalla” tecnica e logistica per organizzare non solo camminate domenicali nei dintorni di Padova, lungo gli argini del fiume Brenta, ma escursioni di un weekend o anche di più giorni, con l’obiettivo di raggiungere un rifugio, condividere i pasti e la notte, occuparsi della sveglia e delle pulizie, scattare le foto da mandare alle famiglie e molto altro. "Prima abbiamo organizzato incontri di formazione con la Commissione di alpinismo giovanile del Cai padovano per trasmettere ai ragazzi nozioni sul meteo, su come preparare lo zaino in base alle uscite e alla stagione, sulle difficoltà e i pericoli dei percorsi. Abbiamo pensato che sarebbe stato molto stimolante gestire la fatica e i sentimenti per raggiungere la cima, imparare l’essenzialità nello scegliere cosa portare sulle proprie spalle, scoprire la natura e il rispetto per l’ambiente. Valore aggiunto? Farlo con il gruppo di amici ed essere gratificati dal pranzo in vetta: a loro piace molto mangiare insieme e anche questo è stato uno stimolo".

Così, previo allenamento durante tutto l’anno fatto di camminate e arrampicate in palestra, sono iniziate le uscite in alcuni fine settimana d’estate e d’inverno, anche con la neve e con le ciaspole ai piedi. "Abbiamo riscontrato risultati straordinari: i ragazzi hanno imparato ad aiutarsi nei momenti di difficoltà, a incoraggiarsi, a non uscire dal sentiero tracciato, a cogliere le situazioni di pericolo. Certo, non sono mancate le crisi: il dolore alle gambe per la fatica e il panico di non riuscire a farcela sono stati affrontati di volta in volta. Le ragazze hanno capito che non potevano portarsi tutti i trucchi nello zaino, perché pesavano troppo. E arrivare in vetta rappresentava per tutti una vittoria e soprattutto un traguardo per l’autostima", spiega l’educatrice. Nel 2018 un balzo in avanti ulteriore: non solo i weekend, ma un’intera settimana all’anno da trascorrere insieme scalando montagne. "La prima in Sardegna, una regione che ci ha dato la possibilità di passare dal mare al trekking sul Gennargentu e all’arrampicata nelle falesie di Cala Gonone". Fino alla straordinaria impresa di scalare, a settembre 2019, la “Grande madre Etna”, il vulcano siciliano, impresa raccontata nel volume “La scalata della vita. Se si vuole si può” del giornalista palermitano Gaetano Perricone (Algra Editore, 132 pagine). Sara, incinta di nove mesi, non ha potuto accompagnarli e al suo posto si è unita al gruppo la psicologa Micol Pelliccia.

Vestiti tecnici per affrontare il freddo dei 3.300 metri di altitudine, zaino in spalla con scorta d’acqua, ricorda: "Non è stato facile camminare su un terreno in pendenza e dalla consistenza sabbiosa e rocciosa al tempo stesso. La sindrome di Down è caratterizzata da una debolezza dell’apparato muscolo-scheletrico, tendenzialmente più fragile e incline all’invecchiamento precoce, con una debolezza di legamenti e articolazioni. Anche per questo l’esercizio fisico è stato fondamentale". Banditi, però, individualismo e competizione: al contrario, "lo spirito di squadra è stato necessario per raggiungere la meta, conquista collettiva da festeggiare", commenta la psicologa. In cima sono arrivati nove ragazzi, affrontando a piedi 400 metri di dislivello in salita, pezzi di lava dell’ultima eruzione che intralciavano il cammino, lo sbalzo termico. Fino alle urla di gioia e all’euforia per il panorama mozzafiato che si contemplava dal cratere Bocca Nuova. Poi la discesa, che "ha richiesto sforzo fisico e coraggio maggiore rispetto alla salita", fronteggiata con "risate, prese in giro, incoraggiamenti, adrenalina e cibo, un momento di carica e condivisione essenziale anche a fini motivazionali". Quello che resta sono i "frutti reali e autentici del grande mondo interiore che ogni ragazzo possiede". Enrico, 26 anni, ricorda: "Una volta arrivati su abbiamo visto la bocca del vulcano che tirava fuori il fumo. Lo immaginavo proprio così". Mentre Giorgia, 28 anni, paragona la discesa a "una pista nera da sci". Altro che montagna-terapia, conclude Sara Gastaldello: "La montagna è palestra di vita, di crescita e di relazioni". In attesa di ripartire di nuovo insieme, quando finirà la pandemia.

(L’articolo è tratto dal numero di gennaio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

Laura Badaracchi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)