L’ETNOFILMfest annuncia: "Lasciamo Monselice. La nuova giunta ha deciso di tagliare i fondi per il festival dell’80%, in altre parole si chiude"

L’ETNOFILMfest annuncia: "Lasciamo Monselice. La nuova giunta ha deciso di tagliare i fondi per il festival dell’80%, in altre parole si chiude". Parla il direttore Fabio Gemo

L’ETNOFILMfest annuncia: "Lasciamo Monselice. La nuova giunta ha deciso di tagliare i fondi per il festival dell’80%, in altre parole si chiude"

Come ha ricevuto la notizia?

Diciamo che avevo avuto un preavviso all’ultima edizione dove già il Festival aveva ricevuto un primo taglio. Dopo l’insediamento della nuova giunta, ho chiesto un incontro con l’assessore e vicesindaco Andrea Parolo e in quell’occasione sono stato messo al corrente della scelta definitiva.

Cosa si sente di dire alla nuova giunta?

Sinceramente nulla. Prendo semplicemente atto della scelta. Nessuna polemica, nessun rancore. In questo ventennio (perché tutta la avventura monselicense inizia nel 2000) con il Centro Studi sull’Etnodramma ho sempre tenuto un basso profilo, senza mai polemizzare in nulla. Mi sono semplicemente occupato del mio lavoro e di poter organizzare al meglio due importanti manifestazioni, prima OperaKantika e poi l’ETNOFILMfest.

Sono semplicemente sorpreso. Sorpreso che dopo un lungo investimento nel territorio si decida di chiudere così, con un colloquio veloce… senza alcun tentativo di trovare una soluzione. La risposta scontata è che non ci sono fondi ma, lavorando da più di trent’anni con amministrazioni di ogni colore e in diverse città, so bene che prima di tutto viene la volontà di realizzare un progetto, poi si trovano i fondi.

Molti amici e colleghi mi avevano sconsigliato di intraprendere questa avventura a Monselice ma ho sempre creduto che le cose si possano realizzare non solo in grandi città come Milano o Roma. Ci sono piccole realtà sparse nel nostro Paese che ospitano manifestazioni di interesse internazionale…una per tutte Santarcangelo di Romagna che ospita il più importante festival nazionale di teatro da decenni.

Sinceramente credo ci sia una mancanza di percezione dell’importanza e unicità di questo festival.

L’ETNOFILMfest non è uno dei tantissimi festival dedicati al cortometraggio sparsi nel nostro Paese.

L’ETNOFILMfest è l’unico festival nazionale dedicato al documentario etnografico e negli ultimi anni si è fatto conoscere e apprezzare da università, centri di ricerca e studiosi di tutto il mondo. 

In questi anni Monselice ha ospitato il meglio di personalità legate al mondo del documentario, della performance e della cultura…l’elenco è lunghissimo ma solo per citarne alcuni: Luigi Di Gianni, Cecilia Mangini, Francesco De Melis, Antonio Marazzi, Alejandro Jodorowski, Eugenio Barba, Paul Hockings, Umberto Galimberti, Vittorino Andreoli, Silvano Agosti, Ferdinando Camon.

Voglio riportare solo alcuni messaggi di incoraggiamento, quando ancora non eravamo al corrente della chiusura ma già si avvicinavano le prime ombre sul festival:

Caro direttore è stato un piacere conoscerla e apprezzare la sua competenza e il suo coraggio nel realizzare un evento di grande valore culturale. Le sono grato perché in questo clima di arrogante ignoranza lei cerca di promuovere pensiero e gusto del sapere. Un aiuto a sperare ancora! (Vittorino Andreoli)

La tua iniziativa ha il sapore immediatamente avvertibile della cosa vera e non della messa in scena. Sono contento che il pubblico ti segua numeroso e con la partecipazione e la curiosità che ho potuto toccare con mano. Grazie per avermi invitato, mi hai fatto fare una bellissima esperienza. (Umberto Galimberti)

Un festival prestigioso e di prima qualità. (Fernando Arrabal)

L’elenco sarebbe lunghissimo e sono certo che nei prossimi giorni riceveremo molti messaggi di sostegno, non appena sarà ufficializzata la notizia.

Monselice perderebbe così un’occasione non facilmente sostituibile.

Monselice ne ha ancora molta di strada da fare. Monselice per molti anni è stata la Marghera della Bassa Padovana, una città che viveva di cementerie e di fabbriche del giocattolo. 

Purtroppo, ad un aumento del tasso di alfabetizzazione nel dopoguerra non è seguito un aumento del livello di diffusione della cultura. Negli anni ’50 il grande attore Gigi Ballista diceva: “Monselice xe na maravegia, in man a zente senza cultura e senza memoria” come ci ricorda G. A. Cibotto. 

Dagli anni 80, con l’inizio della crisi dei due settori, Monselice ha iniziato un percorso lento ma efficace che l’ha indirizzata verso l’unica via percorribile per il suo futuro: la cultura e quindi il turismo. Purtroppo ancora mancano le strutture più essenziali per poter diventare protagonista in questo settore, prima tra tutte un teatro. E’ la cosa più vergognosa per Monselice, da quando sono nato. Non possedere una sala attrezzata per cinema, teatro, musica e altri eventi la rende una città dormiente per tutta la stagione invernale e molto precaria nella stagione estiva per non avere un riparo in caso di maltempo. È anche vero che la cittadinanza non può che avere se non quello che chiede, e questa emergenza evidentemente non l’ha mai percepita. 

Che accadrà ora?

Ci stiamo muovendo per spostarlo ovviamente. Non c’è alcuna intenzione di chiuderlo. Molte istituzioni preposte alla valorizzazione del cinema, dell'etnografia e del patrimonio immateriale potrebbero essere coinvolte a pieno titolo per sostenerlo, parlo di entità come l’Istituto Luce di Roma e l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia. Stiamo già vagliando alcuni altri comuni che possano accoglierlo, come Urbino, o città come Verona e Roma. Ma valutiamo anche Padova e Venezia. Quel che è certo è che mi spiacerebbe molto se si dovesse cambiare regione. Poterlo mantenere nella mia terra sarebbe di certo una grande notizia. 

In questi anni qualcuno le è stato di aiuto, l’ha sostenuta?

Molti cittadini, che ogni giorno mi fermano per strada per ringraziarmi e complimentarsi per quello che è stato creato a Monselice, e molti amici e colleghi dell’organizzazione. Una persona però mi sento di ringraziare pubblicamente, con un grazie veramente sincero e di cuore. Parlo di Gianni Mamprin che in tutti questi anni si è sempre dimostrato entusiasta per questo progetto, senza mai un’incertezza o un dubbio sull’importanza dell’evento. E quando dico Mamprin intendo dire Gianni, nella sua persona, non l’assessore e le varie giunte a cui ha preso parte. Non è quindi un grazie al politico, ma un grazie all’uomo che ci ha creduto e che non ha mai avuto incertezze nemmeno nelle molte occasioni dove ha dovuto fare i salti mortali per sostenerlo.

Altri progetti?

Accanto al festival, nel 2015, in occasione della 72a Mostra del Cinema di Venezia, abbiamo presentato ETNOFILM Scuola di Cinema Documentario Etnografico, una scuola unica in Italia dedicata a chi desidera apprendere le tecniche e il linguaggio del documentario antropologico. Un progetto nato assieme al grande maestro Luigi Di Gianni e che ora si appresta ad aprire una seconda sede a Città del Messico. Di recente proprio con l’INAH Instituto Nacional de Antropologia e Historia, il braccio operativo del ministero della cultura messicano, è stata stipulata una convenzione a tempo illimitato che ci consentirà di organizzare diversi eventi tra Italia e Messico. Questo è il quinto anno della scuola, con una presenza di 10 dottorandi e ricercatori che arrivano a Monselice da tutte le regioni d’Italia per poterne seguire le lezioni.

Anche questo binomio, Festival e Scuola, ci ha consentito negli ultimi anni di avere un’attenzione sempre maggiore da parte dei media nazionali ed esteri. E’ proprio di questi giorni la richiesta da parte della Voce di New York di dedicare un approfondimento alla nostra realtà, per la sua unicità a livello nazionale. 

Crede ci siano ancora dei margini per tenerlo a Monselice?

Ai miracoli non credo e la speranza non può che portare alla rovina, come avrebbe detto qualcuno. Ma una porta rimane ancora aperta. Non per molto. Del resto, non bisogna morire per poter abdicare.

Qualcuno sostiene pure che Monselice ha il cappero più buono del mondo. Bene, se questo è vero allora si investa sui capperi. Altrimenti si valuti bene cosa è stato il Centro Studi sull’Etnodramma e cosa può rappresentare la sua presenza per il territorio. Oltre a questo, non so che dire se non che possiamo essere solo ciò che siamo, nulla di più e nulla di meno. Per i drammi irrimediabili è preferibile il silenzio. È sicuramente più dignitoso.

Fonte: Fabio Gemo, Etnofilmfestival

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Fonte: Comunicato stampa